La passerella olimpica ha riportato alla ribalta e all’attenzione delle masse il karate, sia come meravigliosa disciplina, sia per le profonde divisioni al suo interno.
La passerella olimpica, su cui il karate ha avuto l’occasione di sfilare in questa estate 2021, ha riportato alla ribalta e all’attenzione delle masse il karate sia come meravigliosa disciplina qual è, sia per le profonde divisioni al suo interno. Per chi come me e, forse, come il lettore, è un po’ più inserito nella società del Karate, avrà notato che c’è stato il tifo per la Nazionale, ma spesso c’è stato anche il bisogno di specificare le caratteristiche di tale tifo…
“Tifo gli atleti e il karate come sport finalmente olimpico.”
“Tifo gli atleti perché se lo meritano, sono dei veri campioni! Rifiuto invece il movimento del karate sportivo perché tradisce le origini del Karate inteso come disciplina marziale.”
“Non tifo gli atleti, né appoggio il movimento del karate sportivo” (per i duri e puri).
Istruttori come me che non hanno vissuto per nulla le vicissitudini che hanno portato a questo divorzio.
Solo nella nostra disciplina la domanda successiva all’affermazione “Faccio Karate” è quasi sempre: “In quale federazione”? A chi fa danza, baseball, meditazione, atletica, chitarra o rugby non accade di cercare di identificare il prima possibile nell’altro l’appartenenza o meno a una fazione.
Ho notato che l’età anagrafica è spesso direttamente collegata all’adesione a una queste fazioni. Sostanzialmente: più la persona è giovane e più, nonostante pratichi Karate tradizionale, si dimostra disinteressata a ciò che è accaduto nel passato italiano, alle divisioni degli anni Settanta e Ottanta e, perciò, alla nascita delle suddette fazioni. E viceversa per il praticante più maturo.
Tutto ciò assomiglia, e per certi aspetti è proprio così, al prendere posizione all’interno di un “divorzio” molto violento e burrascoso. Se avete presente, spesso alla separazione di una coppia segue una presa di posizione di tutti i cari che un tempo partecipavano alla vita famigliare. Chi dà ragione all’uno e chi dà ragione all’altro. Per pura scelta affettiva e di appartenenza e, a volte , di pura convenienza, creando perciò un gioco di fazioni e tifoserie.
Nel caso della nostra adorata disciplina, si parte da dolorosi ricordi che arrivano fino a quaranta, cinquanta, anni fa, raccontati con dovizia di particolari a giovani istruttori come me che non hanno vissuto per nulla le vicissitudini che hanno portato a questo divorzio (a dire il vero, non eravamo nemmeno nati!), ma che oggi si sono ritrovati con il “giocattolo rotto” in mano.
Tale rottura rende in salita le amicizie fra scelte diverse e molto complicate le collaborazioni sportive, e sono tanti i racconti tra chi decise di rimanere nel CONI e chi invece non era più in grado di accettare tutti i compromessi del caso.
L’Italia, inoltre, nel suo essere una piccola nazione, rappresenta come un frattale il perfetto andamento delle divisioni che avvennero su scala internazionale. Forse qui, più che altrove, il dolore è ancora ben acceso nei più. Insomma, dietro ciò, c’è il dolore di un sogno infranto. Il sogno di un Karate unito sotto un’unica egida: la perfetta unione fra uno sport sano e meravigliosamente educativo per i bambini, un’eccitante carriera agonistica, fino a una fase adulta e matura all’insegna della ricerca dell’equilibrio interiore tanto ambito dai più. Il tutto in unico organismo… come un corpo umano con vari organi, ognuno con funzioni diverse, ma che funzionano in un’armonia divina… un SOGNO appunto!
Tutto il mondo del karate sta praticando quotidianamente, si attrezza e resiste a sfide come quella della pandemia, come un’unica entità, apparente. Poi, presi individualmente pratichiamo una disciplina con il cuore spezzato in (almeno) due parti.
Presi individualmente pratichiamo una disciplina con il cuore spezzato in (almeno) due parti.
Che bel regalo è per le generazioni future, per i Karateka di domani, chiedere a un praticante di aderire inconsapevolmente a una delle due fazioni “tradizionale” o “sportivo”?
Fa sorridere la risposta alla domanda rivolta ai giovani: “Perché pratichi Karate tradizionale?” “Perché era il Dojo più vicino a casa mia…”. La risposta alla scelta di aderire alle fazioni di cui sopra è, quindi, una strategia topografica e di suddivisione del territorio, anziché squisitamente tecnica e di contenuti.
È stato altresì difficile spiegare ai miei allievi che karate fosse quello che vedevano in TV alle Olimpiadi, perché ci sono tante federazioni. Quale valore ha un titolo sportivo o un campionato nazionale o mondiale. È un valore assoluto e relativo? E se poi parliamo per un gruppo di adulti amatori… le gare sì o no? Perché da me, nella mia paestra, no e nell’altra sì?
Quotidianamente, quando insegno reggo una disciplina che si presenta alla società, al mondo politico e internazionale, come un giocattolo rotto. Un giocattolo bellissimo, ma spezzato in più parti. Non esiste la soluzione semplice a un problema complesso, ma porsi delle domande è già un buon inizio!
Il karate del futuro: Parte 2
Il karate del futuro: Parte 3
Il karate del futuro: Parte 4
Il karate del futuro: Parte 5