“L’agonismo mi ha insegnato che nulla è impossibile e che il sacrificio non è altro che un ponte solido tra i sogni e la realtà.”
NOME
Alessandro Mezzena
LUOGO DI NASCITA
Trieste
DATA DI NASCITA
2 Marzo 1989
SPECIALITÀ
Kata
CLUB DOJO
Ki Dojo Verona
MEDAGLIERE
2004
– Camp. It. Marroni: 2° kata ind. / 3° kum. ind.
2005
– Camp. It.: 3° kum. ind.
– Tr. delle Regioni: 3° kata ind.
2006
– Tr. delle Regioni: 2° kata sq.
2010
– Camp. It.: 2° kata sq.
– Adria Cup: 3° kata ind. / 2° kata sq.
2012
– Heart Cup: 3° kata ind.
2013
– Coppa Shotokan: 1° kata ind.
2014
– Heart Cup: 3° kata ind. / 2° kata sq. Club / 1° kata sq. rappresentative
– Fujimura Cup ESKA (Svizzera): 2° kata ind. / 3° kata sq.
– Camp. It.: 4° kata ind.
2015
– Fujimura Cup ESKA (Svizzera): 1° kata sq.
– Camp. It.: 1° kata ind. / 2° kata sq.
– WSKA: 4° kata sq.
2016
– Heart Cup: 2° kata sq. Club / 1° kata sq. rappresentative
– Camp. It.: 1° kata ind. / 4° kata sq.
– ESKA (Grecia): 6° kata sq.
– Coppa Shotokan: 2° kata ind.
2017
– Fujimura Cup ESKA (Svizzera): 2° kata ind. / 1° kata sq.
– Camp. It.: 2° kata ind. / 3° kata sq.
– WSKA (Italia): 1° kata sq.
2018
– Heart Cup: 2° kata sq. club
– Fujimura Cup ESKA (Svizzera): 2° kata ind.
– Camp. It.: 4° kata ind. / 3° kata sq.
Quando hai iniziato a praticare karate?
Ho iniziato a praticare nel 1995 a Gorizia in quanto mio papà Carlo (che ora fa parte della Commissione Medica FIKTA) voleva che diventassi la sua piccola “guardia del corpo”. Mi sono sempre piaciute le arti marziali in quanto, come molti, da bambino guardavo Batman o le Tartarughe Ninja e sognavo di poter “picchiare i cattivi”. Quando nel 1995 mi sono trasferito da Trieste a Gorizia, mio papà ha subito cercato un dojo e, consigliato da alcuni amici, mi ha iscritto nel settembre 1995 al Sankaku Isonzo del M° Enrico Visintin. (In realtà la mia prima esperienza di karate era stata a Trieste, quando avevo 4 anni, ma in quel dojo durai soltanto due allenamenti).
… alle gare di kata a squadre partecipo insieme a Francesco Carturan e Manuel Brentegani con cui ho raggiunto risultati fantastici e indimenticabili.
Ci racconti del rapporto con il tuo Maestro attuale e con quelli passati?
Nella mia carriera ho avuto e seguito davvero molti maestri. Nella prima parte della mia pratica, al Sankaku Isonzo, sono stato seguito da tre figure che mi hanno insegnato moltissimo. Il Maestro Munafò mi ha fatto muovere i primi passi nel mondo del karate e mi ha insegnato con incredibile pazienza tutte le basi tecniche, i primi kata e combattimenti. Una volta cresciuto un po’ sono stato seguito dal Maestro Scarpin: con lui ho affinato e raffinato molto la mia tecnica già da bambino con degli allenamenti severi, ma che ancora oggi ricordo come fantastici. Infine, sono stato seguito dal Maestro Visintin che mi ha insegnato, con grande motivazione, come il kata non debba essere fine a se stesso, ma debba impressionare chi lo guarda da fuori, che sia un arbitro o un profano del karate.
Nel 2008 mi sono trasferito al Ronin FVG, sempre a Gorizia. Qui ho rincontrato il M° Munafò con il quale ho condiviso momenti bellissimi. Mi ricordo che ci vedevamo praticamente ogni giorno e talvolta ci allenavamo addirittura nella sua soffitta. Con lui ho imparato tante cose, ma soprattutto a divertirmi come quando ero bambino durante il kata, caratteristica che cerco di mantenere ancora oggi a 29 anni. Inoltre, sempre al Ronin FVG, sono stato seguito dal Maestro Cralli con cui ho anche affrontato un Campionato Italiano Fascia A di kata a squadre nel 2012. Lui mi ha insegnato a non fissarmi su dei canoni o su ciò che so fare bene, ma a migliorare a “tutto tondo”, specie in ciò che faccio peggio.
Infine, la terza figura è stata rappresentata dal Maestro Scarbolo che, insieme a Cralli e Munafò, mi ha insegnato a combattere e a respirare nel kata; inoltre, mi ha aiutato ad apprezzare gli allenamenti di kumite, anche se non è la mia specialità.
Fino al 2012 poi, ho viaggiato molto per l’Italia e frequentando spesso Milano. Qui mi allenavo con i Maestri Fugazza, Cardinale e Acri il quale è ancora oggi il nostro allenatore in Nazionale e ci segue nei raduni mensili alla Yudanshakai.
A Milano ho imparato a “rubare con gli occhi” e mi sono allenato con molti campioni: Roberto Mariani, Mirko Saffioti, Shaira Taha… solo per citarne alcuni. Da loro cercavo di imparare il più possibile guardandone i movimenti e il loro modo di fare kata e kumite. Poi tavolta, anche se raramente, mi trovavo in coppia con loro (ricordo per esempio un paio di esercizi di kumite alla Nikamon con Shaira) e cercavo in tutti i modi di non sbagliare e di fare tutto al meglio. Insomma, ho stupendi ricordi di quei momenti.
Nel 2013 ho invece cambiato completamente strada, dopo un Campionato Italiano finito con una cocente delusione e un infortunio. Già nel 2012 avevo incontrato il Maestro Frare grazie al CSAK Veneto e così ho deciso di trasferirmi in Veneto al Ki Dojo Verona. Il Maestro Frare per me è un Guru, una costante ispirazione, un fuoco che divampa, ma sopratutto per me funziona come una bussola, ovvero mi fa ritrovare me stesso quando mi sento “smarrito”. Mi ricordo che prima del trasferimento al Ki Dojo gli dissi: “Maestro vorrei venire a Verona per migliorare me stesso, non per vincere“. Lui mi rispose: “Vincere sarà solo una conseguenza del tuo miglioramento“… ed è effettivamente stato così. Ogni allenamento insieme a lui è speciale, mi ha insegnato a non avere mai paura, a osare e sognare sempre in grande e ad avere pazienza. In lui ho trovato una guida saggia che attraverso il karate mi ha fatto esprimere ciò che di più recondito avevo nel cuore e di questo lo ringrazierò per sempre.
C’è un motivo per cui hai scelto il Karate Tradizionale o è stato casuale?
Il tutto è stato completamente casuale. Al tempo non ero a conoscenza che esistessero un karate tradizionale e un karate sportivo, né che esistessero i diversi stili. Così sono stato iscritto in una palestra di karate tradizionale per puro caso, il Sankaku Isonzo. Da bambino comunque partecipai a delle gare di karate sportivo targate FILPJK o CSEN dove mi resi conto di alcune piccole “diversità” rispetto alla realtà FIKTA a cui ero abituato. Principalmente, a queste gare sportive io portavo i kata Heian, dipendenti dalla cintura colorata che stringevo in vita, mentre i bambini della mia stessa età e cintura portavano Gojushihosho o Unsu… ovviamente, non vincevo mai! Ma non mi demoralizzavo, anzi, ci ho sempre provato.
Comunque, crescendo non mi sono mai precluso alcuna esperienza e ho capito quelle fatte da bambino, poi ovviamente ho scelto ciò che era più consono al mio modo di fare karate. Qualche tempo fa ho letto un intervento del M° Ghizzardi tratto dal pensiero del M° Kagawa, il quale non parla di karate sportivo o tradizionale, ma semplicemente di karate “fatto bene” o “fatto male”. Sono assolutamente d’accordo, ognuno scelga la sua strada, importanti poi sono lo studio, la ricerca personale e il lavoro.
Quando sei diventato agonista?
Sono stato agonista fin da subito. Quando ho cominciato, nel 1995, ho subito fatto le mie prime gare in giro per il Friuli, con la mia cintura bianca stretta intorno alla vita accompagnato da mio papà Carlo e mia mamma Annamaria che amorevolmente si alzavano la domenica mattina.
Poi ho partecipato a molti Trofei Topolino (fino al 2003) arrivando a vincerne 3, a diversi Giochi Primavera (gara che mi piaceva molto per la struttura del kata a coppie e che ho vinto 3 o 4 volte) e a vari Meeting Europei, che però non sono mai riuscito a vincere. L’agonismo ce l’ho dentro da sempre. Sono molto competitivo in tutto, anche se gioco a ping pong in giardino contro mio fratello! È una cosa che mi dà la carica, che mi fa sentire emozioni incredibili e diverse ogni volta.
Dove, come e quanto ti alleni? Fai anche una preparazione atletica?
Il mio dojo è a Verona, al Centro Polisportivo Don Calabria. Lì mi alleno, seguito dal mio Maestro, circa 4 volte a settimana, talvolta 5 se possibile e se il lavoro me lo permette. Dal 2011 (anno della mia prima convocazione in Nazionale ISI) seguo anche una preparazione atletica.
Quando vivevo a Gorizia e studiavo, mi facevo seguire da Fabrizio Zotti, un ex atleta FIKTA e storico compagno di squadra esperto nella preparazione atletica. Con lui seguivo allenamenti davvero molto intensi, che però mi hanno insegnato anche molto su me stesso e su quanto si può migliorare. Fabrizio mi ha insegnato che il miglioramento fisico è infinito e che parte tutto dalla volontà e dalla testa: rimarrà sempre il mio preparatore preferito. Ù
Ora come ora ho messo da parte i pesi e gli esercizi a corpo libero e vado a correre almeno 2-4 volte a settimana. Cerco di crearmi dei programmi di allenamento che assomiglino allo sforzo aerobico dei kata che devo fare. La corsa mi dà tantissimo: quando corro mi sento libero come quando eseguo un kata. E poi vedo dei risultati eccezionali a livello aerobico/atletico.
Com’è il rapporto con i tuoi compagni di squadra?
Direi ottimo, sia con la mia squadra di club, sia con la squadra nazionale. Al Ki Dojo Verona abbiamo un gruppo speciale di amatori e un nutrito gruppo di agonisti a cui cerco di portare la mia esperienza e a cui cerco di “insegnare” sempre il valore del sacrificio e del duro lavoro. Poi, nello specifico, alle gare di kata a squadre partecipo insieme a Francesco Carturan e Manuel Brentegani con cui ho raggiunto risultati fantastici e indimenticabili e con il quale vorrei un giorno vincere l’oro agli Assoluti FIKTA (finora siamo arrivati massimo all’argento nel 2015). Anche in Nazionale mi trovo bene nonostante veniamo tutti da realtà completamente diverse. È un bel gruppo… e poi Nicola Bianchi è un capitano perfetto.
Il tempo che dedichi agli allenamenti incide nella vita privata? Cosa ti ha dato e cosa ti ha tolto praticare agonismo?
Incide, ma non troppo, in quanto la mia fidanzata, con cui convivo, è Martina Tommasi, anche lei atleta della Nazionale FIKTA (con cui condivido allenamenti e raduni). Ora come ora, vivendo lontano dalla mia famiglia (io vivo a Verona, loro a Gorizia), sicuramente avere tanti weekend impegnati in attività di karate, non mi permette di tornare a casa a trovarli con la frequenza che vorrei, ma loro mi hanno sempre spronato a seguire questa via agonistica e quindi mi aspettano con ansia, ma senza prendersela.
L’agonismo mi ha dato la possibilità di esprimermi in ogni campo, non solo sul tatami. Mi ha insegnato che nulla è impossibile e che il sacrificio non è altro che un ponte solido tra i sogni e la realtà. Mi ha insegnato anche che siamo uomini tra gli uomini, e che quindi nessuno è invincibile o inarrivabile: bisogna sempre provarci e non è finita finché non è finita. Pensandoci, l’agonismo in realtà non mi ha tolto nulla, in quanto mi sono sempre circondato di persone che hanno capito ciò che faccio. Il tempo per gli amici e per le mie cose importanti l’ho sempre trovato, nonostante i weekend fitti.
Lo scoglio personale su cui hai dovuto, o devi ancora, “lavorare” maggiormente?
Ho dovuto lavorare molto sull’avere pazienza ed evitare la fretta. Talvolta mi sarebbe piaciuto che i miglioramenti fossero veloci come accade nei personaggi dei videogiochi: allenamento fatto e caratteristica migliorata. Ovviamente questo non è mai stato possibile. Specie quando ero cadetto e speranza (ma anche i primi anni da junior e senior), mi vedevo sempre inferiore fisicamente rispetto ad alcuni dei miei avversari che si erano sviluppati più velocemente di me. Andavo in palestra e speravo di fare massa muscolare in breve tempo per poterli raggiungere. Alle gare mi dicevano spesso “Sì, buona tecnica, bella esplosività, però sei leggerino… “ e io, ovviamente, non capivo… caricando ancora di più le spalle per fare più forte, pensando che fosse tutta una questione fisica.
In un’estate a Gorizia, io e il M° Munafò ci siamo concentrati solo sulla respirazione e lì è cominciato a cambiare il tutto, aumentando la stabilità e il kime del mio kata mantenendone la forma e la rapidità.
Un altro punto importante è stata la Nazionale: al tempo la squadra ISI era formata da Fabio Cuscona, Nicola Bianchi e Simone Pontiggia. Al primo raduno mi ricordo che li guardavo e li riguardavo e mi dicevo “ma che ci faccio qui? Guarda che bestie che sono. Non farò mai come loro!”. Lì avevo subito capito quanto avrei avuto bisogno di migliorare progressivamente a livello fisico e atletico. Attraverso i Raduni, stando a contatto con i migliori atleti italiani, sono cresciuto tantissimo sia mentalmente sia fisicamente e, dopo qualche anno, sono entrato in squadra e ho cominciato a partire per i Campionati Internazionali.
Poi, sicuramente, l’ago della mia bilancia è stato il M° Frare. Mi ricordo alcuni allenamenti in cui eravamo da soli io e lui: a volte lavoravamo su cose molto semplici e basiche, mentre altre volte ci mettevamo semplicemente a parlare. Lui mi ha fatto capire che la tecnica non è altro che un’espressione di me stesso e che devo esprimere il mio karate, ovvero ciò che la mia conformazione fisica mi permette di fare. Ci ho messo un po’ a capire e tutt’oggi ancora mi “perdo”, ma c’è sempre lui a prendermi per mano e a dirmi “abbi pazienza e vedrai”.
… io e il M° Munafò ci siamo concentrati solo sulla respirazione e lì è cominciato a cambiare il tutto, aumentando la stabilità e il kime del mio kata…
Secondo te, qual è la tua caratteristica come atleta?
Credo sia avere una grande forza di volontà, con una piccola nota di follia. Uno dei miei motti infatti è “no pai, no gain” (nessuna sofferenza, nessun guadagno), a parer mio solo col sacrificio e il duro lavoro quotidiano si possono raggiungere certi risultati e certe vette. A volte non è facile alzarsi, uscire, fare chilometri, allenarsi e tantomeno farlo in pausa pranzo o al ritorno da una lunga giornata di lavoro. Come dice una frase di una canzone a me molto cara: “questa è la mia vita… certi giorni è poca… certi giorni sembra troppa e invece non lo è mai”.
A noi atleti è richiesto di sopportare la fatica, il dolore e la pressione per ottenere l’eccellenza da noi stessi. Bisogna passare attraverso molte difficoltà, talvolta i miglioramenti sono lenti e impercettibili, ma è importante non mollare mai. Ecco io sono così: non mollo mai, men che meno quando sono sul tatami. Ho incontrato tanti campioni nella mia carriera; a volte ho vinto, altre volte ho perso, ma non ho mai detto “ho già perso”. Anzi, mi sono sempre battuto fino all’ultimo kata. Il M° Acri mi ha insegnato una grande frase tanti anni fa: “Se non ci credi tu, non ci crede nessuno”… aveva proprio ragione.
In cosa ti senti più preparato e perché? Che cosa ti permette di provare o di esprimere?
Da sempre le mia specialità sono il kata individuale e il kata a squadre. Ho sempre trovato queste pratiche più consone alle mie caratteristiche fisiche e alla mia personalità, anche se maturando sto sempre più riscoprendo il piacere di fare kumite e il karate a tutto tondo (ho sempre infatti invidiato atleti completi e competitivi in tutte le specialità come Giampaolo Girotti). Nel kata c’è però qualcosa che mi attira e mi affascina da sempre, sia nel farlo sia nel vederlo fare. Mi ricordo da bambino quando vidi per la prima volta il salto di Unsu di Roberto Mariani… mi si accese dentro qualcosa e mi dissi “riuscirò anche io a saltare così un giorno?”. Conoscevo Roberto perché lo vedevo agli stage del M° Marchini. Lo guardavo sempre alle gare che potevo seguire, lo osservavo scaldarsi e sognavo di diventare così.
Già da bambino mi allenavo tantissimo sui kata e col tempo e la maturità ho cercato di affinare la mia tecnica. Con i miei vaggi e gli stage ho imparato l’importanza dello studio dei bunkai che danno significato al kata. Ho capito che il kata va provato e riprovato migliaia di volte fino alla fatica più estrema. La costante ricerca della perfezione è il pane quotidiano di noi agonisti di kata ed è ciò che mi piace di più… della serie “così va bene, ma si può fare ancora meglio”. Io vivo così il kata: non c’è mai fine alla ricerca e al miglioramento personale. Bisogna sempre ritenersi dei principianti: chiedere, ascoltare, guardare, è uno studio che non finisce e non finirà mai. Credere di essere arrivati è soltanto un’illusione. Quando eseguo un kata individuale mi dico “è il mio momento”. Tutto ciò che sta intorno sparisce, esistiamo solo io e il tatami. Questo mi permette di entrare in una dimensione energetica più alta, fatta di libertà e passione allo stato puro.
Nel kata a squadre invece ciò che mi piace di più è il sentire che non sono da solo. In quel triangolo c’è l’energia di tre persone diverse, ma che nell’esecuzione del kata diventano una cosa sola. Il lavoro sulla sincronia è lungo e faticoso, ma porta a risultati incredibili; il tutto non deve essere meccanico, devi imparare a sentire gli altri, vivere i loro movimenti e i loro pensieri, solo così la squadra può raggiungere livelli altissimi. Durante gli allenamenti ai miei compagni cerco sempre di dare la carica, ascoltandoli e spronandoli a dare sempre il massimo, non c’è altro segreto.
L’avversario (reale o psicologico) più temibile?
Uno degli avversari più temibili secondo me è la mente. Il mio Maestro mi ha insegnato che la mente è corpo e il corpo è mente. Riguardo a questo concetto io ho capito che se la mente non è ben focalizzata, non è vuota di pensieri, allora neanche il corpo potrà elevarsi verso un buon karate e quindi, agonisticamente parlando, quel giorno sarà difficile esprimersi con dei buoni kata.
Altro avversario temibile secondo me è il giudizio. Quante volte mi è capitato di dirmi “che schifo che ho fatto”. Invece, in realtà, è tutto perfetto così, perchè conta il qui e ora e non ciò che avevo pianificato o immaginato precedentemente nella mia testa.
Di atleti bravi poi ce ne sono tanti, sia in Italia sia all’estero. Quello che mi contraddistingue è non darmi mai per vinto. Incontrare un avversario bravo per me è uno stimolo fortissimo, mi fa tirare fuori il meglio, poi, che si vinca o che si perda l’importante è divertirsi sempre. Ricordo alla Coppa Shotokan 2011 quando a bandierine incontrai Fabio Cattaneo, persi 5 a 0, ma forse feci il miglior Tekki Shodan della mia vita.
Cosa ti ha insegnato il karate?
Il karate mi accompagna da quando avevo 6 anni, quindi, ci sono cresciuto dentro e mi sono formato con esso. Mi ha insegnato il rispetto, la pazienza e la perseveranza. Mi ha insegnato a godermi non solo i traguardi, ma anche e soprattutto i percorsi che ci sono prima. Mi ha insegnato che una sconfitta non nega una carriera piena e soddisfacente, ma ne fa semplicemente parte. Mi ha insegnato a credere in me stesso e a non mollare mai. Ogni giorno mi migliora e mi fa crescere come uomo.
Il ricordo più appagante e quello più spiacevole della tua carriera?
Di ricordi belli ne ho veramente tanti: dal primo Trofeo Topolino vinto nel 2000, alla conquista della cintura nera nel 2004, grazie all’argento nel kata e al bronzo nel kumite al Campionato Italiano Cinture Marroni, fino al primo oro singolare senior nel 2015 ai Campionati Assoluti FIKTA. Però, l’episodio più incredibile e commovente è stato sicuramente ai Campionati Mondiali WSKA 2017 di Treviso dove, insieme a Nicola Bianchi e Francesco Rocchetti, ho raggiunto il tetto del mondo nel kata a squadre. Quando ho capito che anche l’ultima squadra scesa sul tatami aveva un punteggio inferiore al nostro, mi sono messo a saltare e a urlare “Sììì!”. Poi con Nicola e Cek ci siamo fraternamente stretti in un grande abbraccio e io mi sono messo a piangere dalla felicità.
Uno degli episodi più spiacevoli della mia carriera, invece, è stato agli Italiani 2013 a Castellanza. Durante la finale a otto e l’esecuzione del kata Unsu mi sono stirato e ho perso vistosamente l’equilibrio, finendo la finale al 7° posto. Per me quella finale è stata la fine di un’era e l’inizio di un’altra… ho trovato forza in una nuova strada ed è cambiato tutto: ho cominciato una seconda carriera a Verona con il M° Frare a cui mi sono affidato completamente e che mi ha aiutato a migliorare me stesso e il mio karate, portandomi così a risultati meravigliosi.
Ultimamente però, purtroppo, credo di essere incappato nell’episodio sicuramente più spiacevole di tutta la mia carriera. Infatti, per un brutto infortunio alla schiena subito al penultimo Raduno della Nazionale di kata 2018 (parliamo di storia recente), i medici mi hanno riferito che non avrei potuto partecipare né al kata individuale né al kata a squadre al Campionato Europeo ESKA 2018 tenutosi Serbia. Ho provato con tutte le mie forze a recuperare, specialmente per il kata a squadre, ma purtroppo non è stato possibile scendere sul tatami e quindi ho dovuto rinunciare. In ogni caso, i miei due compagni si sono comportati benissimo lo stesso, insieme alla new entry Francesco Federico, e sono riusciti a conquistare un bellissimo bronzo europeo. Sono super orgoglioso di loro!
Hai un aneddoto del tuo percorso agonistico che ti piacerebbe condividere?
Sicuramente un bell’aneddoto successe quando ero bambino e partecipai al Trofeo Topolino nel 2000. Mio papà era sugli spalti a seguirmi e io gareggiavo abbastanza lontano dalla sua postazione. Al momento delle premiazioni mi diedero la targhetta del primo classificato, solo che mio papà non aveva capito che io fossi arrivato primo. Non appena lo incontrai sugli spalti, mi disse “Beh, bravo Ale, sei arrivato terzo” e io gli risposi “Ma no papà ho vinto!! Sono arrivato primo!”. Mi ricordo che mi strinse fortissimo all’istante e si commosse profondamente. È stato un momento che ho stampato nella mente come uno dei più belli di sempre.
Guardi mai i video dei kata nel web?
Cerco di guardare video di kata per prendere ispirazione da atleti più bravi di me. A volte dico “che figata sta roba!”, mentre guardo un passaggio o un movimento in video, e poi nel mio dojo cerco di riprodurlo e farlo mio, magari modificandolo secondo le mie caratteristiche.
Mi piace molto guardare i kata femminili, per l’eleganza e la grazia che hanno le donne nell’esecuzione dei kata. Poi guardo anche le vecchie competizioni. I miei kata preferiti restano quelli di Roberto Mariani, il mio mito da quando ero bambino, e con il quale ho potuto stringere negli anni un bel rapporto di amicizia.
Ti piacerebbe essere un atleta professionista?
Sicuramente sì, anche se sono felice del mio lavoro da farmacista. C’è stato un momento in cui, 10-15 anni fa, ho sognato di poterlo diventare, ma poi la vita mi ha portato su altre vie. Il problema principale è che di sogni non si vive e ci vuole una certa retribuzione per mantenere una famiglia. Mi piacerebbe un giorno aprire il mio dojo, magari con la mia dolce metà Martina e, perché no, poter vivere di karate come il mio Maestro.
Cosa pensi del karate alle Olimpiadi 2020?
Penso sia un’opportunità a patto che non rovini l’essenza di ciò che il karate insegna. Sicuramente si vedrà un karate di grande valore atletico con prestazioni di alto livello sia nel kata sia nel kumite: questo darà un’enorme e innegabile visibilità mediatica.
Il M° Frare … mi ha fatto capire che la tecnica non è altro che un’espressione di me stesso e che devo esprimere il mio karate.
Cosa vedi nel il tuo futuro?
Mi vedo felice, perchè se anche la mia carriera dovesse finire domani, non avrei alcun rimpianto. Mi vedo sicuramente nel mio dojo, magari con qualche Dan in più, a seguire come sempre il mio Maestro, con il quale spero di crescere ancora molto sia come atleta sia come praticante.
Mi piacerebbe molto curare la parte spirituale del karate, quella più meditativa, più inconscia e profonda… magari fare dei corsi a riguardo per capire meglio ciò che sta al di là della tecnica e del corpo. Sicuramente la mia pratica non si fermerà con la fine dell’agonismo, anzi, secondo me diventerà sempre più consapevole col passare del tempo. Poi magari troverò altri “sbocchi competitivi”: mi piacerebbe provare delle gare di corsa in montagna insieme a mio fratello Francesco, che da anni partecipa a competizioni di questo genere. Perchè la corsa? Perchè è uno sport che racconta sempre la verità. Puoi contare solo su te stesso, sui tuoi polmoni e le tue gambe; la corsa è essere liberi di poter seguire la tua andatura, il tuo corpo e la tua via, esattamente come il kata.
Infine, come ho già accenato prima, mi piacerebbe tornare a insegnare visti i 10 anni bellissimi passati come aiuto-insegnante al Ronin FVG. Mi piacerebbe vivere questa esperienza insieme alla mia fidanzata Martina. Sarebbe bello poter seguire insieme un gruppo agonistico a cui portare la nostra passione e la nostra determinazione, poterli seguire nelle competizioni più importanti e accompagnarli verso grandi risultati, ma soprattutto farli crescere con il karate nel cuore. Come sarebbe altrettanto bello seguire dei gruppi di bambini e di amatori adulti, creando un realtà solida tutti insieme.