Abbiamo l’onore di custodire dentro noi stessi questa essenza per poi diffonderla, questa Arte, ai più giovani, questo è il Karate-Dō.
Ho incontrato il sensei Diogo Yoshida (5° dan JKS) alcuni anni fa durante il Campionato PanAmericano (2017), svoltosi nella città di Vitória in Brasile, aperta a tutte le Federazioni e l’Italia unica nazione invitata come “estera”.
Eravamo nella stessa fascia di età (Master 50), ma non ci siamo incrociati nel tabellone sia nella competizione kata sia nel kumite (in quell’occasione Yoshida si coronò 2º e 1º rispettivamente). Nel corso degli anni abbiamo comunque avuto modo di parlare, di praticare insieme il karate e di partecipare al seminario del Mº Masao Kagawa.
Questa intervista non vuole però solo sottolineare il palmarès internazionale di Yoshida, come atleta riconosciuto a livello mondiale, ma anche la sua traiettoria nella pratica del karate, che attraversa tutte le Federazioni più importanti JKA, JKS, WKF e quelle autoctone brasiliane CBKS e FKSRJ piene di allievi. Un esempio da seguire, a mio avviso, una scelta all’ascolto e anche un atto d’umiltà e coraggio nel “mettersi sempre in discussione” con angolature e piani differenti. Far parte dell’“orchestra” è sinonimo di dedicazione e umiltà, vocazione incondizionata, apertura ad altri orizzonti, che garantisce e consolida autonomia ed indipendenza di spirito e, allo stesso tempo, offre l’opportunità di raccogliere il massimo profitto nell’apprendimento per poi specchiarlo nell’insegnamento stesso.
Un’esperienza quindi vasta e poliedrica, decennale, non bloccata in una nicchia o in un gruppo. Mai supina alle direttive di chi parla solo di karate in giacca e cravatta, dietro una scrivania, impermeabile al chiacchiericcio e alle sempre verdi lotte intestine all’interno delle federazioni (alcune delle quali poche disposte al dialogo costruttivo e propositivo, all’unione d’intenti, che dovrebbero invece promuovere inclusione e diffondere i principi base della disciplina) o sigle fantomatiche (che non hanno mai avuto a che fare col karate) nate negli ultimi lustri, sia in Italia sia in Brasile, che salgono “in carrozza” solo per ragioni economiche, di potere o riconoscimento. Qui, invece, si tratta di un’esperienza ripeto (conoscenza diretta, acquisita con l’osservazione o la pratica) personale, una visione d’insieme delle infinite opportunità dell’Arte Marziale che rimane al centro, irremovibile malgrado tutto e tutti, irriducibile e non etichettata, che favorisce, eleva ed espande, il Cammino personale di ricerca e crescita.
Altro motivo della breve intervista è ricordare il lemma di Gichin Funakoshi: “Karate no shugyo wa issho de aru”, “il karate si pratica tutta la vita”, precetto numero 9 dello Shōtō nijū kun.
Abbiamo sempre qualcosa di nuovo da imparare da persone differenti e migliori di noi.
Com’è nato l’approccio con il Karate, con quale insegnante hai iniziato e a che età?
Il karate è arrivato nel 1978 grazie a mio padre che aveva praticato il judo e ritenuto subito importante l’istruzione alle arti marziali.
Ho iniziato lo Shotokan con il sensei Sadamu Uriu (9° dan JKS), scomparso recentemente, uno dei pionieri del Karate in Brasile. Arrivò nel 1959, fu allievo del sensei Masatoshi Nakayama del Takushoku Daigaku – Takudai. Avevo quindi dieci anni quando ho iniziato a seguire i corsi per bambini all’Accademia NKK a Tijuca, Rio de Janeiro.
Sensei Yoshida, hai fatto la scelta giusta, sicuramente impegnativa, unica e piuttosto rara: migliorare e conoscere il Karate attraverso l’affiliazione a varie federazioni acquisendo così una vasta esperienza che abbraccia tutti i grandi maestri. Ce ne puoi parlare?
È stata una scelta che è nata da una triste storia che in seguito si è trasformata in orgoglio. Per anni sono stato presidente della CBKS – Confederazione Brasiliana Karate Shotokan e la FKSRJ – Federazione Karate Shotokan di Rio de Janeiro, tutto sotto la supervisione del sensei Uriu, dopo le dimissioni del suo primogenito.
Ho assunto questo incarico in entrambe le organizzazioni. Nel 2014 quando il sensei Uriu ha annunciato il suo pensionamento, sono stato costretto a chiedere le dimissioni dai miei incarichi di presidente, poiché è sempre stato tramite lui che ho assunto tale compito. Per ragioni indipendenti dalla mia volontà e per intrighi interni, verificatesi in quel determinato momento, pettegolezzi e bugie sul mio conto, sono stato bandito dal NKK Dojo fino al 2018. Poi finalmente sono tornato col consenso dello stesso sensei Uriu, continuando sempre all’interno della JKS come affiliato.
In quel difficile periodo ho pensato di interrompere gli allenamenti, perché è stato un colpo molto basso. Ma tramite gli amici ho ricominciato ad allenarmi, prima all’interno del gruppo JKA, poi col Tradizionale ITKF, in seconda battuta con la KWF, poi WKF, mantenendo sempre vivo il contatto con gli appartenenti allo SKIF.
Questo scambio di conoscenza assoluta, all’interno di diversi Dojo, in allenamenti anche nella stessa settimana, mi ha arricchito tecnicamente. È un dato di fatto: abbiamo sempre qualcosa di nuovo da imparare da persone differenti e migliori di noi, oltre poi alle competizioni con regole e concorrenti sempre diversi. Tutto questo ha aiutato il mio sviluppo come karateka.
Sono riuscito a distinguermi e a richiamare l’attenzione sull’unificazione dei titoli nelle diverse organizzazioni, tutti lo sapevano: le mie origini risalgono al sensei Uriu e loro mi rispettano per questo.
Che cosa puoi raccontarci del Karate in Brasile e in America Latina, qual è la situazione al momento?
Il karate in Brasile si è evoluto molto, abbiamo una buona base coi maestri giapponesi: la diversità etnica del Brasile favorisce biotipi versatili e forti. Questo interscambio costante ha portato il Brasile ai vertici del mondo. In America Latina, abbiamo paesi vicini estremamente forti, come ad esempio Cile e Argentina che si sono distinti nella WKF, JKA, ITKF, JKS e altre organizzazioni di fama mondiale.
Quali sono i tuoi ricordi più belli?
Nel 2019 ho effettuato tredici viaggi: 10 in Brasile e 3 internazionali, 2 Campionati del Mondo di Kumite (ho vinto in tutto 3 Campionati del Mondo di Kumite Master +50: KWF 2017, JKS 2019 e ITKF 2019). Dopo aver lasciato la Colombia come campione pan-americano della JKA e andando a Dublino nel settembre 2019, ho preso una polmonite grave. Non lo sapevo, ho combattuto indefessamente per diventare campione del mondo JKS. Poi, nell’ultimo campionato, sempre del 2019, avevo un braccio rotto, ma nessuno lo sapeva che mi ero operato e mi avevano messo una placca nell’ulna, malgrado questo sono comunque andato alla gara vincendo il campionato del mondo ITKF. A parte le difficoltà e le innumerevoli sfide nelle eccellenti competizioni, ritengo che sia stato un anno fantastico.
Il karate in Brasile si è evoluto molto, abbiamo una buona base coi maestri giapponesi.
Che cos’è per te il Karate?
Oggi è uno stile di vita, un modo per mantenermi in salute facendo una lotta che mi piace fare, in un ambiente sano, in cui ci sono persone che hanno gli stessi valori.
Non ho mai visto un cattivo karateka fare bene in questo ambiente, quelli che hanno un cattivo carattere non hanno spazio nelle arti marziali. Tutti i karateka, quelli veri, sono stati forgiati nel dolore, nella disciplina, nella gerarchia e principalmente nell’umiltà e nel rispetto, chi non ha questo non sarà mai un karateka non saprà nemmeno cosa sia il Budō. Abbiamo l’onore di custodire dentro noi stessi questa essenza per poi diffonderla, questa Arte, ai più giovani, questo è il Karate-Dō.
Qual è la differenza tra sport e arti marziali?
Lo sport è necessario per comprendere il potere delle arti marziali. Lo status dell’arte, cioè il Karate come Arte Marziale ci fa capire come e cosa è, e cosa ci offre. Non solo colpi contundenti e mortali, ma un modo di condurre una vita dignitosa, di salute e carattere. Lo sport è necessario perché è possibile mettersi alla prova e mettersi alla prova ci avvicina alla realtà, con adrenalina e forti emozioni, dove la vittoria non è sempre l’obiettivo, ma l’autocontrollo e il nostro Budō devono crescere, elevarsi.
Qual è la differenza tra il Karate tradizionale (anni Ottanta) e quello odierno? Com’è cambiato il karate nel corso degli anni?
Le regole sono cambiate molto, attualmente trovo la regola ITKF molto complessa, direi che è la più difficile di tutte le organizzazioni, sia per gli arbitri, sia per gli atleti e il pubblico.
Negli anni Ottanta abbiamo visto atleti forti, ritengo che si rispettassero a vicenda, perché anche con gli incidenti, gli attacchi al viso erano pochi e quelli al tronco erano molti. Il sensei Uriu ha detto: “Tutti sanno come colpire qualcuno in faccia, ma buttare a terra qualcuno con uno tsuki alla pancia è difficile”. Ricordo che da bambino andavo in palestra e sentivo degli echi simili a tamburi, come se battessero sui tronchi!
Nell’ultima Coppa del Mondo ITKF abbiamo visto atleti più versatili, utilizzando ura mawashi geri, buon movimento delle gambe, molta velocità. La globalizzazione ha favorito competizioni diversificate in più organizzazioni, costringendo gli atleti ad adattarsi a movimenti e colpi attualmente utilizzati in Europa e Medio Oriente, persino il Giappone si è dovuto adattare.
Quali sono i tuoi interessi negli sport competitivi e qual è l’evento più importante a cui hai partecipato?
Mi piace molto gareggiare, ho ancora una forte voglia di continuare, anche se oggi ho cinquantasette anni. La mia adrenalina continua a pompare, lo vedo come mi alleno duramente con persone preparate, dove posso mettere alla prova i miei movimenti e i miei kata.
L’evento più importante è stato il campionato mondiale JKA del 2024, per il grande numero di atleti, ma non sono riuscito a realizzare nemmeno il 10% del mio potenziale, in qualche modo il mio Ki non era con me e sono uscito al primo combattimento, con un avversario che è diventato poi un amico, ma che avevo già battuto nella finale di Pan Americano nel 2019. Prima di questo, la Coppa del Mondo JKS 2019, dato che sono di questa organizzazione, vincere lì è stato molto importante, anche senza sapere che avevo la polmonite, ho lottato e mi sono trascinato fino alla finale.
L’esempio muove la moltitudine.
Qual è l’età giusta per iniziare a praticare Karate?
Sono d’accordo con il sensei Uriu: otto anni è l’età ideale per imparare il Karate, prima è un gioco, il bambino non sa nemmeno perché sta col karategi.
Se lo dovessi dire a un giovane che sta iniziando a praticare Karate, quale sarebbe l’aspetto più importante dell’allenamento tecnico?
Le posizioni, molto kihon, molto kata Heian, perché è nei fondamentali la base di tutto. Tutti devono prendere confidenza con le posizioni, le transizioni (spostamenti) e le forme di ogni colpo: non si possono saltare questi passaggi.
Quando giudichi un kata in una competizione internazionale, cosa cerchi?
Come detto in precedenza, le posizioni, la base si concentra principalmente sui piedi, la forma di ogni colpo in modo chiaro e pulito, i movimenti senza aumentare l’altezza, il ritmo e il kime.
Hai un kata preferito e perché?
In passato era Sōchin, perché penso che sia molto bello per le posizioni, forte ed esplosivo, ma l’età mi pesa e ho fatto molto Jitte, un kata che richiede forza, ma anche forma, a volte scelgo anche Nijūshiho. Ma in competizione l’ideale sarebbe farli tutti, anche un Tekki Sandan, perché no? Se senti tuo il Kata, può essere qualunque.
Quali sono i progetti a breve termine?
Vorrei creare più cinture nere, perché è alla portata di tutti, basta seguire il protocollo dell’esame e non perdere la formazione. I Dan hanno bisogno di parecchio studio e allenamento. Chissà, forse un Dojō tutto mio, perché oggi do lezione in una palestra collettiva.
Quale consiglio puoi darci o quale messaggio vuoi lasciarci?
Allenati ogni giorno, anche quando non puoi più, anche se è solo mentalmente. Il mio sensei Uriu ha detto questo, è morto a 91 anni (30.11.2020), forte, lucido, eseguendo diversi Shotokan Kata e Koten Kata della linea del maestro Asai. Lui è stato il mio più grande esempio nel Karate, rude, energico, molto tecnico, ha trasformato la vita di migliaia di karateka in Brasile.
L’esempio muove la moltitudine.