Dalla detenzione in Cile sotto la dittatura di Pinochet, alla scoperta del karate come cura per l’anima e modello per i giovani atleti.
di Enrico Corradini
Paulina Vicencio (classe 1950) cammina con calma tra la caotica e allegra gente che popola il tatami della Heart Cup 2025, gara internazionale di Karate Shotokan che si svolge al Palacicogna di Ponzano Veneto, a pochi chilometri da Treviso. Tra le urla degli atleti in competizione e il vociare dei tifosi, la maestra cilena sorride, con lo sguardo sereno di chi nella vita ha passato l’inferno e sa come affrontare le sfide. Ci sediamo a bere un caffè in un angolo lontano dalla palestra. Paulina mescola lo zucchero con grazia, mentre io osservo la sua tuta da ginnastica lucida e decorata dalla bandiera del Cile. Lei riesce a essere elegante anche in questi gesti semplici e con addosso un abbigliamento tecnico.
Ai ragazzi insegno proprio questo: di credere a un sogno da realizzare e di perseguirlo con tenacia.
«Ho iniziato a praticare karate con il mio secondo marito, quando siamo rientrati in Cile dopo la caduta del regime di Pinochet» dice sorseggiando il caffè da una tazzina bianca e liscia, «come tanti cileni, dopo la detenzione sono stata esiliata in Svezia. Lì ho vissuto per più di dieci anni e ho conosciuto il mio attuale compagno di vita, anch’egli esule cileno, con cui avuto due figli. Siamo poi tornati in Sudamerica nel 1989. Un giorno eravamo andati a fare la spesa in un negozio di Chiguayante, la mia città d’origine, e ho visto la pubblicità di una scuola di karate. Così ci siamo iscritti tutti insieme e affrontato uniti lo studio del karate con la Maestra Veronica Mora. Stessi esami, stesse cinture. Abbiamo raggiunto la cintura nera tutti e quattro lo stesso giorno. E l’esame di secondo Dan lo abbiamo fatto con il Maestro Ofelio Michielan. Il karate è stato un percorso di famiglia.»
Sei stata incarcerata alle ore 8 del mattino dell’11 settembre 1973, dai militari che avevano preso il potere. Qual è la prima immagine che ti viene in mente se pensi al tuo arresto?
«Io dentro una jeep militare, con una mitragliatrice puntata sulla schiena, senza sapere perché.»
A farti arrestare fu il tuo ex marito, fedele a Pinochet. Da quel giorno non hai più visto le tue prime figlie, avute da lui. Dici spesso che il karate ti ha aiutato ad affrontare la vita, che con te è stata molto dura. In che modo?
«Il karate è molto importante nella vita, nella mia e in quella di tutti quelli che lo praticano, non solo per il benessere del corpo, ma soprattutto per l’anima. Per i valori che insegna, per il rispetto che si deve all’avversario. Il karate insegna a concentrarsi, a rafforzare lo spirito di fronte alle difficoltà. Non vedo le mie figlie da più di cinquant’anni, ma non ho mai perso la speranza e il desiderio di riabbracciarle.»
Cosa insegni ai giovani che alleni?
«Quando ero in esilio ho sempre sognato di poter tornare in Cile. Finché ci sono riuscita. Ai ragazzi insegno proprio questo: di credere a un sogno da realizzare e di perseguirlo con tenacia. Il karate, inoltre, unisce persone di diverso ceto sociale, di mentalità differenti, e li fa convivere, portando un messaggio di solidarietà, rispetto e ascolto. S’impara dal prossimo e lo si rispetta, e questa è la base del pensiero democratico.»
Oggi il mondo è di fronte alla più grande crisi politica e democratica dal dopoguerra, cosa vede una persona come te, che ha vissuto sulla pelle la repressione?
«Apparentemente sta per ripetersi ciò che, purtroppo, nella storia è già avvenuto più volte. La grande differenza è che oggi alcuni rappresentanti politici, dichiaratamente antidemocratici, vengono votati dal popolo in libere elezioni e ciò è contraddittorio. Invece, la politica deve lavorare per il bene di tutti, ma a volte la gente sembra dimenticare. Forse stiamo perdendo la capacità di confrontaci.»
Raggiungere la cintura nera non solo definisce il percorso di un atleta, ma lo rende una persona integra.
Luis Sepulveda era uno scrittore cileno, esiliato e molto attivo nella lotta per la libertà e la democrazia. Sting cantò “They dance alone”, una canzone dichiaratamente contro Pinochet… gli artisti spesso hanno espresso dissenso nelle loro opere.
«Gli artisti che si impegnano su temi sensibili sono importanti, perché sono persone molto conosciute e il loro apporto è fondamentale per la diffusione delle idee, ma anche per rendere noto a tutti ciò che succede in alcune parti del mondo. Sting cantò il dolore delle madri cilene che protestavano per i loro figli morti e spariti, i cosiddetti desaparecidos. Ancora oggi alcune di loro scendono in piazza per sapere che fine hanno fatto i loro mariti, figli e nipoti, per dare loro una eventuale e degna sepoltura. È giusto che lo sappiano, per terminare un ciclo e chiudere definitivamente questa orribile storia.»
Che cosa hai provato il giorno che hai raggiunto il grado di cintura nera?
«È stato come ricevere un bellissimo regalo. Una grande emozione poiché si chiude un cerchio: raggiungere la cintura nera non solo definisce il percorso di un atleta, ma lo rende una persona integra.»
Secondo te, perché un giovane dovrebbe scegliere di fare karate?
«I dettami e, di conseguenza, i valori del karate, si riflettono in tutti gli aspetti della vita. Attraverso questa disciplina possiamo diventare persone migliori e, quindi, avere speranza per il futuro dei giovani.»
Il caffè è finito, resta sul fondo della tazzina una piccola macchia, ma la ceramica è troppo bianca e scintillante per essere disturbata dalla sporcizia. Paulina sorride quando la ringrazio per il tempo che mi ha concesso. Nei suoi occhi la dolcezza di madre non è offuscata dal dolore, ma è illuminata dall’infinita speranza di chi non si arrende mai. Stringe le mia mani con la forza che solo una donna può trasmettere. Ci salutiamo, è ora di tornare sul tatami a combattere.