Nel processo educativo e psicologico di un bambino che pratica il karate è di vitale importanza fornire comfort e un senso di sicurezza, per prepararlo a sviluppare la capacità di cambiare prospettiva rapidamente in base alle persone che ha di fronte.
Il gruppo ha la capacità di riplasmare o costruire una nuova identità, che si evolve seguendo gli stessi propositi e obiettivi condivisi. È fondamentale orientare i giovani verso un approccio comportamentale consapevole.
È evidente che, nella fase iniziale dell’apprendimento del karate-do, si tratta principalmente di una ripetizione automatizzata. Durante questo periodo, manca la comprensione delle proprie abilità, dei propri limiti e delle risorse personali, in relazione alla complessità della connessione mente-corpo. Le sensazioni e gli effetti che questa pratica produce nel nostro sistema nervoso sono di natura soggettiva e possono influenzare la nostra vita al di fuori del dojo solo se integrati nella routine quotidiana. La decisione di impegnarsi nel continuare a praticare è presa solo quando si collega a un aspetto della propria esistenza.
La nostra esperienza di vita si sviluppa gradualmente nel corso del nostro processo di crescita e, quando ci identifichiamo con qualcosa che ci è familiare, diventa un ulteriore percorso che ci sensibilizza a essere consapevoli nella gestione delle sfumature emotive presenti in quel momento e in quella specifica situazione, anche quando siamo al di fuori del nostro controllo conscio, aderendo automaticamente al sistema karate-amici-maestro nella nostra vita. Tuttavia, se non riusciamo a collegarci o a identificarci con alcune parti della nostra storia personale, il karate rischia di diventare solo un “lavoro”, con la conseguente perdita di interesse.
L’appartenenza al gruppo è garantita attraverso il rispetto di un codice comune, incarnato nella disciplina.
Un esempio di questa situazione è rappresentato dalla storia di Emma (pseudonimo).
Nel settembre del 2001, Emma, una donna di 30 anni, prese la decisione di iniziare a praticare karate. Questa scelta fu motivata dal fatto che la scuola di karate era situata a meno di 500 metri dalla sua casa. Era un periodo pieno di stress e non riusciva ad andare lontano, l’unica soluzione nel suo paesino era, appunto, la scuola di karate.
La sua storia di vita era stata segnata da un’educazione rigida, ma Emma aveva scelto una vita artistica, sentendo che questa decisione era stata presa un po’ a caso. Questa scelta artistica le aveva permesso di sviluppare la sua creatività e di affrontare situazioni critiche. Inaspettatamente, quella singola lezione di karate divenne una scelta di vita significativa per lei. Da un lato, il karate faceva parte del suo percorso di crescita e la faceva sentire in sintonia con il proprio sistema di origine. Dall’altro lato, questa pratica portava “fuori di sé” la sua rigidità (il suo corpo si ammalava spesso, si bloccava quando stava male e diventava ipercritica sul piano emotivo).
I movimenti fisici eseguiti nel dojo avevano aperto gli occhi di Emma sulla necessità di affrontare la sofferenza e i ricordi dolorosi, piuttosto che ignorarli o reprimerli. Questi elementi avevano trovato una via di espressione attraverso il suo corpo, dimostrando che non era sufficiente nascondere o negare tali emozioni.
La connessione tra mente e corpo è un viaggio congiunto e separare la loro comunicazione rappresenta un rischio di dispersione di sé.
Le sensazioni fisiche svolgono un ruolo fondamentale nel definire il nostro rapporto sia con noi stessi, sia con l’ambiente circostante. Queste sensazioni possono essere influenzate da ciò che accade intorno a noi, come gli incontri con persone conosciute e altre situazioni.
Questo processo di comprensione può diventare più o meno consapevole solo se viene chiaramente comunicato da una figura adulta di riferimento.
Nel mio caso, con una formazione in psicologia, ho la capacità di contestualizzare i legami tra il movimento del corpo, la modalità di interazione con i compagni, l’atteggiamento verso la pratica, il rispetto delle regole e l’ascolto attivo nei confronti del maestro, che vengono collocati come facenti parte dell’apprendimento educativo in concomitanza con l’apprendimento della tecnica
La pratica aiuta a raggiungere una sensazione di calma e a ristabilire il contatto con il proprio corpo.
L’atto di colmare le lacune e affrontare le paure deve avvenire simultaneamente. I passaggi evolutivi di un bambino che cresce e diventa adulto avvengono all’interno di una zona “neutrale”, che dovrebbe consentire a ognuno di esprimere in modo soggettivo i propri dubbi e le proprie perplessità.
La chiave per sentirsi al sicuro in un contesto di gruppo risiede nello sviluppo del supporto sociale, attraverso la condivisione e la reciprocità, che porta ogni individuo a sentirsi compreso e amato. Nonostante ciascuno di noi sia unico e possieda la propria individualità, il senso di protezione si attiva sin dalla tenera età e rimane con noi fino all’età adulta.
Questo aspetto riveste un’importanza cruciale quando un futuro allievo entra in scena per la prima volta. Accogliere una richiesta di iscrizione significa raccogliere e comprendere la storia di quella persona. Indipendentemente dal momento in cui si fa la scelta (sia essa consapevole o meno), il filo conduttore che percorre la continuità nella pratica risiede nel potere della socialità. La stessa esperienza di esprimere liberamente la propria storia personale, facilitata dalla pratica fisica (poiché il corpo esprime le emozioni attraverso il gesto tecnico), rappresenta un punto focale in cui la mente acquisisce la propria identità, come parte di un luogo (il dojo), di un ambiente relazionale (i compagni di pratica) e di una relazione con il maestro.
L’appartenenza al gruppo è garantita attraverso il rispetto di un codice comune, incarnato nella disciplina.
Tuttavia, ritenere che sia solo il codice a creare la sintonia nell’evoluzione del karateka, senza considerare il mondo esterno, rappresenta una visione limitata. Nel processo educativo e psicologico di un bambino che pratica il karate è di vitale importanza fornire comfort e un senso di sicurezza, per prepararlo a sviluppare la capacità di cambiare prospettiva rapidamente in base alle persone che ha di fronte.
Essere in sintonia con gli altri membri del gruppo è altamente gratificante. Partecipare a movimenti sincronizzati con i compagni di pratica contribuisce a rafforzare l’impegno individuale. Attraverso movimenti ritmati si crea un piccolo rifugio sicuro in cui è possibile attivare le proprie capacità cognitive per apprendere e interiorizzare il materiale, oltre a imparare a gestire le emozioni intense come la rabbia, la paura e l’ansia.
La pratica aiuta a raggiungere una sensazione di calma e a ristabilire il contatto con il proprio corpo, alleviando la tensione fisica. Vivere in una micro-comunità con i compagni di pratica offre la possibilità di sentirsi motivati da un obiettivo comune e di avere amici con cui condividere pensieri ed esperienze.
Infine, stabilire un dialogo interno rassicurante favorisce la sensazione di poter raggiungere obiettivi che inizialmente sembrano impossibili da realizzare.