Restasse al mondo anche solo un praticante di arti marziali o yoga, le sue posizioni basterebbero per connettere ogni aspetto dell’universo.
La cosiddetta coscienza corporea fa parte della nostra dimensione mentale. Recentissimi sviluppi negli studi di psicologia e neurologia dimostrano che la mente risiede nel complesso di tutto il corpo, non solo nel cervello.
C’è un libro pubblicato nel 1991, scritto da Francisco Varela – professore di scienze cognitive ed epistemologia – in collaborazione con Evan Thompson (filosofo) ed Eleanor Rosch (psicologa), intitolato The embodied mind. Non si tratta dell’unico libro che tratta delle nuove scoperte sulle relazioni mente-corpo-ambiente, ma Varela è considerato un pioniere e il libro è un prototipo delle nuove scienze cognitive.
La tesi esposta e dimostrata è che esiste una stretta interdipendenza tra la realtà così com’è, la realtà come viene da ciascuno di noi sperimentata attraverso i sensi e le percezioni, la realtà ricostruita dalla nostra mente e il rapporto tra le nostre esperienze e ciò che è la realtà. Detta in termini più semplici: non ci sono un dentro e un fuori nettamente separati, ma c’è un “noi” che include contemporaneamente tutto e il corpo è una parte fondamentale di questo tutto.
La mente risiede nel complesso di tutto il corpo, non solo nel cervello.
Negli ultimi dieci anni – soprattutto – sono stati pubblicati lavori di neuroscienziati, psicologi, filosofi che dimostrano come la mente non sia un prodotto del cervello, ma che risieda nella nostra intera fisicità. I pensieri sono una minima parte del complesso della mente, sebbene la nostra attenzione sia rivolta soprattutto a essi. La mente è e si esprime nell’intestino, nei movimenti impercettibili gestiti dal cervelletto, nel battito del cuore e nel respiro, nei suoni, nei colori e nei profumi che percepiamo. La mente si trasforma e si modifica a seconda della postura che manteniamo, o dello sport che pratichiamo, e delle posizioni assunte dal corpo nelle arti marziali o nello Yoga.
La posizione dello Yoga definita Virabadhrasana o warrior pose, per esempio, ha una valenza dal punto di vita motorio molto importante – è una delle posizioni fondamentali dello Yoga –, ma i suoi effetti vanno ben oltre l’aspetto fisico. Abituandoci a ragionare non più in termini di mente e corpo come elementi separati, ma nel senso di un’integrazione tra ciò che si è e quello che è l’universo, si colgono ancora meglio gli elementi di una posizione come questa.
Virabadhrasana richiede che un piede sia perpendicolare all’altro, talloni allineati. Una gamba viene piegata, tibia perpendicolare a terra, con il ginocchio nella direzione del piede girato lateralmente. Al ginocchio si allineano il bacino e il tronco. Le braccia sono ben tese, all’altezza delle spalle, le mani hanno le dita diritte. Il viso viene girato nella direzione della gamba piegata. Nella meccanica corporea il bacino viene spinto verso il basso dal peso del tronco e costretto ad allinearsi e ad aprirsi per effetto dell’apertura e tensione delle gambe. Le catene muscolari anteriore e posteriore sono contemporaneamente stimolate. La cintura addominale e i fasci muscolari del pavimento pelvico reggono, come la chiave di volta di un portale, il peso del corpo. Psoas e diaframma vengono sollecitati e così la muscolatura del torace, i trapezi e le cervicali. Il viso è rilassato. Il respiro viene gestito con inspirazioni ed espirazioni profonde.
Tecnicamente la posizione è un disegno armonico di forza, leggerezza ed equilibrio. È sicuramente la più efficace nel panorama dello Yoga, se non la più bella. Vederla ispira contemporaneamente potenza, eleganza e disciplina, com’è l’attitudine di un esperto di arti marziali.
Virabhadrasana agisce contemporaneamente sul corpo fisico, sui visceri, sul respiro, sull’equilibrio e la concentrazione. Ma c’è una profonda connessione anche con il nostro microcosmo che non è altro se non l’immagine olografica del macrocosmo. Il piede, la mano, lo sguardo puntati avanti sono il nostro futuro, verso cui tendiamo; esso non è ancora completamente svelato e la gamba piegata simbolizza proprio la tensione e la realizzazione di là a venire. La gamba tesa ed il braccio rivolto all’indietro sono infatti il passato che non si è consumato, ma è ancora qui; le dita rivolte all’indietro ricordano la tensione primitiva, di quando quegli eventi erano ancora di là a venire ed erano il nostro futuro. Il presente è il bacino, ben radicato nel momento e nella tensione che sostiene passato e futuro.
Dove concentrare i nostri sforzi? Nel presente, nel radicamento, nel nostro centro.
Tutto è in equilibrio e nulla prevale. Il nostro essere che sostiene il tempo è in un equilibrio gioioso, ritmato dal respiro con le sue espansioni e contrazioni. Più c’è esercizio, maggiore è l’equilibrio e minore è lo sforzo per sostenere passato, presente e futuro. Ma dove concentrare i nostri sforzi? Nel presente, nel radicamento, nel nostro centro, nel bacino e nel baricentro all’interno di esso.
Questi sono i grandi insegnamenti millenari dei Maestri che ci hanno preceduto e che ci hanno dato il grande privilegio di avvicinare e praticare la loro arte.
Nell’inconscio collettivo di arti marziali e Yoga e nel flusso delle coscienze dei grandi Maestri, c’è tutta la scienza che stiamo riscoprendo oggi per altre vie e con altri linguaggi.
Praticando arti marziali e Yoga non solo alleniamo il corpo, non solo sviluppiamo la mente che è il corpo, ma ci colleghiamo costantemente ai lignaggi da cui proveniamo e al cosmo che li contiene. Ogni gesto ripetuto è onorare il passato, per creare il futuro e mantenerli in equilibrio col presente.
Restasse al mondo anche solo un praticante di arti marziali o yoga, le sue posizioni basterebbero per connettere ogni aspetto dell’universo: le azioni e il tempo, la materia e la pura coscienza, la mente e lo spirito.