Per un intervento educativo che sia professionale bisogna partire da queste domande: Perché? Come? Con chi? Dove? Quando?
Per poter pianificare e attuare un intervento educativo sono necessarie alcune azioni preliminari che non lascino spazio all’improvvisazione.
Parto dall’ultimo termine: improvvisazione.
Improvvisare non è sempre negativo, ma lo si fa quando ci si trova di fronte a un evento inedito, imprevisto e del tutto inimmaginabile. Quando si parla di intervento educativo la percentuale di improvvisazione deve essere ridotta quasi a zero.
Un intervento educativo maturo e altamente professionale necessita per forza di una programmazione. Quando si è in fase di progettazione ci sono dei passaggi che non possono essere omessi.
Prima di tutto bisogna prefiggersi l’obiettivo. Per il quale si intende, molto semplicemente, che cosa voglio realizzare. Dove voglio arrivare. Cosa voglio costruire.
Una volta chiarito con me stesso l’obiettivo devo capire cosa mi serve per realizzarlo. Con quali strumenti, con quali risorse, in che luogo e in che periodo.
Molto semplicemente dalla mia ricerca ho capito che bisogna rispondere a 5 semplicissime domande: Perché? Come? Con chi? Dove? Quando?
Improvvisare non è sempre negativo, ma lo si fa quando ci si trova di fronte a un evento inedito, imprevisto e del tutto inimmaginabile.
PERCHÉ?
Per quanto riguarda il perché, è necessario ritornare all’obiettivo, dato che è in questa fase che percepisco lo stimolo che mi fa iniziare un certo tipo di esperienza. È la motivazione principe che mi fa decidere di fare qualcosa. Ovviamente, le motivazioni possono essere le più disparate e se vi ricordate qualche articolo fa (“Educare col karate” parte 2, sulle motivazioni) ho parlato di stimolo interno (fortemente voluto da me) e stimolo esterno (fortemente voluto da una serie di situazioni proposte da cause contingenti o persone che ruotano attorno a me).
Attenzione nel rispondere alla domanda “Perché voglio fare questa cosa?”, perché è la domanda più importante di tutte. Dà un senso a tutto quello che si vuol fare e, appunto, non si lascia alla casualità. Dare un senso a ciò che si vuole fare è importante anche per chiarire bene la propria posizione con se stessi e con gli altri. Chiarire i propri propositi con se stessi e con gli altri significa avere le idee chiare su dove si vuole andare.
Molto interessante può risultare rispondere alla domanda: “Perché voglio aprire una scuola di Karate Tradizionale?”, oppure: “Perché voglio diventare Istruttore di Karate Tradizionale?”, oppure: “Cosa voglio realizzare e perché?”.
COME?
A questa domanda corrisponde il quesito: “Con che strumento voglio realizzare il mio progetto?”. Come posso raggiungere l’obiettivo (o gli obiettivi) che mi sono posto e in che modo. Se progetto il mio intervento educativo in una scuola primaria di primo grado, necessariamente devo avere chiari gli obiettivi educativi che voglio raggiungere, ad esempio: aumentare la consapevolezza nel compiere un gesto atletico, aumentare la bilateralità nell’utilizzo del proprio corpo, familiarizzare con determinati schemi motori magari inusuali, far acquisire una certa sicurezza ai bambini più introversi e timidi, far rispettare le “regole del gioco” ai bambini meno disciplinati e meno propensi a controllare i propri gesti, approfondendo inoltre tematiche già affrontate dalle maestre nelle lezioni in classe, come per esempio la nozione di “ritmo” nella vita di tutti i giorni, migliorare la capacità di orientamento, migliorare il proprio equilibrio, allenare la memoria.
Se decido di utilizzare come strumento il Karate Do Tradizionale, penso ad esempio quanto sia utile insegnare un Kata: da solo contiene tutti gli obiettivi educativi che ho sopra citato.
Aumenta la consapevolezza di ciò che si fa, percependo i punti di criticità e le difficoltà e, allo stesso tempo, comprendendo dove “faccio meglio” e dove “faccio peggio”.
Ci sono Kata nel nostro Shotokan Tradizionale che rispettano al meglio il concetto di bilateralità, cioè l’utilizzo di tutte e due le parti del corpo in modo simmetrico.
In genere, i nostri bambini sono abituati a utilizzare schemi motori classici della nostra cultura sportiva e all’inizio trovano strani alcuni “passaggi” propri del Kata: il saltare, l’abbassarsi, andare a destra, andare a sinistra, andare avanti, andare indietro, ma soprattutto la combinazione di alcuni di essi, come ad esempio abbasso il mio baricentro, per essere più stabile, e alzo invece un braccio per parare; vado indietro, con uno spostamento, ma eseguo una tecnica in avanti; per non parlare del sistema di rotazioni: ruoto a destra per parare a sinistra e via dicendo.
Attenzione nel rispondere alla domanda “Perché voglio fare questa cosa?”, perché è la domanda più importante di tutte.
Non tutti i bambini sono uguali e quindi bisognerà far uscire “allo scoperto” coloro che sono più introversi facendogli dapprima eseguire il Kata assieme agli altri, fino a raggiungere un obiettivo intermedio molto interessante che è quello di eseguire un Kata da solo, permettendo loro di acquisire una certa sicurezza.
Viceversa, coloro che sono più estroversi, li si porta a riflettere di più e a essere meno impulsivi, interagendo maggiormente con il resto del gruppo e cercando di far comprendere che ci sono delle regole da rispettare per far sì che tutto si svolga in ordine, per favorire l’apprendimento di tutti.
Riguardo all’approfondimento (o la ripresa) di tematiche già svolte in classe, che nel pianeta scuola si dice: interdisciplinarietà, ho citato la nozione di “ritmo”.
Il giovane studente senz’altro si sarà cimentato o si cimenterà, con il termine “ritmo”, che si può trovare: nella musica (seguire il tempo), in natura (il ritmo delle stagioni), in materie scientifiche (collegato alla nozione di frequenza di un fenomeno) e via dicendo.
Nel Kata bisogna seguire un ritmo, dapprima scandito dai comandi del Maestro e poi eseguito dal praticante per conto suo, cercando di ricordare come ha insegnato il Maestro.
Per migliorare l’orientamento si può far seguire lo stesso Kata iniziando da diverse posizioni: prima con il viso verso Nord, poi verso Ovest, poi verso Sud e poi verso Est. In modo che i punti di riferimento cambino ogni volta e non ci si abitui a farlo sempre partendo dalla stessa posizione.
Interessante è l’esecuzione dei Kata partendo al contrario (URA) o all’indietro (KONO), oppure mettendo insieme le due cose: al contrario e indietro (URA KONO).
Per sviluppare un buon equilibrio sarà necessario ripetere le tecniche e gli spostamenti tante volte, portando l’attenzione ai passaggi più critici in modo da non “perdere l’equilibro”, aumentando una certa stabilità. Bisogna far comprendere al bambino dov’è necessario mantenere un livello di concentrazione più alto, cercando di fargli percepire come deve fare. I bambini apprendono abbastanza in fretta e hanno una buona memoria visiva rispetto agli adulti. Basta non forzare eccessivamente l’apprendimento in una fascia d’età dove non si è ancora verificato un certo sviluppo cognitivo. Su questo fare riferimento a un mio articolo precedente che illustrava lo sviluppo cognitivo nelle diverse fasce d’età (“Educare con il Karate” 3).
Un esercizio molto interessante, per migliorare l’equilibrio, è eseguire il Kata a occhi chiusi o al buio. La propria sensibilità aumenta notevolmente e bisogna rimanere molto concentrati per non perdere la direzione e non perdere appunto l’equilibrio.
Per quanto riguarda lo sviluppo della memoria forse lo studio del Kata è uno dei più adatti. Cercare di ricordare ogni passaggio, soprattutto quando i Kata diventano più complicati, è un ottimo esercizio. Cercare di non dimenticare la sequenza corretta di tutto il Kata è fondamentale.
Io personalmente penso di aver sbagliato, soprattutto nei miei primi anni di insegnamento, perché proponevo attività ludica legata ad altri sport.
– Apro una piccola parentesi sull’utilizzo del GIOCO nelle lezioni di Karate Do Tradizionale. Io personalmente penso di aver sbagliato, soprattutto nei miei primi anni di insegnamento, perché proponevo attività ludica legata ad altri sport e mi sono trovato ad affrontare 3 grossi problemi:
- Il primo era legato al fatto che proponendo altri sport (calcio, pallacanestro, ecc.) a un certo punto qualcuno, leggi soprattutto i genitori, ha iniziato giustamente a criticarmi sul fatto che se avesse voluto far fare calcio al figlio si sarebbe rivolto a un’associazione che proponeva il calcio. La cosa era legittimamente interpretata come una presa in giro per il bambino e per i genitori che erano interessati al Karate.
- Il secondo era legato al fatto che, dopo aver proposto l’attività di riscaldamento con un altro sport, molto difficilmente si riusciva a riportare l’ordine in palestra e a fare una lezione di Karate Tradizionale accettabile. Vuoi per gli animi “surriscaldati”, vuoi perché i bambini si erano buttati anima e corpo in quel gioco ed erano stanchissimi, e vuoi anche perché poi scattava automatico il paragone con ciò che si era fatto prima e il Karate Tradizionale risultava noioso.
- Il terzo, molto probabilmente, era un mix di inesperienza e di pigrizia da parte mia. Preparare una lezione richiede tempo e impegno, quindi, mettersi a costruire percorsi che erano un misto di utilizzo di materiali vari (cerchi, coni, clavette, materassini, corde, sedie ecc.), con l’esecuzione di alcuni schemi motori (salti, capriole, rotazioni, corsa…) che potevano essere ripresi nella spiegazione più specifica legata al Karate Tradizionale, con l’aggiunta anche di esecuzione di tecniche (un calcio, un pugno ecc.) di Karate Tradizionale con l’utilizzo del kiai, non l’ho ritenuto, erroneamente , importante all’inizio della mia carriera di Tecnico. –
CON CHI?
A questo punto, è necessario pensare se posso portare da solo il mio gruppo di discenti all’obiettivo prefissato o se necessito dell’aiuto di una o più persone.
In questo caso posso parlare di staff e io lo consiglio, perché porta con sé tanti aspetti positivi e, una volta stabiliti i vari ruoli, conduce a risultati molto concreti.
Il primo aspetto è quello che fa pensare subito a una “equipe di esperti” e non a un intervento isolato; il secondo aspetto è quello legato al lavoro che viene proposto e a come possono essere seguiti i praticanti. Senz’altro la presenza di alcuni assistenti può essere solo che positiva, perché permette di seguire meglio coloro ai quali viene proposta la pratica e consente un intervento educativo mirato a più persone contemporaneamente.
In caso di assenza forzata dell’Istruttore Capo, chi lo sostituisce conosce già il programma, il luogo e le persone alle quali si sta proponendo un certo percorso, ma soprattutto chi lo sostituisce è a sua volta conosciuto dagli allievi.
DOVE?
Significa che è necessario capire dove è meglio svolgere l’intervento educativo, sia come luogo geografico (nazione, regione, provincia, città ecc.), sia come istituzione (scuola, oratorio, comune, ente di promozione ecc.), sia come luogo fisico (palestra, parco ecc.).
È molto importante, perché spesso il luogo dove si pratica o si esercita un’attività viene associato all’Ente presso il quale si organizza l’evento. Se, invece, non si vuol avere nulla a che fare con l’Ente, è meglio chiarirlo ai partecipanti in fase di presentazione del progetto per non creare malintesi.
QUANDO?
Questa domanda è legata molto spesso agli altri interrogativi.
Certamente, devo tenere ben presenti i miei impegni e senz’altro le agende degli altri attori presenti nel progetto. Vanno inoltre considerati il calendario delle iniziative previste nella struttura che mi ospita e gli impegni di coloro che potrebbero partecipare alla mia proposta educativa.
Quindi, non esiste un periodo standard che vada bene per tutti. Va da caso a caso, da realtà a realtà.
Fare l’educatore utilizzando il Karate Do Tradizionale per me è molto importante, perché è uno degli strumenti più validi per far evolvere l’essere umano.
Ovviamente, come avete avuto modo di vedere, non basta la tecnica, bisogna avere uno sguardo a 360°. Ormai la parte organizzativo/amministrativa è importante quanto la parte tecnica, quella basilare dei contenuti dell’intervento educativo.
Quante volte abbiamo visto fallire dei bei progetti solo perché si è trascurato uno dei particolari sopra citati? Dobbiamo essere dei manager di noi stessi. Ci viene richiesto di essere dei professionisti completi, degli imprenditori.
Perciò, non è da trascurare e consiglio di chiarire subito questo aspetto: la parte legata al budget economico. Anche qui dipende dal contesto presso il quale si presta l’opera: se la palestra è la mia o lavoro presso terzi, e via dicendo.
È chiaro che, come ho detto sopra, tutti gli aspetti sono importanti, ma devo essere convinto che ciò che vado a fare sia utile, quindi, il tutto ritorna all’inizio e si ricollega al PERCHÉ e al COME: perché mi prefiggo un determinato obiettivo educativo e a come voglio realizzarlo, con che strumento.
Io ho scelto di fare l’educatore perché, oltre che piacermi come mestiere, mi sembra di essere particolarmente predisposto “a dare agli altri”. Mi sembra giusto dare agli altri per migliorare la società ed è bello condividere delle esperienze di vita.
Fare l’educatore utilizzando il Karate Do Tradizionale per me è molto importante, perché è uno degli strumenti più validi per far evolvere l’essere umano… e di ciò ne sono convinto!