Che rapporto ci può essere fra il mare e l’arte della “mano nuda”? Quale può essere il sentimento del mare presso il popolo giapponese?
Di Adelmo Taddei
In un vecchio libro sul karate donatomi da Toni Guglielmino, scrittore di successo ed ex karateka, ho trovato qualcosa che ha colpito la mia immaginazione.
Il libro si intitola The Art of Karate (1977) di Mark Miller ed è colmo di immagini suggestive di katateka giapponesi fotografati in azione in riva a un mare dalla spiaggia sassosa. Le foto, tutte in bianco e nero, danno un senso severo della pratica portata avanti e dell’ambiente di contesto.
Mi sono chiesto: che rapporto ci può essere fra il mare e l’arte della “mano nuda”? E quale può essere il sentimento del mare presso il popolo giapponese?
A queste idee è dedicato ciò che segue.
Quale può essere il sentimento del mare presso il popolo giapponese?
Questa disgraziata piaga del Covid, che tormenta il mondo intero da ben più di un anno, ha costretto molte attività a rallentare e, purtroppo, molte persone a vedere diminuito il proprio reddito, se non a perderlo del tutto. Certamente, anche le pratiche sportive hanno conosciuto una pesante decelerazione, con le limitazioni stringenti che hanno visto pressoché tutte le palestre desolatamente chiuse.
Anche la FIKTA ha responsabilmente invitato tutte le scuole associate a limitare fortemente gli allenamenti, privilegiando la modalità on-line e impegnandosi in prima persona con l’offerta di una nutrita serie di stage cui partecipare da remoto.
La scuola di karate A.S.D. Ken Shin Kai di Genova, del Maestro Franco Calimero, recentemente insignito del 7° dan, si è trovata, credo, in una situazione comune a molti dojo fratelli: ospitata presso una palestra scolastica (la Scuola media “Enrico Rinaldo” di Genova Borgoratti, sempre accogliente nei nostri confronti) se ne è trovata proiettata fuori, senza alcuna prospettiva certa di riapertura che riteniamo – forse ottimisticamente – possa verificarsi a settembre/ottobre prossimi.
Durante il lockdown abbiamo avviato, grazie al Maestro, una serie di lezioni a distanza e, nei tempi successivi, quando ciò era consentito, ci siamo incontrati all’aperto e abbiamo iniziato a privilegiare, come punto di incontro e di allenamento, una terrazza sul mare di Quinto, ridente località di Genova est, concessaci gentilmente dall’Associazione che la gestisce.
L’esperienza si protrae ormai da mesi, favorita dal clima mite di cui Genova gode anche in inverno e posso affermare che di volta in volta ogni allenamento in quel contesto è sempre più appagante e stimolante.
Con il sole, con la bruma che sale dal mare, quando è quieto e “caldino”, ma ancor di più quando le onde si frangono con forza sugli scogli, le emozioni che si provano sono sempre forti e differenti, e contribuiscono a favorire concentrazione ed energia a ogni singolo atleta, a ognuno, ovviamente, secondo i propri sentimenti, le proprie attitudini.
Ma non è il mare un elemento liquido che richiama il concetto nipponico di Mushin, l’unione auspicata di corpo e pensiero? Il libero fluire della mente?
Ecco quindi che ritorno al libro presentato all’inizio.
Le foto di quel suggestivo volume riprendono atleti giapponesi che praticano il karate in riva al mare. Un mare quasi quieto, con una riva sassosa, qualche spruzzo d’onda. I volti concentrati degli atleti, i loro corpi fissati negli scatti, ma evidentemente colmi di energia.
Quali concetti mi ispira quel libro?
Come noto, il Giappone è un arcipelago costituito da quattro isole principali e una miriade di isolette. Il mare che lo circonda è quindi da sempre un elemento costitutivo della vita dei suoi abitanti. Dal mare viene il cibo che, con il riso, costituisce una delle risorse principali di quella nazione. Dal mare, però, sono spesso giunte insidie per il paese: dalle mancate invasioni mongole (1274 e 1281, soprattutto quest’ultima spazzata via dal vento kamikaze) alle intrusioni europee seicentesche e ottocentesche, fino all’arrivo degli americani al termine della seconda guerra mondiale. Fonte di vita e di inquietudine, infine.
Karate to umi, quindi, in segno di rispetto e gratitudine per il contributo fondamentale dato alla vita dei giapponesi nel corso della loro storia, per cogliere energia dal suo moto instancabile ed esempio dalla sua proficua mutevolezza.
Ma anche per tenerlo a bada, mostrando capacità di difesa e di attacco, di tenace perseveranza di fronte alle avversità, come nel famoso e bellissimo Ukiyo-e di Hokusai con La grande onda di Kanagawa, con i piccoli pescatori nelle loro fragili barche che affrontano il temibile maroso. È il senso religioso (può essere definito come appartenente allo spirito dello Shintoismo?) degli elementi naturali: il mare, in questo caso, che con la sua forza mette alla prova le energie e la resistenza degli uomini.
…riflettere su come il rapporto fra noi e il mare abbia similitudini e differenze con quello concepito dai giapponesi.
La precisione dei gesti, fissati nelle foto del libro, indica una possibilità aperta: il colpo, sia di difesa, sia di attacco, non va a segno, non finisce la propria traiettoria, ma potrebbe farlo. Questo senso di incompletezza, ma anche di possibilità, mi sembra molto giapponese e mi rimanda nuovamente agli Ukiyo-e, con le loro figure di lune sfrangiate dalle nuvole o colorate da rami in fiore, incomplete alla vista, ma piene nella coscienza e pertanto ancora più affascinanti. Non a caso in Giappone si dedica una festa alla luna piena: è lo Tsukimi, la festa della luna piena d’autunno, occasione di serena gioia per il sempre indaffarato popolo nipponico.
Quindi, noi occidentali in riva al Mar Ligure, possiamo da un lato ringraziare la sorte che ci ha fatto abitare in una località climaticamente favorevole, dall’altro riflettere su come il rapporto fra noi e il mare abbia similitudini e differenze con quello concepito dai giapponesi. Certo, quando i nostri allenamenti in riva al mare si protraggono nella sera, anche da noi, verrebbe da dire, sorge la luna, e anche da noi il rumore delle onde colma piacevolmente le orecchie, mentre la mente cerca di fluidificarsi nel corpo ed è lo stesso identico rumore del mare ovunque, privo di lingue e dialetti differenti, e colmo di parole silenziose e profonde per tutti.