Incontro con il monaco buddista M° Mitsutaka Koso. Salsomaggiore (PR) – 29.01.2011
(In KarateDo n.21 gen-feb-mar 2011)
Traduzione M° Shuhei Matsuyama e Michele Gambolò.
Il M° Koso rivolge un saluto a tutti i presenti e come sempre è contentissimo di rincontrarvi. Come mi piace ricordare ogni volta “Se non s’incontra una persona per più di tre giorni, qualcosa può essere cambiato”. Oggi vi chiedo: come state?
Fra poco comincerà la primavera. Sui rami spuntano i primi bozzi di germogli, giorno per giorno è una continua crescita senza pausa. Se si arrestasse questo processo non esisterebbero sviluppo ed evoluzione. La natura non si ferma mai! Poi un giorno arriverà la fioritura e successivamente tutto si trasformerà in frutti. Più avanti tutto secca, ma dopo un anno, alla prossima primavera, ci saranno nuove gemme… Questo ciclo, questo circolo naturale in Bukkyo (Buddhismo) si dice Ku. L’ideogramma del karate Ku ha questa derivazione, con l’accezione che una buona semina porta a buoni risultati.
Nel buddhismo esiste il termine, cie, che identifica la coincidenza tra saggezza e intelligenza. È uno stato che indica ciò che si è acquisito con la propria esperienza, quindi assimilato in modo leggero, non forzato.
Ho letto un libro del M° Mabuni Invito al Budo Karate, nel quale parla del suo Maestro, ovvero di suo padre, e di diversi altri budoka. Nei confronti di queste nobili figure egli esprime tutta la gratitudine e la stima per avere costruito, con l’impegno di una vita, la storia del Karate-Do. Il M° Mabuni sente come maggior desiderio quello di trasmettere alle generazioni future gli insegnamenti ricevuti dai grandi maestri. Questa diventerà la sua missione di vita. Dentro i suoi racconti ho percepito la gioia con cui ha interpretato questo impegno.
Molti di voi praticano il Karate-Do da molti anni. Tra voi alcuni hanno allievi, altri magari ne avranno. Altri hanno figli e altri ancora forse ne avranno in futuro. Probabilmente qualcuno di voi ha sentito in un preciso momento la volontà di dedicarsi a trasmettere il Karate-Do e ha deciso di cominciare a farlo. Sicuramente molti di voi hanno scelto il Karate-Do per formare il proprio carattere, avendo un obiettivo molto chiaro.
Essere Maestro è un lavoro impegnativo, notevole e responsabile. Temo che per spiegare meglio questo concetto dovrò parlarvi della mia esperienza personale [In Giappone si tende a non parlare delle proprie questioni personali, se necessario il discorso è introdotto con una forma di scuse. ndt]. Vi parlerò di mio padre, il mio Maestro.
Raggiunta l’età di diciassette anni, ho mandato mio figlio in Giappone presso un tempio buddhista. In precedenza era stato solo una volta nella nostra terra natale, quando ancora era molto piccolo. Ricordo che la prima volta mio padre sembrava disinteressato a suo nipote, quasi come se non gli volesse bene ed io ero meravigliato dal suo comportamento. Negli anni successivi ho sempre avuto dentro il desiderio di farlo tornare un giorno alla “casa natale” per completare la sua educazione.
Al secondo viaggio, prima di lasciarlo partire da solo, gli dissi: «Non stai andando per una vacanza. Dovrai lavorare al Tempio». La sua permanenza all’estero sarebbe durata un mese e mezzo. Al suo ritorno mi raccontò del viaggio. Un giorno suo nonno lo ha invitato dentro all’hojo no ma (la stanza del monaco superiore all’interno del Tempio, di circa 25 m2). Dentro questo locale il superiore riceve ospiti, lavora e prega in privato. Ci sono un piccolo altare buddhista e un focolare interrato.
A un certo punto mio padre gli disse: «Prego, siediti!». Mio figlio dice che cominciò a percepire uno stato di particolare emozione, privo di ogni forma di tensione. Il nonno iniziò a preparare del tè, il nipote lo osservava sentendosi bene, a suo agio. Riusciva a percepire ogni singolo suono: le foglie che cadevano nelle tazze, l’acqua calda versata…
Mio padre lo invitò a sedersi davanti a lui. Sorseggiando il tè gli domandò che età avesse, come stavano i genitori, com’era il rapporto con sua sorella, come si svolgesse la sua giornata, che genere di amici frequentava, che tipo di paese è la Francia e così via.
Il nipote rispondeva e mio padre annuiva ascoltando interessato. Era attento e rilassato allo stesso tempo. Poi, mio padre prese a raccontare la sua vita: di quando era piccolo, di quando divenne studente, della II Guerra Mondiale e di cosa conosceva lui della Francia. La sua faccia aveva preso veramente un’espressione soave. Trascorsa circa un’ora, il nonno si congedò per un impegno di lavoro dicendo che era veramente contento di aver potuto parlare con suo nipote. Sulla sua faccia aveva una bellissima espressione di grazia. Mio figlio mi ha raccontato che alla fine dell’incontro si sentiva veramente bene!
Vi confido che era la prima volta che ascoltavo un racconto del genere. A distanza di quattro, cinque anni, mio figlio parla spesso di quel giorno. Racconta tutta la stima per suo nonno e dice che a parole non riesce a spiegare cos’ha imparato, ma afferma che sente di aver appreso sicuramente qualcosa d’importante. Da quel momento egli desidera vivere per trasmettere ai suoi figli l’insegnamento del nonno.
Io gli ho domandato: «Tuo padre com’è?». Mi ha risposto: «Forza papà!» detto come un incitamento, uno stimolo a diventare come il nonno.
L’anno successivo ho mandato da sola in Giappone anche mia figlia. Prima di partire le ho fatto la stessa raccomandazione di mio figlio: «Dovrai lavorare al Tempio». Al ritorno in Francia mi ha riportato un racconto del tutto simile a quello di suo fratello.
Il nonno ha invitato anche lei all’hojo no ma e hanno avuto un colloquio di circa un’ora. Mi ha riportato le stesse sensazioni di profonda emozione nell’incontrare il nonno, di provare per lui una profonda stima e di avere appreso qualcosa di veramente importante. È stata in compagnia di mia madre e anche da lei ha imparato molte cose.
I miei figli dopo queste esperienze sono cambiati parecchio, mi pare che stiano cercando di realizzare qualcosa tratta dalla loro esperienza in Giappone. Capisco solo ora che mio padre ha atteso il momento giusto per invitare i nipoti e per attuare qualcosa che si era proposto per la sua vita. È morto tre anni fa, ora capisco perfettamente il suo pensiero e sento la sua personalità.
Il Maestro indica agli allievi soltanto l’obiettivo, lasciando a ognuno la libertà di trovare la strada per raggiungerlo.
A voi è successo qualcosa di simile?
Mio padre ha sicuramente parlato ai nipoti da cuore a cuore, i miei figli hanno potuto ricevere direttamente il suo messaggio. Egli è riuscito a trasmettere il suo pensiero ai nipoti proprio come desiderava. Credo sia una cosa miracolosa.
Cos’è tutto questo? Quale tecnica ha usato?
Spesso amo ricordare la storia della “Tecnica Miracolosa del Gatto”, che vi ho raccontato in un precedente incontro [cfr. traduzione dell’incontro di Castellanza del 24.01.2009. In KARATE DO n.14 ndr]. La conclusione di questo testo dice che il Maestro indica agli allievi soltanto l’obiettivo, lasciando a ognuno la libertà di trovare la strada per raggiungerlo. L’aspetto più difficile è quello di fare diventare propria questa condizione, perché esistono aspetti dell’insegnamento e dell’apprendimento che non si spiegano con le sole parole.
Mantenere la conoscenza (cishiki) non è facile. Progredendo nella vita aumentano le informazioni e diventa più difficile avere il controllo del proprio apprendimento.
Nel buddhismo esiste il termine, cie, che identifica la coincidenza tra saggezza e intelligenza. È uno stato che indica ciò che si è acquisito con la propria esperienza, quindi assimilato in modo leggero, non forzato. Questo genere d’esperienza matura con una dinamica evolutiva di continua crescita. Non esiste un modo completo per spiegare con le parole un simile fenomeno. Spiegare il cuore inteso come kokoro è qualcosa di più che definire un semplice sentimento.
Vi racconto di Tokugawa Iemitsu (III Shogun della dinastia Tokugawa del periodo Edo 1603-1868). Egli possedeva una piccola scimmia che girava libera intorno a lui e che spesso teneva sulle sue ginocchia. Un giorno chiese a un esperto di Ken-Do, Iagiyu Munetoku, se fosse in grado di colpire la scimmia sulla testa con un ventaglio. Nonostante egli fosse un Maestro nella sua arte, non riuscì a colpire l’animale. Allora si rivolse al monaco buddhista Takuan, presente in quel momento, chiedendo se per lui era possibile colpire la scimmia. Il monaco al primo tentativo assestò un colpo di ventaglio sul capo della scimmia. Iemitsu domandò al monaco perché era riuscito nell’impresa. Il monaco Takuan rispose allo Shogun che forse il Maestro di Ken-Do aveva paura di colpire e fare male alla scimmia in presenza del suo padrone. A lui questo non interessava e quindi ha agito libero da tale pensiero.
La differenza è tutta qui. Per il primo l’azione è stata ostacolata dalla conoscenza del fatto che lo Shogun era il proprietario della scimmia e, quindi, doveva cercare di colpirla senza farle male. Il secondo ha agito con l’esperienza di un’azione eseguita con naturalezza.
Il lavoro del Maestro è un lavoro faticoso!.
Fondamentale è parlare cuore a cuore. Mio padre ha usato questa tecnica. Io ancora non sono in grado di avvicinarmi a tanta arte.
La luna non si specchia se la superficie dell’acqua è increspata, ma solo quando il lago è calmo e piatto.
Non vede chi non vuole vedere! Può vedere chi vuole vedere! Non sente chi non vuole sentire! Può sentire chi vuole sentire!
Io penso che chi è considerato bravo ha la grande capacità di trasmettere e trasferire la sua personalità. Questa dote si dice virtù di una persona.
Buddha dice che è meglio non avere dipendenza da qualcosa. È meglio essere libero e leggero. Essere più leggero forse vi riporta alla storia del “Il Viaggiatore e la Zattera” [cfr. traduzione dell’incontro di Igea Marina del 28.08.2007. In KARATE DO n.9 ndr].
Un uomo, durante un lungo viaggio a piedi, si trova davanti a un grosso fiume da attraversare. Egli vede che dall’altra parte la vita è più tranquilla e decide di costruire una zattera per proseguire il suo cammino. Attraversa senza difficoltà le acque impetuose del corso d’acqua, raggiungendo l’altra riva. A questo punto prova gratitudine per la zattera, per riconoscimento non se ne vuole separare e decide di portarla con sé sulle spalle. Poco dopo il peso della zattera impedisce il suo cammino. L’insegnamento che si può trarre è che qualcosa che in un determinato frangente è stato d’aiuto, non deve restare e diventare un impedimento agli avvenimenti del futuro.
La luna non si specchia se la superficie dell’acqua è increspata, ma solo quando il lago è calmo e piatto.
Per un altro esempio ci si può riferire al racconto che vi ho fatto di Ikkyu San [cfr. traduzione dell’incontro di Igea Marina del 25.08.2008. In KARATE DO n.12 ndr].
Un giorno, viaggiando per il Giappone in compagnia di un suo discepolo, si trovò davanti a un fiume in piena. Nel punto dove c‘era un ponte per il guado distrutto dai flutti, sedeva una ragazza giovane e carina. Questa ragazza non sapeva come attraversare il fiume e Ikkyu San si offrì di aiutarla portandola sulle spalle. A quel tempo i monaci non potevano avere una donna e tanto meno guardarla, era loro proibito avere qualsiasi contatto. Ikkyu San senza troppi pensieri si caricò la ragazza in spalla e la portò sulla riva opposta. Il discepolo che lo accompagnava si trovò in una situazione d’imbarazzo, assistette alla scena impietrito dal pensiero che il suo maestro stava violando un regola severa. Proseguendo il cammino il discepolo trovò il coraggio per domandare a Ikkyu San come poteva spiegare la sua azione. Ikkyu San rispose: «Sciocco! Stai ancora pensando a quella ragazza? Lei non è più sulle mie spalle… ma è ancora nel tuo pensiero!»
Il Dojo Kun tratta dell’espressione del nostro cuore.
Okada Tesshu (esperto di Ken-Do) sostiene che tutto nella vita è costruito attraverso il nostro cuore. Tutto dipende da noi stessi.
Miyamoto Musashi dice che una pietra preziosa grezza se lucidata incomincia a brillare, invece l’uomo se cerca di lustrarsi per apparire dimostra solo la sua stupidità.
È bene cercare di levare se stessi dalla riflessione.
Un uomo nobile è una persona che vive con il principio del hei jo shin (tranquillità quotidiana).
Ringrazio per la vostra attenzione, andiamo avanti a lavorare insieme, veramente!
Gassho, M° Mitsutaka Koso.