“Non esistono agonisti che praticano solo kata o solo kumite, ma cerchiamo di mantenere un equilibrio. Questo è Karate.”
NOME
Francesco Cek Rocchetti
LUOGO DI NASCITA
Treviglio
DATA DI NASCITA
08.11.1990
SPECIALITÀ
Kata
CLUB DOJO
Shotokenshukai Caravaggio
MEDAGLIERE
2009
– Camp. It.: 3° ind.
2010
– Tr. delle regioni: 3° kata ind. / 3° kum. ind. / 1° kata sq.
– Camp. It.: 3° kata ind. / 1° kata sq.
2011
– Tr. Masina: 1° kata sq. / 2° kum. sq.
– Tr. delle regioni: 3° kata ind. / 2° kum. ind. / 1° kata sq.
– Camp. It.: 3° fukugo / 1° kum. ind. / 1° kata ind.
– ESKA: 3° kata sq.
2012
– Tr. Masina: 1° kata sq. / 2° kum. sq.
– Camp. It.: 3° kata ind. / 3° kata sq. / 3° fukugo
– Coppa Shotokan: 3° kata serie B
– ESKA: 1° kata sq.
2013
– Tr. Masina: 2° kata sq. / 1° kum. sq.
– Camp. It.: 3° kata ind. / 1° fukugo
– Coppa Shotokan: 2° kata serie A
– WSKA: 2° kata sq.
2014
– Tr. Masina: 1° kum. ind
– Camp. It.: 3° kata ind. / 3° kum. ind. / 3° fukugo
– Coppa Shotokan: 1° kata serie A / 1° kum. ind.
2015
– Tr. Masina: 1° kata sq. / 2° kum. sq.
– Camp. It.: 3° kata ind. / 3° kata sq. / 2° enbu M/M
– Coppa Shotokan: 2° kata serie A
– WSKA: 3° kata sq.
2016
– Tr. Masina: 2° kata sq. / 2° kum. sq.
– Camp. It.: 3° kum. sq. / 3° enbu M/F
– Coppa Shotokan: 2° kata serie A / 3° kum. sq.
2017
– Tr. Masina: 2° kata sq.
– Camp. It.: 2° enbu M/F / 3° kum. sq.
– WSKA: 1° kata sq.
– Coppa Shotokan: 2° kata serie A
2018
– Heart Cup: 1° kata sq.
– Camp. it.: 2° enbu M/F
– ESKA: 3° kata sq.
Come e perché hai iniziato a praticare karate?
Ho iniziato a praticare karate nel 1996 nella palestra gestita, ai tempi, dal mio Maestro Cesare Rocchetti e da Libero Michelini. Non è stato scontato il fatto che io iniziassi la pratica del karate da bambino, né che riuscissi a mantenerla nel tempo: essere il figlio del maestro non sempre è semplice come può sembrare, neanche una volta ho ricevuto favoritismi… e di questo gli sono infinitamente grato. Credo infatti che sia il motivo che mi ha permesso di scoprire davvero cos’è il karate e che mi ha portato a renderlo una parte fondamentale della mia vita; avere facilitazioni me ne avrebbe dato una versione distorta.
Essere il figlio del maestro non sempre è semplice come può sembrare, neanche una volta ho ricevuto favoritismi…
Chi è il tuo maestro attuale e quali i tuoi maestri passati?
Diverse persone mi hanno insegnato karate, ho avuto tanti allenatori, ma il maestro è uno solo. Nel mio caso è mio papà.
Non riesco a scrivere in poche righe cos’è stato, cos’è e cosa sarà il rapporto con il mio maestro. Quello che può però raccogliere tutte le sfaccettature di questo rapporto è il fatto che, come persona e come karateka, mi ha sempre spinto a comportarmi da uomo, decisione sempre più rara nella nostra società. Lo ha fatto aiutandomi e accompagnandomi con fermezza, ma anche accettando talvolta decisioni diverse da quelle che avrebbe preso lui. Sostanzialmente è stato, è e sarà una guida.
Quando e come sei diventato agonista?
Da piccolo non vincevo mai una gara! Lo racconto sempre anche ai miei allievi. I primi risultati significativi sono riuscito a ottenerli nel 2007, a 17 anni, vincendo per le prime volte alcune specialità al Campionato regionale della Lombardia. Da quel momento non mi sono mai fermato e, dal 2011, faccio parte della squadra nazionale FIKTA-ISI e partecipo ai campionati europei e mondiali del circuito ESKA WSKA. Ritengo un onore poter dire di essere stato, insieme ai miei primi storici compagni di squadra (Michele Rocchetti, Carlo Fortini, Claudia Sonzogni, Federico Mutti e Carlo Vendramin), parte della primissima squadra agonisti del mio Dojo, Shotokenshukai Caravaggio. Oggi i ragazzi più giovani appartengono a una storia significativa e hanno davanti a loro diversi esempi e compagni di palestra che li aiutano e accompagnano nel cammino di crescita (cosa che ritengo utile e molto bella), mentre noi siamo partiti da zero!
Dove, come e quanto ti alleni? Oltre agli allenamenti con la Nazionale, fai anche una preparazione atletica?
Tre volte a settimana mi alleno a Caravaggio e a Castel Rozzone con la mia palestra. Abbiamo, ormai da 5 anni, inserito nel programma di allenamento annuale una parte di preparazione atletica che diventa, di anno in anno, sempre più specifica. Come Dojo abbiamo una caratteristica a cui siamo fortemente affezionati: non esistono agonisti che praticano solo kata o solo kumite. Con le ovvie propensioni personali di ognuno, cerchiamo di mantenere un equilibrio tra le due specialità, cercando di svilupparle insieme. Questo è Karate.
Una volta al mese mi alleno inoltre con il M° Pasquale Acri, allenatore della squadra nazionale alla Yudanshakai di Milano.
Oltre a questi allenamenti, strettamente legati all’agonismo, dedico una parte consistente delle mie energie anche a due appuntamenti per me molto importanti: una volta al mese mi alleno con il M° Claudio Ceruti e un’altra volta con il M° Hiroshi Shirai, entrambe alla Yudanshakai di Milano. Questi allenamenti non sono direttamente legati all’agonismo, ma mi danno quel “qualcosa” in più nella pratica del karate a cui non potrei mai rinunciare.
Com’è il rapporto con i tuoi compagni di squadra?
Io sono una persona molto socievole, raramente riesco a non legarmi a persone con cui passo del tempo e condivido una passione. Per me lo Shotokenshukai, così come la Nazionale, rappresentano qualcosa in più di una squadra con cui pratico: in entrambi questi ambienti io mi sento in famiglia! Senza nulla togliere a tutti gli altri, ad alcune persone in particolare. Mia sorella Irene, con cui ho vissuto sia la squadra Shotokenshukai sia la Nazionale. Mio fratello più piccolo Alberto (non più così piccolo…). Carlo Fortini, con me fin dall’inizio. Stefano Zanovello, assolutamente più di un compagno di Nazionale, è stato mio testimone di nozze. Nicola Bianchi, quasi da sempre mio principale avversario nelle gare nazionali e internazionali, col quale sono legato per rispetto e stima.
Francesca Re, mio alter-ego al femminile, nelle fortune e nelle sfortune.
Patrizia Bello, il mio capitano in Nazionale.
Lo dico sempre ai miei allievi: “Chi sa vincere, non sempre sa perdere. Ma chi è capace di perdere, sa sicuramente vincere”
Il tempo che dedichi agli allenamenti incide nella tua vita privata?
Praticare a livello agonistico richiede indubbiamente dei sacrifici e molto spesso non li richiede solamente all’atleta, ma anche alle persone più vicine agli atleti, i componenti della famiglia. Sono sempre stato fortunato nell’avere attorno a me persone che comprendevano questi sacrifici: mia moglie e tutti i componenti della mia prima famiglia praticavano Karate, tranne mia mamma (addetta a lavare i kimoni, cucire gli stemmi dell’Italia e indiscutibilmente fan numero 1 di tutti i figli).
Sono grato a tutti loro, perché hanno sempre fatto in modo che ricevessi più di quanto mi venisse tolto dal praticare karate.
Lo scoglio personale su cui hai dovuto, o devi ancora, “lavorare” maggiormente?
Il rischio di sedersi sui risultati raggiunti. Questo è lo scoglio che non si supera mai, o meglio, che si supera ogni volta, ma va affrontato ancora la volta successiva e ancora e ancora. Sempre.
Secondo te, qual è la tua caratteristica come atleta?
Come detto, punto a essere un atleta “completo”. La K di Karate si usa per scrivere sia Kata sia Kumite.
In che cosa ti senti più preparato e perché? Quello che ti piace, cosa ti permette di provare o di esprimere?
La mia preparazione è indubbiamente più alta nel Kata.
Tuttavia ritengo che la gara di Kumite mi dia qualcosa di unico, non presente, o meglio, presente in modo diverso nella gara di Kata.
Posso dire che la gara di Kata mi fornisce un’emozione di più difficile comprensione. Mentre tutti riescono a capire immediatamente l’eccezionale emozione che provo quando porto a termine un ippon nella gara di Kumite, solo pochi riescono ad apprezzare un significativo miglioramento che sono riuscito a ottenere a un campionato rispetto all’anno precedente. Ma se è vero che è più difficile capirla dall’esterno, è altrettanto vero che quanto avviene “dentro”, quando presento ed eseguo un kata, è qualcosa di eccezionale.
La mente, lo sguardo, i muscoli, l’equilibrio, lo scatto, la potenza, la ricerca di precisione, la consapevolezza di conoscere precisamente i punti in cui il battito e il respiro aumentano e quelli in cui diminuiscono all’interno del Kata. Non esiste niente di paragonabile a questo.
L’avversario (reale o psicologico) più temibile?
“Me stesso” sarebbe una risposta abbastanza banale. Di avversari ne trovo sempre di molto agguerriti, dentro e fuori di me.
Cosa ti ha insegnato il karate?
Io cerco di essere la stessa persona dentro e fuori dalla palestra, e ritengo che il mio praticare Karate abbia formato gran parte della mia personalità: dalla sicurezza, alla determinazione, fino alla capacità di riconoscere i miei limiti e provare con tutto me stesso ad affrontarli. Lo imparo e cerco di mettere in pratica dentro e fuori dal Dojo.
Al campionato mondiale WSKA 2017, quando sono salito sul gradino più alto del podio ho deciso di portare con me mia figlia Elena
Il momento più appagante e quello più spiacevole della tua carriera?
Il titolo di “momento più appagante” se lo contendono due situazioni: nel 2014, quando ho vinto l’oro sia nel Kata master sia nel Kumite individuale alla coppa Shotokan. Nel 2017, quando con i miei due compagni di squadra ho vinto il campionato mondiale WSKA a Treviso.
Forse per l’universalità insita in questo secondo risultato mi viene da sceglierlo. Quando sul monitor è comparso il punteggio dell’ultima squadra in finale con noi ed è stato chiaro a tutti che anche quest’ultimo era inferiore al nostro, il palazzetto è letteralmente esploso, diverse migliaia di persone urlavano e urlavano per noi!
Di insuccessi ce ne sono stati moltissimi, forse sono addirittura più numerosi dei trionfi. E per fortuna che ci sono: mi permettono di misurarmi con la mia capacità di essere in grado “di perdere”, “di accettare la sconfitta”.
Lo dico sempre ai miei allievi: “Chi sa vincere, non sempre sa perdere. Ma chi è capace di perdere, sa sicuramente vincere”
Hai un aneddoto del tuo percorso agonistico che ti piacerebbe condividere?
Al campionato mondiale WSKA 2017, quando sono salito sul gradino più alto del podio ho deciso di portare con me mia figlia Elena, che potrà dire di essere salita sul tetto del mondo prima ancora di compiere un anno.
Con il web oggi c’è la possibilità di accedere a molte più informazioni anche riguardo al karate, lo utilizzi per informarti su altri atleti o competizioni?
Abbastanza raramente. Non che mi dispiaccia, sono strumenti molto utili e ritengo giusto utilizzarli. Più che altro per questioni di tempo e di lavoro.
Ti piacerebbe essere un atleta professionista?
Indubbiamente sì. Fare del proprio sport il proprio lavoro è il sogno di ogni atleta. Non mi dispiace però neanche constatare quanto tutti noi abbiamo passione per il Karate, perché non essendo professionisti, è solo quella che ci spinge a non fermarci mai.
Cosa pensi del karate alle Olimpiadi?
L’ingresso del Karate nel mondo olimpico è indubbiamente un bene per tutti quelli che praticano quest’arte marziale. Purtroppo per noi, non sarà il Karate tradizionale a parteciparvi, ma lo sportivo. I vari punti di vista su questo argomento sono diversi e tutti hanno una loro logica alle spalle. Personalmente prediligo e apprezzo molto di più il modo di praticare Karate che abbiamo noi (diversamente praticherei un Karate differente da quello che pratico), ma rispetto profondamente anche quello adottato nel circuito WKF. Siamo indubbiamente diversi e avere paura di ciò che diverso è la reazione più primitiva e insensata che ci sia. Da entrambe le parti.
Parlando di competizione poi, è da dire che i loro atleti hanno una preparazione eccellente, senza dubbio più avanzata della nostra, ma inaccessibile a chi non sia atleta professionista. Sarebbe interessante poter vedere un confronto “ad armi pari”, ma ritengo sia un’utopia di cui si può parlare solo a livello teorico. Di sicuro sarò spettatore della gara che si svolgerà a Tokyo tra due anni. Le considerazioni vere e proprie andranno fatte successivamente.
… avere paura di ciò che diverso è la reazione più primitiva e insensata che ci sia.
Cosa vedi o come immagini per il tuo futuro?
Come karateka spero di mantenere il livello raggiunto e non solo, di andare sempre un pezzetto più in là, come dico ai bambini negli esercizi di allungamento in palestra: sempre un po’ più in là del mio limite.
Come persona continuerò a far crescere la mia famiglia, insieme a mia moglie Almish, a mia figlia Elena ed eventualmente a chi si aggiungerà. Chissà se in un futuro non così lontano qualcun altro della famiglia dovrà rispondere a un’intervista simile…