Il M. Riccardo Pesce ci racconta come, di ritorno da un viaggio a Kyoto, fu preso dalla smania per i sigilli.
(In KarateDo n. 5 gen-feb-mar 2007)
In una calligrafia o in una pittura “sumi e” la presenza dell’impronta di un sigillo (in giapponese in), unico elemento di colore accanto ai tratti neri sul foglio bianco, costituisce un importante elemento compositivo. Le sue dimensioni, la sua forma e la sua posizione, possono incidere in modo determinante nella definizione dell’equilibrio dell’opera.
Secondo il genere di calligrafia la collocazione dei sigilli e della firma viene stabilita in punti piuttosto precisi. Generalmente la firma è scritta a sinistra, a conclusione della calligrafia (ricordiamo che nella scrittura orientale si scrive dall’alto al basso e da destra a sinistra), circa a metà dell’altezza del foglio; il sigillo, recante il nome del calligrafo, viene impresso subito sotto la firma; poco più in basso si può collocare un secondo sigillo (delle stesse dimensioni) indicante la scuola cui si appartiene.
Un altro sigillo, di forma varia, può essere collocato in alto a destra e generalmente contiene un motto o una breve poesia.
Nelle opere libere invece, la posizione della firma (che in alcuni casi può anche essere omessa) e dei sigilli non segue nessuna regola se non quella di mantenere in equilibrio tutta l’opera.
Secondo gli insegnamenti orientali il KI si manifesta in luce e calore e, a livello corporeo, scorre nei nervi e nel sangue.
I sigilli, fin dalle loro antiche origini, svolgono diverse funzioni, ufficiali e private, ma ognuno di loro, in base alla propria forma, contiene anche un valore estetico. Il loro impiego nasce dall’esigenza d’indicare e garantire la proprietà e l’autenticità dei beni e dei documenti.
Le più antiche testimonianze che ci sono pervenute dalla Cina, sono tre sigilli in bronzo, non ancora decifrati, risalenti all’epoca Shang (XVI-XI sec. a.C.).
Dalla successiva dinastia Zhou (XI sec. – 256 a.C.) ci sono pervenuti invece numerosi sigilli in bronzo e in terracotta, oltre la metà dei quali è stata decifrata. La gran parte di essi presenta iscrizioni che indicano la funzione ufficiale o i titoli nobiliari dei loro proprietari.
Con la dinastia Qin (221-206 a.C.) l’unificazione della scrittura conduce, anche nella produzione dei sigilli, all’adozione generalizzata della forma della scrittura Shoten, la più usata fino a oggi in questo campo.
Fu solo nel XVI secolo che iniziò la vera arte dell’incisione dei sigilli da parte dei letterati. Fino ad allora l’esecuzione era svolta da artigiani che fondevano nel metallo o incidevano nella pietra i caratteri disegnati da letterati o da funzionari.
Fu il calligrafo Wen Peng (1498-1573) che scoprì le caratteristiche di compattezza e di morbidezza di un tipo di pietra (usata ancora oggi), che ben si prestava alla lavorazione con piccoli scalpelli.
Alla fine del XVI secolo si diffuse quindi la sigillografia vera e propria, da allora letterati e artisti diedero vita a opere sempre più raffinate, caratterizzandole con l’incisione di tratti personali ed espressivi.
Il sigillo è intinto in una pasta di colore rosso. Si tratta di un colore il cui impiego è molto primitivo, lo troviamo come elemento decorativo già nelle inumazioni preistoriche e nei più antichi dipinti rupestri (l’eccezionale persistenza della colorazione a base di ossido di ferro, ottenuta dalla cottura delle terre gialle, ha permesso di constatare che il suo impiego fu diffuso pressoché ovunque e in ogni epoca).
Secondo gli insegnamenti orientali il KI si manifesta in luce e calore e, a livello corporeo, scorre nei nervi e nel sangue. Il sangue è il supporto della vitalità animale ed è quindi uno dei legami dell’organismo corporeo con lo stato sottile dell’essere.
Il sangue è stato impiegato in diverse epoche, sia in oriente che in occidente, negli editti reali, o per suggellare compravendite importanti, patti, contratti ecc.
Il calligrafo, dopo aver posato il sigillo nel punto che ritiene giusto, spinge con tutta la sua forza sul foglio, dando così vitalità alla calligrafia (trasmissione del KI).
Dopo avere, se non esaurito l’argomento, perlomeno dato alcune nozioni sulla sigillografia, voglio riportare un aneddoto personale.
Ero al primo anno di pratica di shodo e cominciavo già a trarre un minimo di soddisfazione da ciò che stavo facendo. Mentre praticavo calligrafia, mi capitava di notare i compagni più anziani che passavano un’intera giornata con lo scalpellino a incidere il sigillo e li vedevo sbuffare. Poi portavano il lavoro fatto alla visione del maestro e non andava bene, allora li vedevo cancellare quanto fatto con la carta vetrata e via di nuovo.
Sapevo che, ovviamente, ci sarei dovuto passare anch’io da quel “martirio” e, infatti, un “bel” giorno il maestro mi dice :
“Riccardo, hai già fatto il sigillo?” Ci siamo, pensai.
“No, non ancora!” “Bene, facciamolo!”
“Ma non ho la pietra!” “Te la do io!”
“Non ho lo scalpellino!” Te lo presto io!
Fregato in pieno! Non posso scappare e allora… mettiamoci sotto.
Il maestro mi spiegò con poche parole come dovevo fare: cercai sul dizionario degli stili, gli ideogrammi che formavano il mio nome d’arte in stile tensho, poi cominciai a disporre gli ideogrammi su un foglio, disegnandoli a matita nel riquadro della dimensione della pietra. Come disporli? In verticale, in orizzontale? E poi, come adattarli a quella dimensione?
“È tutto libero! – disse il maestro – il sigillo è tuo, deve rappresentarti, quindi puoi fare come vuoi”.
Cominciai a fare tante prove, mi sembrava un disegno di un uomo primitivo, ma finalmente il maestro disse: “Uhm, carino!”.
Ora andava rovesciato e riscritto sulla pietra, cominciava allora il lavoro d’incisione. Ancora poche spiegazioni su come usare il tagliente scalpellino e via, la pietra nella mano sinistra, l’attrezzo nella destra, cominciai a incidere con movimenti lenti e forzati. Occorre infatti molta concentrazione per ottenere un buon risultato, si cerca di mettere la stessa energia in ogni tratto, altrimenti i segni risulterebbero con uno spessore diverso.
Bisogna prestare la massima attenzione perché l’attrezzo non sfugga, allungando così il tratto oltre al desiderato. Ne risulta infine una scanalatura triangolare che segue il percorso disegnato.
Intento com’ero, osservavo il disegno che prendeva forma e non mi risultava più così strano che apparisse primitivo, in quel momento ero così concentrato che non vedevo nient’altro, dov’ero? In che epoca ero?
Una volta terminato e pulito lo intinsi nell’apposita pasta rossa e lo impressi lentamente, con forza, sul foglio. Ne risultò un quadrato rosso con un disegno bianco, la pasta infatti, entrata nell’incisione, non appariva, lasciando nitidi i due ideogrammi. In quel rito così antico, di sigillare un proprio scritto con questo segno unico, non riproducibile, proprio perché fatto a mano e con le sue imperfezioni, c’era qualcosa di “magico” e di primordiale; mi piacque… ma al maestro sarebbe piaciuto?
Titubante, glielo porsi. Mentre lo esaminava pregavo che andasse bene e infatti così fu, con il bordo dello scalpello smussò qualche spigolo picchiettandolo leggermente, lo riguardò e sorrise. Era fatta al primo tentativo!
In quel rito così antico … proprio perché fatto a mano e con le sue imperfezioni, c’era qualcosa di “magico” e di primordiale.
Ripresi poi a curare solo la calligrafia e gli anni passavano. Andando avanti però mi resi conto che un sigillo solo non bastava, a volte il sigillo era troppo grande o troppo piccolo rispetto al foglio, ma non ci pensavo neanche a distogliere le mie attenzioni dal pennello per farne un altro!
Poi, nel 2005, il maestro organizzò il secondo viaggio in Giappone, a Kyoto. Andando per mercatini cercavo sigilli usati e ne trovai diversi, di varie forme e dimensioni, a poco prezzo. Mi mancava quello della scuola, ma avere la fortuna di trovarne uno con inciso bokushin (letteralmente: cuore d’inchiostro) era davvero impensabile, scovai però un incisore con un banchetto che li faceva su ordinazione, non persi l’occasione, in dieci minuti era pronto, la pietra, secondo lui, era molto bella… quindi, costava una follia.
Quando, finito il giro, rincontrai il maestro, glielo feci vedere, lo rigirò fra le mani, scosse un po’ la testa poi disse: “Questo eri capace anche tu di farlo!”, esatto, sarei stato capace anch’io, e proprio IO avrei dovuto farlo! Comperai lo scalpellino e, al ritorno, mi prese la smania per i sigilli, trovai pietre di diverso tipo, le sagomai in differenti forme e, dapprima rifeci quello della scuola, poi altri ovali, tondi… ne misi insieme così un discreto numero ed erano veramente miei!