Praticare karate ci dà la possibilità di applicarci per poi affrontare la vita (studio, lavoro e relazioni personali) con un sistema (metodo) e con strumenti che si affinano nel tempo.
Giugno, mese di esami per cintura. La valutazione viene fatta anche in base al percorso (Gyō) dell’intero anno, iniziato a settembre scorso dagli allievi.
Siamo in navigazione, a volte con mare procelloso e vento contrario, allora, è bene fare più volte il “punto nave” sulla carta nautica, verificando le coordinate: dove siamo arrivati e se la prora bussola indica la direzione (proposito=ikigai=spinta vitale) che ci siamo prefissati. Si scoprirà quindi la Via (Dō) che si è intrapresa finora (autoanalisi) e quali risposte abbiamo dato per trovare la strada (Michi) per migliorare le proprie conoscenze e l’impegno (Gambaru) profuso per conseguirle.
Ricordando come la RICERCA vada apprezzata più del risultato, dove il binomio concentrazione e osservazione alle lezioni è sinonimo di crescita del proprio spirito, parimenti allo sforzo sostenuto per applicarle, a seconda delle proprie capacità.
Dare il meglio di se stessi, impegnarsi a portare a termine l’obiettivo (Yushū no bi) con il sorriso e la serenità d’animo.
Il giorno della prova, quindi, non dev’essere vissuto con l’ansia di prestazione, come pure le competizioni, ma come tessera di un mosaico sulla via della formazione, una sfida con se stessi per raggiungere il perfetto assetto emozionale. Lapidare le asperità, smussare gli angoli vivi, calibrare il proprio temperamento e di conseguenza la stessa personalità, sono la “stabilità di forma” nel karate: modo e contenuto d’espressione, esercizio all’apprendimento.
Solo allora potremmo prendere atto che siamo nel Bushidō (la Via del Guerriero), simile a quello romano del mos maiorum.
La traiettoria della Via, il mezzo, l’intervallo fino all’indirizzo o meta, ci riconducono a quello che dicevano i nostri genitori e nonni: “impegnati” e la società spronava “datti da fare”.
È lemma di postura e condotta culturale.
Ora, praticare karate ci dà la possibilità di applicarci per poi affrontare la vita (studio, lavoro e relazioni personali) con un sistema (metodo) e con strumenti che si affinano nel tempo. Incentiva a coltivare interessi e ad ampliare la sfera cognitiva e va, anche per certi versi, controcorrente con l’educazione data oggi ai giovani, dove la famiglia solo talvolta dice “impegnati”, la scuola non ha più quella capacità di collante come in passato, di “mordente” (quanti compiti a casa nel pomeriggio dopo la scuola da svolgere!), e la società dice “divertiti”, “guarda quante distrazioni che ti offro”, per poi presentare il protocollo: diventa furbo e scaltro, prendi e scappa, fregatene del prossimo, non ti pronunciare è meglio stare zitti, copia che è più facile, vivi nella ruffianeria per mantenere buoni rapporti sociali, sistemati, prendi un posto fisso. Farla franca è la routine, ecco poi però che vengono a galla come sugheri: bustarelle-tangenti-marchette-raccomandazioni che sono un prêt-à-porter quotidiano; sbarca il lunario, dunque, anche se poi il prezzo da pagare è l’annichilimento delle proprie qualità e l’appiattimento della propria indole: il taglio delle ali!
Si baratta così la vocazione (o missione?) per un tiepido piatto di lenticchie, per un po’ di sicurezza…
Nitobe Inazō in “Bushido: The Soul of Japan” (1900) ha spiegato bene questo concetto e codice di condotta, stile di vita, dove mette in risalto il discernimento come base strutturale della coscienza che edifica il comportamento, regola e corregge gli istinti, corregge la “nostra” illusione e manipolazione dei fatti, come sovente succede a tutti, e sovverte il piano stesso dell’equilibrio.
Il letterato sopraccitato ci dice infatti: “Ciò che è importante è cercare di sviluppare intuizioni e saggezza piuttosto che mera conoscenza, rispettare il carattere di ognuno piuttosto che il suo apprendimento e coltivare uomini di carattere piuttosto che semplici talenti“.
Avere la grande possibilità di camminare sulla Via ci mette in guardia nel saper prevenire o valutare le vicende o vicissitudini con il giusto grado di obiettività, nella retta interpretazione e comprensione sia del dettaglio sia dell’insieme. Sciogliere dunque e non “incattivire” i nodi. Sbrogliare la matassa filo per filo.
Nasce allora la consapevolezza della riconoscenza e della gratitudine di poter vivere DOTE e DONO.
La VIA diventa libertà, autonomia e indipendenza, anche senso critico, se propositivo.
La società ha in linea di massima scansato il discernimento, mettendo al centro il dio-denaro (Aristotele ci ricorda che non produce ricchezza in sé), l’arroganza del possesso (anche nelle relazioni); conseguire il risultato e il profitto a ogni costo, sentirsi vivi coi like delle piattaforme (a)sociali e “fare numero”, quello è importante, cioè narcisismo.
Tutto ciò appanna la qualità e le risorse della vita, insabbiando la profondità delle relazioni. Parametri di pressapochismo, superficialità, mediocrità e dappocaggine avanzano imperterriti e sono la morchia, il tramonto del mondo occidentale (sempre se ci sia ancora), della filosofia greco-romana, della storia, assistendo attoniti alla riduzione della propria ninfa vitale e allo svilimento di parole-pensieri e azioni.
L’Arte Marziale invece educa a pensare e riprendo le parole di Alberto Manzi: “Non rinunciate mai, e per nessun motivo, sotto qualsiasi pressione, a essere voi stessi. Siate sempre padroni del vostro senso critico, e niente potrà farvi sottomettere. Vi auguro che nessuno mai possa plagiarvi o ‘addomesticare’ come vorrebbe.”
Impostazione mentale, spirituale e quindi comportamentale di fare la SCELTA, sapere quale strada vogliamo intraprendere, distacco e distanza dal consumismo, che ci rende schiavi o marionette, da mondanità e materialità.
Il percorso fino all’esame (e poi oltre) significa mettersi in discussione, anche vivendo nel dubbio, nella precarietà e nel possibile cambiamento repentino di orizzonte. Ci permette sia di trasformare eventi negativi in Bene, limando dissonanze-stonature-storpiature, sia di ripare-ricostruire ciò che si è rotto, come nell’arte (Kintsugi) saldando con l’oro un oggetto in ceramica andato in frantumi, consci sempre dell’impermanenza (Mujō) dell’esistenza stessa. Perciò e a maggior ragione: dare il meglio di se stessi, impegnarsi a portare a termine l’obiettivo (Yushū no bi) con il sorriso e la serenità d’animo.
Da qui, la probabile correzione del proprio “io” attraverso la disciplina (che deve essere rinegoziata ogni mattina), il mantenimento della calma (la pazienza è un allenamento!) nelle situazioni “under pressure” (come cantavano i Queen).
Il Desiderio è potenzialmente rivoluzionario, come disse Gilles Deleuze.
La preparazione: essere pronti e strutturati ad affrontare anche le avversità con lucidità, quegli incidenti di percorso che si possono verificare, tentando però di non (s)cadere nello sconforto o scoraggiamento per l’ampiezza del compito o dello smacco (frustrazione) delle situazioni reali, che si presentano come insuperabili.
Si alza così il grado (valori e virtù) di resistenza e sopportazione, seguendo un itinerario, una rotta che deve però allenare e anelare a raggiungere ricchi porti d’esperienze, d’incontro e confronto, stimoli e… una miriade di sogni!
Rimanere fedeli alla Linea è altresì importante, in nome dell’integrità morale e in difesa della propria identità e dignità affinché non venga calpestata o sabotata.
La VIA diventa libertà, autonomia e indipendenza, anche senso critico, se propositivo, non divisorio né bipolare! È empatia, armonia (Wa) degli opposti e se cadi sette volte, otto volte ti rialzi (Nanakorobi yaoki).
L’esame attiva quindi il ciclo motivazionale, il desiderio di raggiungere lo scopo tramite impegno, persistenza, lungimiranza, volontà. L’intervallo desiderio-scopo è: LAVORO.
I desideri, oggigiorno, sono stati sbarcati in banchina. Nella maggior parte dei giovani sono già saturi, sembrano non avere emozioni e questo forse fin dall’infanzia! Il passaggio successivo, l’ormeggio, è il sentimento che è meramente culturale, ci viene certamente tramandato dal DNA, fa parte del nostro carattere, dell’ambiente e di come si vive. Nel contesto odierno risulta però troppe volte sopito, soffocato, sepolto, suona in sordina se si mettono in primo piano altri approdi e per giunta in acque rase, a volte insidiosi e pericolosi. Allora, chi insegna deve tentare di scardinare il torpore, l’abulia, gli sguardi vuoti e persi nello spazio siderale!
Se si anestetizza il desiderio si spenge la Vita. E il Desiderio è potenzialmente rivoluzionario, come disse Gilles Deleuze.
Allora prepariamoci, studiamo, ripetiamo, dedichiamo il tempo sulla Via in modo costruttivo, senza perderci in distrazioni fallaci, in direzioni evanescenti ed effimere, optando per scorciatoie. Per poter dire un giorno a se stessi (e sottovoce) di aver superato questo “esame” nella bellissima avventura che si chiama VITA e fare proprio il famoso proverbio giapponese: “jū yoku go wo sei su”, “una quercia può spezzarsi, ma una canna resiste alla tempesta”.
È proprio nella Via del Samurai che sapremo “leggere l’aria” (Kūki wo yomu), attraverso, e attraversando, prove e privazioni troveremo il tesoro: il senso della gioia, della tranquillità interiore, della comprensione, tenerezza e premura anche della compassione (cum patior), benevolenza, gentilezza e, infine, dolcezza nello sguardo, nel tono della voce, nei semplici gesti quotidiani, negli atti d’affetto e d’incondizionata generosità!