Dal Jutsu al Do: precetti e insegnamenti degli antichi Maestri di arti marziali.
Come all’epoca di Hohan Soken Sensei (fondatore dello Shorinryu Matsumura Seito Karate-do) in cui, nella stessa culla del Karate – Okinawa –, si credeva che il suo metodo fosse troppo duro e “rozzo”, quasi da non essere paragonabile agli stili di Karate che erano da poco nati e alle altre linee dello Shorin-ryu che si erano sviluppate (ci si riferisce al periodo a cavallo tra gli anni 50 e 60), ancora oggi spesso si crede che il metodo ortodosso, contemplato nella branca del cosiddetto Karate-jutsu 空手術, sia privo di elementi filosofici o inerenti la sfera maggiormente spirituale del praticante e la morale del Budo, e sia esclusivamente caratterizzato da una metodologia di allenamento che non può essere per nulla educativa, soprattutto nella fascia dei praticanti giovani.
Spesso si crede che il metodo ortodosso, contemplato nella branca del cosiddetto Karate-jutsu 空手術, sia privo di elementi filosofici.
Tutto ciò risulta assolutamente falso e privo di fondamento, anzi, per contro, si può affermare che il Karate-jutsu o comunque il Karate di vecchio stampo è un metodo che affonda le proprie radici in un profondo approccio filosofico e di attitudine spirituale che il praticante deve avere, al fine di progredire come budoka nel senso più completo del termine. Nelle scuole vecchio stile, si dà estrema importanza a questo tipo di approccio e il Karate viene considerato una vera e propria dottrina educativa, infatti, al contrario di quanto si possa pensare, questa è una caratteristica legata in modo indissolubile al Jutsu così come lo è al Do, lo è per motivi sostanzialmente storici che di conseguenza vanno a fondersi con la materia prettamente tecnica.
C’è da ricordare che il Ko-ryu Bugei (arti marziali antiche, considerate tali se fondate fino alla Restaurazione Meiji), grazie al suo alto valore formativo, fu per molti secoli prerogativa della classe sociale superiore dei militari (Buke) e non doveva, a prescindere da qualche eccezione, essere separato dalla condizione militare e politica del Giappone (e quindi del guerriero). I potenti del Giappone riuscivano a controllare le arti marziali e a utilizzarle per i propri interessi, esse erano nelle mani dei militari e solo pochi maestri riuscivano a fondare delle scuole indipendenti.
La situazione era molto simile anche in Cina e a Okinawa; ad esempio, nonostante il margine di autonomia che in Okinawa avevano parecchi maestri, quando il Karate venne introdotto in Giappone dovette adattarsi agli scopi del famoso Dai Nippon Butoku Kai (già fondato alla fine del 1800), che erano quelli di risvegliare lo spirito bellico degli antichi Samurai nei moderni soldati e di prepararli alla nuova guerra, così esso da Karate-jutsu venne modificato in Karate-do 空手道 a sottolineare l’aspetto estremamente educativo e soprattutto di disciplina che doveva avere, ancor prima di essere un metodo di combattimento.
Dunque, anteriormente al verificarsi di questo passaggio, le arti marziali erano già basate su una filosofia di vita, su dettami legati sia alla morale sia alla religione, che risultarono funzionali alla disciplina militare soprattutto in Giappone, per cui il Jutsu, pur se praticato a scopo bellico, conteneva in sé una dottrina che forgiava anche la personalità del guerriero e lo educava a valori che oltrepassavano l’esigenza della lotta e della sopraffazione fisica dell’avversario. Anche durante il periodo di “restrizione”, comunque, le arti marziali che venivano praticate in segreto o solamente all’interno della famiglia (come il Matsumura Seito Karate o il Kojoryu), e che continuavano ad essere jutsu, contemplavano gli antichi elementi filosofici e spirituali tramandati come valori educativi.
Del resto se prendiamo in considerazione i padri del nostro Karate, in particolar modo Tode Sakugawa e Bushi Matsumura, possiamo verificare come essi abbiano lasciato in eredità importanti insegnamenti che vanno oltre la mera tecnica, addirittura in forma scritta essi hanno desiderato sigillare il rapporto che esiste tra la pratica del “Jutsu” e la cultura del “Do”, in realtà ancor prima che quest’ultimo termine fosse usato come elemento caratterizzante tutte le discipline marziali che ora conosciamo (Judo, Karate-do, Kendo, Kobudo etc.).
Lo stesso Gran Maestro Hohan Soken, di cui sopra, scrisse dieci regole per la pratica del Karate che risultano essere indicazioni di altissimo valore educativo, e che oggi sono diventati dei veri e propri Dojo Kun per tutte le scuole dello stile.
Nelle scuole vecchio stile si prendono molto in considerazione gli insegnamenti di questi Maestri, poche righe tramandate ai giorni nostri che spesso sono tradotte in modo leggermente diverso, ma che in tutte le versioni mantengono il significato profondo che essi hanno voluto esprimere. Questi loro enunciati restano di valore inestimabile da un punto di vista storico, ma lo sono ancor di più da un punto di vista filosofico-educativo, e ci si “limita” a seguire tali insegnamenti senza la necessità di cercare altrove le linee guida per la crescita personale del praticante.
Tode Sakugawa fu l’istitutore dei famosi “Cinque Precetti di Etichetta” che fanno da ispirazione ai classici Dojo Kun 道場訓 (le Regole del Dojo esposte in ogni scuola di Karate). Questi cinque precetti sono una lezione di morale relativa ai valori cui ogni karateka deve aspirare, tramandati dai vari maestri di Okinawa fino a noi.
- Moralità – Impegnati ad avere un’elevata morale
- Sincerità – Persegui una via sincera e onesta
- Perseveranza – Coltiva perseveranza o la volontà di conseguirla
- Rispetto – Sviluppa un’attitudine al rispetto
- Autocontrollo – Astieniti dalla violenza attraverso l’esercizio spirituale
Teti Kojo, terza generazione del Kojoryu, ritenuto da molti studiosi come colui che introdusse il Bubishi a Okinawa, importò nel metodo di famiglia una serie di dieci regole che ciascun membro e praticante doveva osservare, al fine di progredire nell’arte del combattimento ed elevarsi nella morale, queste regole, oggi seguite pedissequamente da ogni praticante di Kojoryu sono detti “Precetti e Proibizioni di Tatei”
Precetti:
– Ascoltare
– Credere
– Seguire
– Proteggere
– Donare
Proibizioni:
– Non accogliere
– Offendere
– Magnificare sé stessi
– Ostentare
– Obliare
È agevole notare che l’aspetto preponderante degli insegnamenti di Sakugawa, così come delle regole di Kojo, risiede nella particolare attenzione che il praticante deve rivolgere al foro interno e tanto a dimostrazione che un buon karateka deve anzitutto essere un uomo retto e dagli alti valori etici.
Gli altri principi che vengono presi in considerazione nelle scuole vecchio stile soprattutto del ramo Shuri-te, sono quelli trasmessi da Bushi Matsumura con calligrafia ammirevole nel suo Bucho Ikko, nel quale tra i vari insegnamenti lasciati al suo allievo elenca le “Sette Virtù del Bu”
- Bu proibisce la violenza
- Bu mantiene la disciplina tra i soldati
- Bu mantiene il controllo sulla popolazione
- Bu diffonde le virtù
- Bu dona pace al cuore
- Bu aiuta a mantenere la pace tra i popoli
- Bu rende prospero il popolo di una nazione
Dalle parole di Matsumura si evince con chiarezza la maggiore attenzione che il Maestro riserva all’aspetto politico-sociale, trasponendo precetti di natura squisitamente morale all’ambito del vivere comune. Egli, esulando da “classici filosofismi”, indica una dottrina da seguire in maniera semplice, realistica e profondamente spirituale, ma nel contempo pratica. Nonostante si tratti di documenti risalenti al XVII sec. il contenuto degli stessi è adattabile più che mai ai tempi moderni, perché animato da esigenze di ordine morale e civile fortemente sentite. Quanto appena detto non fa che confermare la già rilevata identità di fondamento ideologico tra il Do e il Jutsu, il quale pertanto non può assolutamente ritenersi privo di un contenuto filosofico e introspettivo.
La traduzione più attendibile delle “Dieci Regole di Etichetta”, impartite da Soken Sensei
- 1) I praticanti di Karate devono sempre adottare un’etichetta di comportamento.
- 2) Senza incertezze, inchinarsi all’inizio e alla fine dell’esecuzione di kata e kumite.
- 3) Quando si pratica, risvegliare la propria energia e concentrare tutta la propria forza. Praticare privi di energia è di grande ostacolo al progredire.
- 4) Guardare e ascoltare bene gli insegnamenti del proprio Maestro, dei praticanti anziani nella propria scuola e dei praticanti anziani nelle altre scuole. Lavorare duramente e perfezionare se stessi, non dimenticare mai.
- 5) Guardare e ascoltare sono due grandi chiavi del progredire. Come si migliora, la loro importanza diventa più evidente.
- 6) Praticare costantemente, anche se un po’ alla volta. Le interruzioni diventano una rottura del cammino o la base per un passo indietro.
- 7) Scoprire l’essenza della tecnica, guardare sullo stato del proprio cuore e pianificare il suo sviluppo. “Tecnica” e “cuore” sono come “omote” e “ura”.
- 8) Attenzione al troppo bere e all’eccesso di cibo. È una regola che bere troppo ed eccedere nel cibo riduce gli effetti della pratica.
- 9) Non perdere mai il pensiero di miglioramento, non allentare. La presunzione è una grave malattia facilmente contratta durante la pratica del Karate.
- 10) La pratica del Karate è senza limiti. Lavorare senza sosta, e si potrà un giorno entrare nel Tempio.
Il Jutsu, pur se praticato a scopo bellico, conteneva in sé una dottrina che forgiava anche la personalità del guerriero e lo educava a valori…
Hohan Soken Sensei è stato un grande contributo vivente all’Arte del Karate di Okinawa, e la sua opera è oggi ricordata tra le righe della famosa poesia che scrisse prima di mancare:
“Vi ho insegnato tutto ciò che conoscevo, non c’è nient’altro che posso ancora insegnare. Sono una candela la cui luce ha viaggiato lontano.
Voi siete le mie candele alle quali ho passato la mia luce. Sarete voi ad illuminare il sentiero per gli altri. Oggi vedo intorno a me le luci di Shaolin, le fiamme del domani.
Il mio compito è stato fatto, presto la mia fiamma si spegnerà.
Insegnate il vero spirito del Karate-do e un giorno potrete entrare nel Tempio di Shaolin.”