Di fronte alla cultura giapponese è necessario ricordare che esiste un impegnativo e mai definitivo lavoro di interpretazione e traduzione della lingua e dei concetti; non è mai solo opera linguistica, ma anche filosofica.
La cultura giapponese è un contenitore profondissimo di valori e interessi che hanno radici nella complessità del linguaggio e in una tradizione secolare che si difende dal tempo e dai colpi della modernità.
Di fronte alla cultura giapponese è necessario ricordare che esiste un impegnativo e mai definitivo lavoro di interpretazione e traduzione della lingua e dei concetti; non è mai solo opera linguistica, ma anche filosofica.
Per due secoli, tra il 1638 e il 1853, il Giappone ha vissuto la sua storia di paese incatenato, sakoku, inaugurato dallo shogunato di Tokugawa e superato con l’inizio dell’epoca Meiji nel 1868.
… “non dualismo”, un concetto che riconosce negli opposti una tensione continua, che non esclude l’uno o l’altro.
L’epoca del sakoku ha visto il Giappone chiuso in sé stesso, senza contatti con l’esterno, almeno fino a quando gli eventi storici lo costrinsero ad aprirsi verso l’Occidente per colmare un ampio divario tecnologico ed economico. Da quel momento il Giappone iniziò a confrontarsi con la filosofia e i modelli socioculturali occidentali, scoprendo che questa relazione doveva fare i conti con un muro linguistico e concettuale di enorme rilevanza.
Molti pensatori giapponesi si aprirono al pensiero occidentale con grande interesse e curiosità, spingendosi a creare nuove parole che potessero spiegare qualcosa di sconosciuto e diverso di cui non avevano ancora avuto esperienza. Allo stesso modo l’Occidente, confrontandosi con la cultura giapponese, iniziò a conoscere un mondo alternativo, organizzato attorno a regole, sentimenti e visione della vita del tutto nuovi.
“Medesimo e diverso, identità e alterità diventano i poli tra i quali far maturare la costruzione di un possibile futuro, insieme a un’immagine della società e della cultura” – (Marcello Ghilardi, L’estetica giapponese moderna, 2016.)
Nishida Kitaro è stato un filosofo giapponese vissuto durante l’epoca Meiji, fondatore dalla Scuola di Kyoto. Tutta la sua opera si è sviluppata come studio delle culture orientale e occidentale, delle loro differenze e dei punti di incontro, finendo per incorporare idee Zen e della filosofia occidentale in maniera creativa e armonica. La nozione più importante che ci ha lasciato è quella di “non dualismo”, un concetto che riconosce negli opposti una tensione continua, che non esclude l’uno o l’altro, ma che valorizza le opposizioni ed esalta il concetto di “luogo” (basho), dove gli opposti si incontrano e si conoscono, rivalutandosi a vicenda.
Durante l’epoca Meiji il rapporto tra Giappone e Occidente si è probabilmente articolato secondo questo concetto di non dualismo, come tensione tra mondi diversi che hanno potuto imparare e auto-definirsi proprio in ragione della reciproca conoscenza.
L’incontro con l’altro, in qualche modo, ha obbligato i giapponesi a trovare una cifra stilistica per raccontarsi al mondo ed è proprio questa spinta che ha contribuito a formare la loro stessa identità. L’opera di confronto ha determinato il solidificarsi della tradizione, pur lasciando entrare aspetti nuovi e moderni, e ha determinato la ricerca di parole inedite, capaci di far comprendere la propria cultura al di fuori dei confini e per consentire al Giappone di conoscere il mondo al di là dell’isola.
L’elemento principale che ha caratterizzato la filosofia giapponese in epoca Meiji è il continuo rimando ai caratteri estetici, che per la cultura giapponese non sono solo teoria, ma codice di sensibilità applicato alla vita quotidiana. Questo significa utilizzare immagini e sensazioni per descrivere i propri valori e la propria cultura. È il sentimento delle cose, mono no aware, una sensibilità verso la bellezza effimera dell’esistenza, che invita a vivere ogni momento con consapevolezza e gratitudine.
Il rischio è d’interpretare con i canoni occidentali qualcosa che ha una matrice etica, filosofica, artistica profondamente differente.
Questa filosofia permea ogni aspetto della vita giapponese, dall’arte alla letteratura, dai rituali quotidiani alle celebrazioni stagionali.
“È certamente vero che abbiamo molto da ammirare e da imparare dal glorioso sviluppo della cultura occidentale che considera la forma come essere e il divenire come bene, [ma] al fondo della cultura orientale che ha nutrito i nostri padri per millenni non vi è forse nascosto qualcosa come il vedere la forma del senza forma, il sentire la voce del senza voce? Il nostro cuore non smette di anelare proprio a questo”. [Nishida Kitaro, An Inquiry into the Good, (善の研究, Zen no Kenkyū), 1911.]
In generale, il Giappone ha un codice di sensibilità che è inseparabile dalla vita e dall’esperienza quotidiana. L’estetica è un elemento distintivo di questo codice, come connubio tra spirito e sensazione, intrecciato con la natura. Talvolta, il rischio è d’interpretare con i canoni occidentali qualcosa che ha una matrice etica, filosofica, artistica profondamente differente, finendo per cadere in stereotipi e luoghi comuni.
Il processo di modernizzazione avviato dal Giappone durante i periodi Meiji e Taisho ha il merito di aver integrato i concetti provenienti dall’esterno, dimostrando “una capacità di fagocitare ed elaborare nozioni, esperienze e categorie esterne, riformulandole e adattandole al proprio contesto” (Marcello Ghilardi idem).
Questo processo ha determinato l’elaborazione di numerosi concetti e rappresentazioni che hanno acquisito una forza tale da spingersi oltre i confini dell’Asia, garantendosi anche di perdurare nel tempo.
Seguire le regole, approcciarsi alle attività con metodo condiviso, tramandare i concetti e la tecnica con meticoloso zelo, tutelare e curare il nascosto, evitare le manifestazioni individuali, proteggere l’interno, sono aspetti che in larga misura differenziano il Giappone nel panorama mondiale. La speciale capacità di unire mistero, effimero, potenza, rigore e sentimento ha contribuito nel tempo a donare al Giappone un fascino forse ineguagliabile.
Numerosi concetti e rappresentazioni che hanno acquisito una forza tale da spingersi oltre i confini dell’Asia.
Questi tratti distintivi si sono delineati come risultato di un’opera filosofica e intellettuale, che ha avuto come destinazione il riconoscimento dell’etica e dell’estetica, spesso indistinguibili l’una dall’altra, come parte integrante e fondamentale della vita.
• Etica, s. f. [dal lat. ethĭca, gr. ἠϑικά, neutro pl. dell’agg. ἠϑικός: v. etico1]. – Nel linguaggio filosofico, ogni dottrina o riflessione speculativa intorno al comportamento pratico dell’uomo, soprattutto in quanto intenda indicare quale sia il vero bene e quali i mezzi atti a conseguirlo, quali siano i doveri morali verso sé stessi e verso gli altri, e quali i criterî per giudicare sulla moralità delle azioni umane (Treccani on-line).
• Estetica, dapprima disciplina riguardante la conoscenza sensibile o la percezione, dalla metà del XVIII secolo, il suo significato prevalente è di disciplina riguardante il bello (naturale e in particolare artistico), la produzione e i prodotti dell’arte, il giudizio di gusto su di essi (Treccani on-line).