Vi raccontiamo la storia del piccolo karateka che attraverso i media e i social ha commosso il mondo.
Fare il giornalista è sempre meglio che lavorare, così dicevano illustri cronisti. Probabilmente è vero. Fra i vantaggi che offre il “mestieraccio” c’è l’opportunità di raccontare storie meravigliose e particolari come questa; quella di un angelo di otto anni di nome Miguel, che non si lamenta mai della sorte sfortunata che gli è toccata. Quando aveva quattro anni gli è stata diagnosticata una malattia polmonare molto grave, incurabile. Da allora e, soprattutto, da quando pratica karate, il bambino afferma di vivere quattro vite: la sua; quella della mamma che gli sta sempre vicino, anche sul tatami; quella della cisterna + manichetta, che sono il magazzino per l’aria che gli serve; quella del tubo salvavita che gli porta l’ossigeno, collegato al suo naso.
La straordinarietà del caso è che Miguel giorno per giorno mostra a tutti gli atleti il vero spirito del karate.
In verità i problemi di salute del piccolo Santos Perez erano iniziati all’età di sei mesi. Finiva spesso in terapia intensiva all’ospedale e in coma indotto.
La madre, Samara Samis, era disperata perché il piccolo era preda di ogni sorta di infezioni, nessuna così grave da stroncarlo, ma fortemente debilitanti. Oltre alle infezioni si scoperse che c’era di più: la mancanza di una sostanza che copre la superficie dei polmoni come un film protettivo.
Si era anche trovata una terapia sperimentale diversa, già utilizzata in casi analoghi in Inghilterra, ma Miguel stesso non volle rinunciare alla sua maschera, che era diventata compagna abituale delle sue giornate.
Fra l’altro, per ulteriori disturbi, era anche costretto a portare un catetere – anche se non per tutta la giornata.
Il bambino abita nei sobborghi di Santos, città brasiliana di circa 450.000 abitanti, con il papà e la mamma che si dedicano completamente a lui. Quando ha cominciato a frequentare la scuola, col suo “cordone ombelicale” appresso, spesso i passanti in strada e gli scolari lo guardavano in maniera strana. Miguel non ci ha proprio fatto caso. Pur essendo timido e sensibile, non ha mai pianto né litigato con i compagni.
Insieme alle lezioni a scuola, ha seguito una routine precisa che comprende visite dallo psicologo, dall’otorino e dal fisioterapista, oltre che dal medico di base.
A sette anni ha espresso il desiderio di praticare karate. Il Sensei Altair Peique – cintura nera 2° Dan, stile Goshinkai – professore di storia oltre che insegnante di arti marziali, lo ha accolto a braccia aperte nel suo dojo e dopo 6 mesi lo ha iscritto alla prima gara, nonostante i dubbi della madre. Competizione di kata, “combattimento immaginario”. In effetti, è l’unica specialità che potesse portare avanti, il kumite con i possibili contatti involontari è troppo pericoloso per una creatura così fragile, che potrebbe farsi molto male per i colpi ricevuti. Durante il training Miguel lavora sui kata, sui kihon e soprattutto sul mantenimento dell’equilibrio, della stabilità nelle posizioni e ovviamente sulla respirazione. Inoltre, cerca di mantenere la calma, senza agitarsi e correre dappertutto, come spesso fanno gli altri bambini della sua età in palestra.
Per il suo Maestro, Miguel è l’incarnazione del vero eroe, che supera ostacoli e recupera dagli sforzi senza batter ciglio. L’obiettivo, secondo Peique, non è quello di innalzare il suo rendimento atletico per farne un campione, ma piuttosto quello di regalargli la possibilità di un’esperienza di vita normale, fare sport appunto, comune a tanti altri ragazzini. La straordinarietà del caso è che Miguel giorno per giorno mostra a tutti gli atleti il vero spirito del karate. Ovvero, il fatto che si presta a essere uno strumento che lo aiuta a oltrepassare i suoi limiti, ad abbattere qualsiasi barriera.
Durante il primo incontro, a un arbitro che contestava la presenza delle apparecchiature sanitarie sul tappeto, la mamma rispose che Miguel non stava gareggiando, ma stava impegnandosi in una lotta fra la sua propria vita e ciò che gli si oppone. Tanto bastò per zittire il giudice. Miguel non vinse. Attorno a lui gli altri dicevano che avrebbe vinto la prossima volta. Il bambino non pianse, non si ritirò e in capo a sei mesi salì sul podio a ricevere la sua prima medaglia, condividendo la sua gioia col suo migliore amico. La mamma disse che quel giorno Miguel era nato per la seconda volta.
… stava impegnandosi in una lotta fra la sua propria vita e ciò che gli si oppone.
Grazie a Diego Moraes, un tempo istruttore di karate e oggi reporter di Rede Globo, la vicenda di Miguel è diventata popolare in tv e sui social. Tanto che poi è partita una campagna di raccolta fondi che ha permesso alla famiglia Perez di acquistare un nuovo apparecchio della Philips, molto più efficiente e capiente, che dota il bambino di ossigeno molto velocemente.
Cresce rapidamente, il ragazzo, e partecipa a tornei sempre più importanti come quello indetto dalla federazione di San Paolo, con più di 600 iscritti, il cosiddetto ‘Trofeo dei campioni’ dove era sicuramente una delle “attrazioni” principali.
Non è riuscito a vincere, era un pochino triste, perciò l’organizzazione ha pensato per lui a un premio speciale, una medaglia d’oro come ricordo di una giornata intensa.
Il prossimo traguardo, il prossimo sogno da realizzare per Miguel? Cavalcare sulle onde dell’oceano col surf. Certo è difficile attaccato alla maschera, però il bambino è fiducioso di potercela fare. E a questo pensiero, quando viene interrogato sul suo futuro, sorride.