Molto bella la location dello stage annuale di karate del M° Alessandro Cardinale sul Garda, organizzata dal Club Karate Tirol di Innsbruck.
La mia formazione filosofica, maturata nei primi anni Settanta alla Statale di Milano sotto la guida del professor Dal Pra, è agli antipodi del vitalismo e delle filosofie irrazionalistiche tanto di moda oggi. “L’esaltazione della vita senza limiti né freni ideologici o morali”, la “celebrazione della volontà di potenza che apparterrebbe solo a pochi eletti” non sono nelle mie corde, come pure la convinzione che la natura si serva “della selezione naturale (…) attraverso la sopravvivenza dei migliori”.
Per fortuna non appartengo al novero dei praticanti di arti marziali che si ritengono degli Uebermenschen sottratti al comune destino di tutti gli esseri umani: la crescita, l’invecchiamento, la decadenza e infine la morte. Credo nel Ki non per dogma, ma per esperienza personale, ma non ne traggo alcuna deduzione riguardo all’esistenza di un’energia spirituale, individuale o collettiva, che sopravviverebbe alla nostra carcassa. Eppure… eppure…
Eppure parecchi anni fa ho pubblicato un libretto intitolato Karate per la sopravvivenza. Nell’introduzione avvertivo i lettori che non si trattava di un manuale per imparare a difendersi contro umani aggressivi e bestie feroci, tutt’altro:
“La sopravvivenza alla quale allude il titolo è qualcosa di meno spettacolare, ma più generalizzabile: significa saper navigare a vista, o almeno tenersi a galla, nelle acque tempestose della vita, fra la quotidianità che a volte ti soffoca e ti nausea e l’emergenza che rischia di gettarti nel panico o nello sconforto. Questo libro vuole spiegare in che modo quello che ho appreso dai miei maestri mi abbia aiutato e mi aiuti tuttora a fronteggiare un problema e a mobilitare tutte le mie risorse, fisiche e psichiche, per risolverlo o perlomeno per riconoscerlo”.
Di fronte alle inevitabili difficoltà della vita ho spesso fatto ricorso al karate, inteso sia come pratica senza riserve mentali, sia come scuola di resilienza da applicare nei propri rapporti tempestosi con il mondo. Come infatti tutti sanno, una massima del Nijukkun ci rammenta che “il karate non si vive solo nel dojo”, intendendo che impegno, rispetto, autocontrollo, ricerca dell’auto-perfezionamento dovrebbero essere una “bussola” (compass, come diceva il maestro Nishiyama) nella vita di tutti i giorni.
Esattamente un anno fa, all’inizio di settembre, sono stato colpito da un lieve ictus ischemico e per qualche giorno i medici del Policlinico non sono stati in grado di dirmi se l’evento si sarebbe ripresentato in forma più grave e se avrei recuperato pienamente le mie funzioni motorie. Per fortuna così è stato e a partire dalle mie dimissioni mi sono dedicato anima e corpo all’obiettivo di “rigenerarmi”, fisicamente e mentalmente, a partire da una dieta rigorosa per perdere una ventina di chili in eccesso. Pochi giorni dopo il mio ritorno a casa, ho ripreso ad allenarmi nella palestra del maestro Fugazza, ritrovando, se non la forma smagliante di un remoto passato, almeno la sicurezza e la decisione. Un’ora al giorno di cyclette mi ha restituito fiato e forza muscolare nelle gambe, alquanto traballanti dopo la mia “disavventura vascolare”.
Il mio obiettivo di medio termine puntava però alle vacanze estive: intendevo collaudare la “macchina” dopo la revisione dedicandomi alla mia grande passione (la seconda, naturalmente dopo il karate): le escursioni in montagna.
Come scrivevo nel 2010:
“Lo scenario da me prediletto per le mie passeggiate estive (recentemente ribattezzate trekking!) è la Valmalenco, una convalle della Valtellina, negli anni Sessanta meta popolare dei vacanzieri milanesi, oggi un po’ decaduta dal suo rango a vantaggio di località più esotiche. Per chi frequenta la Valmalenco, allora come oggi, l’escursione per eccellenza è quella ai rifugi Carate (la quasi omonimia con l’arte marziale è del tutto casuale) e Marinelli-Bombardieri, a 2600 metri di quota. Non ci sono difficoltà alpinistiche di rilievo, ma la salita dal fondovalle al rifugio Carate è piuttosto aspra nella prima parte ed esasperante nella seconda, a causa del succedersi di valloncelli che fanno scomparire e riapparire il rifugio, dando sempre l’illusione di essere prossimi alla meta. Dal Carate alla Marinelli c’è poco più di un’ora, inizialmente in piano, ma nella mezz’ora finale l’impressione è quella di dare la scalata a una fortezza intagliata nella roccia, ed ogni gradino costa sudore e fatica.
Premesso questo soprattutto con l’intento di impressionare i lettori con la durezza dell’impresa, ammetto volentieri che, come nel caso più famoso dell’ascensione di Francesco Petrarca al Monte Ventoux, alla Marinelli salgono tranquillamente tutti, compresi anziani e bambini.”
A distanza di dodici anni, mi sono riproposto di effettuare questa escursione in giornata e nel mese di luglio ho tentato due volte di compierla, accorgendomi però di aver parecchio rallentato rispetto alla tabella dei miei 56 anni (!), e sono stato costretto a fermarmi a metà strada, combattuto tra la frustrazione del fallimento e il piacere di assaggiare la famosa torta di noci del Rifugio Carate (nomen omen: ma è stato fondato dalla sezione CAI di Carate Brianza). Ho deciso che avrei ritentato in agosto, anticipando la partenza e puntando la sveglia alle 6. Nel frattempo, il maestro Alessandro Cardinale mi ha invitato allo stage che organizza annualmente per i suoi allievi austriaci a Puegnago del Garda: per una fortunata coincidenza, il raduno si sarebbe svolto nel weekend successivo a quello del mio ultimo “assalto” alla Marinelli.
Il maggior pregio dell’insegnamento del maestro Cardinale è la sapiente e graduale progressione degli esercizi, unita ad attenzione per i dettagli e a un contagioso entusiasmo per la materia del contendere, il karate-do.
Organizzazione e ostinazione sono le mie qualità principali, in parte ereditate dal padre austriaco, in parte forgiate in mezzo secolo abbondante di pratica marziale. L’escursione mi ha visto in “ballo” esattamente per 12 ore, dieci delle quali sulle ripide e insidiose pietraie della Valmalenco. Raggiunti i rifugi nel rigoroso rispetto delle tabelle preparate, controllati i crampi e gli scivoloni sulla via del ritorno, sono rientrato in albergo non senza una giustificata euforia.
La quale è però durata poco: avevo una settimana di tempo per presentarmi in condizioni accettabili al maestro Cardinale, il che significava sbloccare quei due blocchi di cemento che avevo al posto dei quadricipiti femorali.
Per non dare il cattivo esempio ai lettori di KarateDo Magazine, non parlerò del potente aiuto che mi hanno dato la chimica e la farmacopea occidentale e alternativa. Ho ripreso dieta e cyclette e giovedì sono partito, pieno di entusiasmo e di aspettative, per il lago di Garda. Ho preso alloggio in un sedicente B&B nella ridente cittadina di Roè, nel quale si era appena verificato un allagamento. Il padrone di casa aveva provato a telefonarmi per disdire la prenotazione, ma l’agenzia aveva il numero sbagliato: perciò è stato costretto ad ospitarmi, lasciandomi la simpatica incombenza di aprire e chiudere il rubinetto centrale dell’acqua (in strada!) ogni volta che utilizzavo i servizi igienici o volevo semplicemente lavarmi i denti!
Ma io ero in piena trance agonistica, ci voleva ben altro per scoraggiarmi!
Molto bella era la cosiddetta location dello stage annuale del maestro Cardinale a Puegnano sul Garda, organizzata dal Club Karate-Tirol di Innsbruck. Agli allenamenti, svolti nel Palazzetto dello Sport che solitamente ospita i corsi del maestro Dino Contarelli, ha partecipato una settantina di karateka, austriaci e italiani, in maggior parte cinture nere, ma con la presenza di qualche ardimentosa cintura marrone, blu e persino un’arancione!
Lo stage è iniziato puntualmente venerdì 26 agosto 2022 alle ore 9, coi fondamentali da fermo in hachijidachi e kibadachi, ed è proseguito con sequenze di parate e contrattacchi in zenkutsudachi. Si è così giunti alla sequenza di kihon per 1° Dan: sanbonzuki, ageuke gyakuzuki, maegeri renzuki, allenata da prima da soli e poi in coppia. La sequenza è stata poi ulteriormente complicata introducendo gli spostamenti in tsugiashi e yoriashi, portandola quindi al livello approssimativo di 2° dan.
L’ultima parte della lezione è stata dedicata ai kata Heian, eseguiti una volta lentamente e una volta forte. Da ciascuno dei primi tre Heian il maestro ha estrapolato un passaggio “topico” che è poi stato applicato in coppia. Alla fine di Heian Yondan la tirannia del tempo e la pietas del maestro verso i praticanti più anziani (nessun riferimento personale) lo hanno indotto a sancire la fine dell’allenamento. Il maggior pregio dell’insegnamento del maestro Cardinale è la sapiente e graduale progressione degli esercizi, unita ad attenzione per i dettagli e a un contagioso entusiasmo per la materia del contendere, il karate-do.
Per quanto mi riguarda, sono entrato brevemente in crisi (respiratoria e mentale) verso metà allenamento, ma l’ho superata e non si è più ripresentata, né venerdì né nei due giorni successivi.
Il bel tempo, il carisma del maestro Cardinale, la compagnia simpatica e l’aiuto del navigatore, hanno reso molto piacevole questa mia rentrée nel mondo del karate.
Sabato 27 il maltempo ha ingrigito il cielo lombardo e la pioggia ha abbassato la temperatura decisamente estiva del giorno precedente. Questi sbalzi climatici non hanno però minimamente scalfito il buonumore del maestro e dei partecipanti.
La mattinata è iniziata all’insegna dei fondamentali, di livello però decisamente superiore, tratti dal programma Fikta per 3° dan. La prima parte della prima combinazione è stata poi scelta per l’allenamento in coppia, dapprima a livello di base, con attacchi alternati di kizamizuki e maegeri, mentre il difensore agevolava l’attaccante mantenendo la giusta distanza. Successivamente, a livello più avanzato, il difensore parava con sotouke jodan il kizamizuki e spostandosi diagonalmente parava con gedanbarai il maegeri contrattaccando con gyakuzuki. Altre varianti prevedevano di parare con gyaku-gedanbarai eseguendo tai-sabaki e contrattaccando con kizamizuki, oppure di parare anche un terzo attacco jodan eseguendo jodan haraiuke e contrattaccando con kizamizuki gyakuzuki.
Sabato e domenica si è appreso da zero e praticato il kata Unsu, non proprio il mio Tokui kata, anche se mi piace molto e ammiro i migliori esecutori. Il maestro si è prodigato per consentire anche ai praticanti meno esperti e dotati (le cinture colorate e il sottoscritto) di imparare o di migliorare questa forma. Chi scrive ha avuto il piacere di conoscere e di allenarsi con giovani praticanti italiani e austriaci, che lo hanno trattato con l’incredulo rispetto che si tributa solitamente ai sopravvissuti. Venerdì e sabato sera si è anche celebrato il gradito raduno conviviale, la parte più attesa e desiderata di ogni stage che si rispetti!
Condividiamo pienamente quanto affermato dal maestro Cardinale in conclusione dello stage: talvolta giova riprendere da zero un kata o un esercizio che si fa da tanti anni, per riscoprire quanti dettagli importanti vengono trascurati a causa dell’abitudine e di un’umana, ma deprecabile, tendenza a eseguire un po’ meccanicamente quello che si crede di padroneggiare.
In conclusione, lo stage è stata per me un’esperienza estremamente positiva, ideale per tornare alla pratica del karate dopo un mese e mezzo di inattività specifica, sia pure inframezzate da “exploit alpinistici”. Ritornando al titolo di questo articolo, il senso di mettersi alla prova si trova forse nelle parole del maestro Dino Contarelli, al quale raccontavo i piccoli acciacchi che non mi hanno impedito di allenarmi: “Questi dolori servono perché ci ricordano che siamo vivi!”