Il Maestro Shirai è stato molto importante nella mia formazione e continua a essere un riferimento nelle mie scelte.
(In KarateDo n.29 gen-feb-mar 2013)
Il Maestro Eligio Contarelli nasce a Puegnago del Garda il 13 novembre 1954. Terminati gli studi presso la scuola superiore di perito meccanico, svolge diverse attività professionali e, attualmente, gestisce un laboratorio di orologeria a Puegnago del Garda.
Sulle orme del fratello maggiore, “il Maestro Dino Contarelli”, Eligio rimane ben presto affascinato dal mondo del karate, iniziandone la pratica con passione ed entusiasmo, sin dai primi anni 70.
La vita professionale e famigliare s’intrecciano così con la pratica di un’arte marziale che – come per ogni karateka che si rispetti – vede il nostro protagonista impegnato su molteplici fronti: dai primi allenamenti con il M° Dino Contarelli presso la palestra di Brescia, agli stage nazionali e internazionali con i Maestri Kase e Shirai, dall’attività agonistica a quella di maestro di karate e di arbitro, sino alla copertura di importanti cariche federali: ancora una volta, è inevitabile riconoscerlo, siamo di fronte a un percorso impegnato a trecentosessanta gradi nel mondo del karate, un nuovo punto di vista per i nostri lettori, da scoprire insieme nell’intervista che segue.
Nel confronto con gli avversari, l’agonista di alto livello mostra rispetto, controllo, stabilità emotiva, capacità di stare alle regole.
Maestro Contarelli, ci parli un po’ di sé, della sua famiglia e dei suoi interessi.
Vivo a Puegnago del Garda con la mia compagna Tatiana e nostro figlio Alexander di 5 anni. Ho altri due figli, nati dal mio primo matrimonio: Elisa di 31 anni e Francesco di 29. Faccio parte di una famiglia molto numerosa, composta attualmente da una cinquantina di persone: i miei genitori, me, i miei quattro fratelli e i nostri relativi figli, nipoti e pronipoti. I miei interessi? Tra il lavoro che m’impegna tutta la giornata e l’impegno serale con la palestra, il tempo che rimane lo dedico tutto alla mia famiglia e nei momenti di relax mi piace leggere.
Quando ha iniziato la pratica del karate?
Ho iniziato a praticare il karate con mio fratello maggiore, il M° Dino Contarelli. Erano i primi anni 70 ed era stata da poco fondata la Fesika.
Che cosa l’ha motivata a scegliere il karate?
Quando mio fratello Dino mi invitò a frequentare la palestra, presso la quale aveva aperto un nuovo corso di karate per principianti, non esitai un attimo: ero molto incuriosito e affascinato dal karate e non vedevo l’ora di poter imitare il mio fratello maggiore. Tuttavia, nonostante il grande entusiasmo che mi ha sempre accompagnato, mi resi presto conto che la pratica del karate non era facile come mi ero immaginato: alla durezza e intensità degli allenamenti, si aggiungevano il tragitto di trentacinque chilometri che percorrevo quotidianamente per raggiungere la palestra di Brescia e il fatto di rientrare a casa sempre tardi la sera.
Com’è cambiata nell’arco degli anni la sua motivazione a continuare la pratica del karate?
Sin dall’inizio della mia pratica furono diverse le motivazioni che mi spinsero a resistere e ad andare sempre avanti: dai primi impegni di carattere agonistico, all’iscrizione al corso istruttori, sino alla partecipazione agli stage tenuti da maestri di altissimo livello, quali i Maestri Kase e Shirai. Grazie a questi stimoli, la voglia di continuare a praticare e il desiderio di approfondire sempre di più la conoscenza del karate, si moltiplicarono. In questo percorso di continua crescita, ritengo fondamentale avere avuto un bravo Maestro da seguire e, dall’altro lato, il ruolo di maestro da me svolto insieme al senso di responsabilità per i miei allievi, sono grandi e ulteriori motivazioni per continuare a migliorare.
È stato un agonista?
Ho cominciato l’attività agonistica poco dopo aver iniziato la pratica del karate: mi piaceva gareggiare nella specialità del kata.
Quali sono i risultati agonistici più importanti che ha conseguito?
I miei risultati furono un po’ altalenanti. Il podio che mi diede maggiori soddisfazioni fu il 3° posto conseguito ai Campionati Italiani del 1977 nel kata individuale. Poi, con l’unificazione Fesika/Fik, dovetti scegliere se proseguire il percorso agonistico intrapreso o dedicarmi all’insegnamento. Optai per quest’ultimo, pur continuando a gareggiare nelle più importanti competizioni di stile, come la Coppa Shotokan del 1978 dove mi classificai al 3° posto nelle specialità di kata e kumite a squadre, e il Campionato Italiano di Goshin-do del 1991, dove mi classificai al 1° posto. Pur diminuendo i miei impegni agonistici, rimasi sempre nell’ambiente delle competizioni in qualità di arbitro nazionale e internazionale.
Agonismo da un lato, pratica tradizionale di un’arte marziale dall’altro: qual è il suo pensiero in proposito a questi due aspetti che oggi convivono nel karate-do?
L’agonismo non è il fine ultimo di un praticante di karate tradizionale, bensì una componente importante nel percorso di formazione della persona. Nel confronto con gli avversari, l’agonista di alto livello mostra rispetto, controllo, stabilità emotiva, capacità di stare alle regole. Tutto questo diventa la componente essenziale per l’immagine pubblica di una Federazione che ha come obiettivi principali la crescita delle persone.
Il Maestro è una figura determinante in ogni disciplina, soprattutto nelle arti marziali: egli è l’esempio di moralità, rispetto, etica, impegno nell’approfondimento tecnico, tutte qualità che aiutano i suoi allievi a diventare persone.
Quando e perché ha conseguito le qualifiche di istruttore e di maestro?
Sono diventato istruttore nel 1975, dopo avere frequentato un corso della durata di due anni. Docente era il M° Shirai e, alcune volte, ci onorò della sua presenza anche il M° Kase. Le lezioni si tenevano al Palalido di Milano con una frequenza di ogni due settimane.
Ottenuta la qualifica di istruttore mi iscrissi subito ai corsi dell’AIK (Accademia Italiana Karate-do) e nel 1976 conseguii la qualifica di maestro. Questo periodo fu molto importante per la divulgazione del karate tradizionale nel nostro paese. Fu proprio in questo momento storico, infatti, che si formarono moltissimi tecnici: ciò anche grazie alla possibilità che vi era allora di iscriversi al corso maestri subito dopo aver ottenuto la qualifica di istruttore, senza la necessità di avere requisiti o titoli particolari.
La parola “Sensei” in giapponese significa letteralmente “nato prima”: che cosa rappresenta per Lei il suo Maestro?
La parola “Sensei”per noi è sinonimo di Maestro. Il mio Maestro è stato molto importante nella mia formazione e continua a essere un riferimento nelle mie scelte, pur avendomi aiutato molto a raggiungere la mia autonomia intellettuale. Il Maestro è una figura determinante in ogni disciplina, soprattutto nelle arti marziali: egli è l’esempio di moralità, rispetto, etica, impegno nell’approfondimento tecnico, tutte qualità che aiutano i suoi allievi a diventare persone. Un ruolo fondamentale nella società.
Lei è anche un arbitro federale nazionale: Le è mai capitato di rimettere in discussione il suo giudizio arbitrale al termine di una competizione?
Sono arbitro da circa venticinque anni, una carriera abbastanza lunga, durante la quale ho sicuramente commesso degli errori, anche se sempre in buona fede. Ritengo che un esercizio che tutti gli arbitri dovrebbero fare dovrebbe essere quello di riflettere sui giudizi dati. Questa pratica mi ha permesso di capire dove sbagliavo, aiutandomi a migliorare nella valutazione.
Gli agonisti si allenano ripetendo in continuazione le stesse tecniche del kata e/o le diverse strategie di combattimento fino al giorno della gara: come si allena, invece, un arbitro?
L’allenamento dell’arbitro è più complesso di quello dell’agonista, perché non è fatto solo di ripetizione della gestualità, ma di comprensione delle strategie, cercando di intuire le situazioni per arrivare a una valutazione più corretta e repentina. È necessario partecipare ai corsi nazionali organizzati dalla Federazione per affinare la conoscenza dei regolamenti e acquisire le competenze, per essere in grado di valutare gli atleti sulla base di criteri standard e uniformi. Un’altra qualità fondamentale che contraddistingue una classe arbitrale di alto livello è quella di essere liberi da condizionamenti di parte, riscuotendo così la fiducia dei veri protagonisti delle competizioni, gli agonisti.
Che cosa significa per Lei rivestire la qualifica di Kyoshi nella pratica del Goshin-do?
Iniziai la pratica del Goshin-Do nel 1985. Dopo lunghi anni di pratica, il conseguimento della qualifica di Kyoshi rappresenta per me il raggiungimento di un traguardo di grande prestigio e, al tempo stesso, di un altissimo senso di responsabilità per essere diventato un punto di riferimento, non solo nella pratica quotidiana dei principi dell’autodifesa, ma anche nella trasmissione di importanti valori etici e morali.
Quale carica riveste all’interno della FIKTA?
Sono membro della Commissione Superiore, un organo nominato dal Consiglio Federale e composto dai Presidenti delle varie commissioni. La Commissione Superiore è un organismo di alto valore etico, con il compito di proporre soluzioni di carattere morale alle diverse situazioni e/o problemi che possono presentarsi durante la vita federale. L’incarico che rivesto è sicuramente di alto prestigio, credo mi sia stato conferito per il ruolo da me ricoperto nell’ambito dell’arbitraggio internazionale.
L’allenamento dell’arbitro è più complesso di quello dell’agonista, perché non è fatto solo di ripetizione della gestualità, ma di comprensione delle strategie.
“Non pensare che il karate si pratichi solo nel Dojo” recita un precetto del Maestro Funakoshi: come riesce a mettere in pratica questo principio e in che cosa la pratica del karate-do riesce a fare la differenza nella sua vita di tutti i giorni?
Il M° Funakoshi era un profondo conoscitore delle potenzialità del karate: egli era fermamente convinto che, attraverso una pratica corretta dell’arte marziale, sarebbe stato possibile attuare un miglioramento delle persone e, di conseguenza, della società. Condivido pienamente questo punto di vista, potendo dire con certezza che la pratica del karate mi ha fatto crescere, non solo tecnicamente, ma anche e soprattutto dal punto di vista personale e umano, insegnandomi alcuni valori fondamentali che cerco di applicare nella mia vita di tutti i giorni: perseveranza, capacità di concentrazione, autocontrollo, voglia di conoscenza, continuo stimolo a progredire e, principalmente, rispetto per le persone e per le cose che ci circondano.
A chi o a cosa vorrebbe esprimere un pensiero di sincero ringraziamento per concludere questa intervista?
Sono tante le persone che dovrei ringraziare per avermi dato l’opportunità di conoscere e di mettermi in condizione di continuare a praticare il karate, sicuramente la mia famiglia e i maestri incontrati durante questi anni di pratica, ma un ringraziamento particolare e sincero lo devo, prima di tutto, a mio fratello Dino Contarelli, per avermi iniziato e seguito in questo percorso fino a ora.