Shobu Ippon per me rappresenta il “karate vero”, è la tradizione del karate, dove si cerca sempre di dare tutto.
Il 18 maggio 2019 a Klingnau (Svizzera) si è svolta la 46ˆ edizione della Fujimura Cup, gara internazionale di Karate Shobu Ippon a cui hanno partecipato Italia, Svizzera, Francia e Repubblica Ceca. La rappresentativa italiana ha vinto la gara conquistando ben 41 medaglie.
In quell’occasione KarateDo Magazine ha raccolto alcune considerazioni di Sensei Tommaso Mini, organizzatore e promotore dell’evento.
Tommaso Mini – 6° dan, di origini italiane (sicule), ma trapiantato in Svizzera – vanta una lunga esperienza in qualità di arbitro WKF e EKF, attualmente fa parte della commissione arbitrale WSKA ed è Presidente della commissione arbitrale della federazione di karate svizzera.
La passione e la dedizione verso il karate tradizionale lo vedono impegnato alla realizzazione del suo grande sogno: unificare il Karate Tradizionale Shobu Ippon.
Negli anni 70 e fino alla fine degli anni 80 il karate tradizionale era ai massimi livelli proprio grazie alla tecnica pulita.
La Fujimura Cup è alla sua 46^ edizione, che cosa determinò la scelta di una gara shobu ippon?
Shobu ippon per me rappresenta il “karate vero”, accessibile a tutti, quello in cui anche se un atleta non è fortissimo riesce comunque a raggiungere dei buoni risultati. Shobu ippon è anche la tradizione del karate, dove si cerca sempre di dare tutto e dove si può perdere al primo turno, perché magari il proprio livello di concentrazione non era al massimo.
La Fujimura Cup è sempre stata shobu ippon; anni fa, in alcune edizioni, allo shobu ippon avevamo affiancato anche il regolamento del karate sportivo, però poi siamo ritornati sui nostri passi.
Da dove nasce la risolutezza nel tenere saldi i principi del karate tradizionale e dello shobu ippon, quando attualmente il regolamento WKF sembra avere la meglio?
Allora, se definiamo il karate come difesa personale, ecco che il karate tradizionale shobu ippon ne è la chiara risposta.
Mi viene in mente un detto giapponese: “Bisogna vedere le cose con il cuore, perché non si possono carpire solo con gli occhi”… questo a dire che non ha importanza quanto siamo piccoli nello shobu ippon.
Il regolamento WKF è stata la ragione per cui io ho deciso di terminare la mia collaborazione.
Negli anni 70 e fino alla fine degli anni 80 il karate tradizionale era ai massimi livelli proprio grazie alla tecnica pulita, perché il karate devono capirlo tutti! Se nel karate c’è una tecnica che l’arbitro dà per buona e nessuno la capisce, significa che c’è un problema e questo non va bene. Devono capirlo tutti ed è questa la cosa che mi appassiona tantissimo! È anche il motivo per cui tento di portare avanti il karate tradizionale: cercare la chiarezza nel giudizio arbitrale. Quando riusciremo, noi arbitri, atleti e tecnici, ad arrivare alla totale chiarezza su come capire, vedere e saper giudicare una tecnica, allora avremo fatto un ottimo lavoro.
Poi, per carità, il karate sportivo è giusto che ci sia. Nello sportivo c’è agonismo ad alto livello, un’atleticità fantastica, ma è tutt’altra cosa.
Ora, noi del karate tradizionale, dobbiamo concentrarci sul “nostro karate” e spingere in avanti!
Fino al 2012 Lei ha fatto parte della Commissione arbitri WKF, che cosa pensa dell’accesso del karate alle Olimpiadi del 2020?
Sono stato per ventotto anni parte della WKF (World Karate Federation), diciamo ad alti livelli, quindi, conosco quel tipo di karate che va benissimo e, ripeto, è giusto che esista. Sono felice che siano riusciti a fare entrare il karate alle Olimpiadi, poi, che per il 2024 non l’abbiano accettato mi ha allibito non poco, però, sotto un certo aspetto, c’è anche molta logica, ma non è colpa degli atleti che si sacrificano e danno tanto. Però, se si guarda il karate olimpico, l’organizzazione manca completamente e non ci sono strutture; non si può paragonare l’organizzazione di qualsiasi altra disciplina olimpica con quella del karate in cui non c’è struttura.
A mio avviso, non è giusto il regolamento: il regolamento WKF è stata la ragione per cui io ho deciso di terminare la mia collaborazione. Un giudice di gara deve poter decidere per il sì oppure per il no, quando c’è o non c’è punto, e questo nella WKF non lo puoi fare. Nella WKF possono dire quando c’è un punto, ma non possono dire che non è punto. Quindi che tipo di giudizio è? Puoi dire sì, ma non hai la facoltà di dire no! Non è logico.
Uno sport deve sempre essere protetto dalle influenze esterne. In base al regolamento se due arbitri dicono di sì, si deve dare il punto anche se, per esempio, è un metro fuori e, per me, questo è sbagliatissimo. Questa è una cosa che i dirigenti non capiscono, forse perché vedono le cose non con il cuore, ma con gli occhi…
Se vogliamo tenere solido e vivo il karate tradizionale, bisogna unirsi e fare di più.
Qual è la sua opinione sull’ESKA?
L’ESKA (European Shotokan Karate Association) è una piccola realtà, ma una grande organizzazione! Però, deve “svegliarsi” e velocizzarsi. Lo ribadisco di continuo ai dirigenti: deve fare di più, creare più opportunità per tutti, dev’essere più dinamica e reattiva.
Sto spingendo l’ESKA a organizzare più gare di questo genere, come la Fujimura, per dare l’opportunità agli atleti di confrontarsi e misurarsi sempre, perché se vogliamo tenere solido e vivo il karate tradizionale, bisogna unirsi e fare di più.