Celebrare i vent’anni dalla nascita dell’Associazione KEIKO con un’interessante conferenza: focus sui giovani allievi e un approccio multidisciplinare.
di Anita Ferrarese
Inspira. Espira. Inspira. Hajime
Sarebbe bello anche ora, durante questa lettura, soffermarsi un istante.
Ci renderemmo conto di quanto il tempo sappia dilatarsi nella durata di un respiro. Ci renderemmo anche conto che la nostra mente non è poi nemmeno ora libera dal consueto assedio dei pensieri.
Proprio come voi – qui e ora intenti a seguire con lo sguardo queste righe – noi quel sabato pomeriggio 21 settembre, in veste di spettatori, ci trovavamo là, seduti sulle poltroncine rosse del Teatro Centrale del comune di San Bonifacio (VR).
Gioco a rivivere quel momento: sono circondata da volti amici e sconosciuti, gli agonisti là in fondo seduti tutti vicini, radunati in festa, a celebrare i vent’anni dalla nascita dell’associazione KEIKO.
Laura Di Bitonto ci guida in una meditazione corale e apre in questo modo le “danze”.
Il centro non è qui
“Quando abbiamo scelto il nome della struttura che quotidianamente ci accoglie – esordisce Laura – abbiamo voluto chiamarla Il Centro”. Eppure… “quando entrate nel Dojo e percorrete il corridoio, vi trovate di fronte a una ampia tenda variopinta, che riporta la scritta ‘Il Centro non è qui’, per ricordarci che Il Centro non è una parola, ma è ciascuno di noi per se stesso.”
Come questa parola può quindi tradursi nel concreto per ognuno di noi?
A permetterci di sperimentarlo è stato un esercizio di bioenergetica da lei proposto. Laura è dott.ssa sia in Scienze Motorie, sia in Scienze Psicologiche ed è anche counselor somatorelazionale, riesce a guidarci e a unire le nostre sensazioni con i nostri pensieri (È un bell’inizio! Penso io).
Il centro per ciascuno è sé stesso, ora l’obiettivo è tentare di avvicinarsi a esso provando a lasciar scorrere via i pensieri del momento.
“Soffiando nel palloncino che avete in mano provate a immaginare che insieme all’aria emessa dai vostri polmoni, scorrano via anche pensieri che volete lasciare andare”. Poteva veramente funzionare? La sala era punteggiata di palloncini colorati, custodi delle piccole/grandi sofferenze di ognuno. “Proviamo a rilasciarlo” la voce di Laura guida il silenzio che si è generato. Inspira, espira, inspira. Al suo terzo “vai!” il teatro si riempie di una tempesta di palloncini, che nel loro sgonfiarsi svolazzano gioiosi e permettono alle nostre preoccupazioni di abbandonare la sala in una risata collettiva.
Come ci sentivamo? In lontananza qualcuno dichiarava un sicuro “più rilassata!”, a seguire si animavano le altre ali del teatro “sto meglio!” e altri “liberato!”, dalla prima fila un sereno “più tranquillo”.
Fare Karate Do, arrivare ad avere le mani vuote, significa anche lasciar andare.
La parola chiave è gratitudine
L’esercizio era terminato e cominciava ad aleggiare nella sala l’implicita domanda: perché un piccolo gesto simbolico come questo ha avuto risonanza in noi? Soffiando in quel palloncino ci stavamo prendendo cura di noi, creando un piccolo momento di sincerità verso noi stessi. Fare Karate Do, arrivare ad avere le mani vuote, significa anche lasciar andare, così come abbiamo lasciato il nostro palloncino volare via.
Rilassati e ben disposti, inizia ufficialmente la conferenza.
È Ilaria Magrinelli a prendere le redini dell’evento. Ilaria, fondatrice di GAIA, seduta su una delle due comode poltrone sul palco, accoglie i nostri relatori.
“Quando c’è una visione – dice – nonostante tutto quello che succede negli anni e negli eventi, rimanere al centro, rimanere nel proprio centro e ritornare a quello che è stato all’inizio, è la chiave tante volte per andare avanti.”
Questi vent’anni di impresa sono iniziati come qualcosa di individuale e per piccoli gruppi, ma poi è diventato e diventa sempre di più un coinvolgimento a livello di comunità, quindi, rivolgendosi a Thomas Rossetto, primo relatore e fondatore della società, chiede:
“Perché è una buona idea insegnare ai ragazzi a dare i calci?”
“È una buona idea perché, in un modo o nell’altro, loro i calci li daranno lo stesso, ma se ci siamo anche noi educatori, possiamo entrare con ‘l’arsenale’ educativo che ha un insegnante. Educare nella tematica del conflitto significa mettere ordine dove di solito c’è confusione”… Perciò, educare anziché evitare il conflitto. Interessante!
“Andare a mettere delle regole è un modo per disinnescare la possibilità che il conflitto accada. Insegnare ai bambini a ‘fare la lotta’ significa aiutarli a conoscere sé stessi quando avranno voglia di farla con qualcuno e avranno già potuto viverla in palestra. Non saranno sopraffatti dall’emozione di rabbia, ma sapranno gestire un conflitto che hanno visto più volte in un dojo, in sicurezza.”
Thomas ha infatti delineato 4 punti focali dell’insegnamento educativo del Karate Do.
- Per fare un calcio ci sono delle regole e queste riguardano ogni aspetto della tecnica: posizionare bene il ginocchio, piegare la gamba, stare in equilibrio, mantenersi concentrati. Ciò è attuato con la finalità d’inserire razionalità e consapevolezza in uno schema motorio di base legato allo sfogo: quello del colpire. In quanto schema motorio di base esso è infatti insito in ciascuno di noi e dei nostri bambini, ma per sfruttare le sue potenzialità al massimo è necessario corredarlo e incanalarlo con la pratica.
- Nelle arti marziali non può esserci il KO, ma c’è sempre il controllo dei colpi. Lavorare sull’inibizione cinetica è fondamentale per allenare l’autocontrollo. Si tratta quindi di un’abilità che va appresa non solo per imparare a fare il colpo, ma anche per capire che non posso usarlo per fare del male. Quindi, pugni e calci alla massima velocità con la ricerca di non arrecare alcun danno all’altro.
- Il desiderio di sfogarsi non viene soffocato, avere l’occasione di fare calci e pugni è un modo per vivere la propria aggressività senza il pericolo o la preoccupazione di fare del male a qualcuno. Quindi, nessuna censura verso i propri sentimenti e istinti aggressivi. Lasciamoli uscire fuori, per poi andarsene… come palloncini.
- Dopo che mi sono sfogato sto bene, ho un senso di benessere, di rilassamento, la mia mente associa questi gesti a un beneficio psicofisico e m’invoglia a praticare ancora. Mi sento più rilassato se non mi trattengo.
Non saranno sopraffatti dall’emozione di rabbia, ma sapranno gestire un conflitto che hanno visto più volte in un dojo, in sicurezza.
“Con il tempo il karateka impara a dare i calci, ma non agli altri, né a farseli dare.”
Continua il cammino verso la salute
In questo incontro a teatro ci dedichiamo all’età dell’infanzia e dell’adolescenza attraverso lenti d’ingrandimento differenti che, connesse le une alle altre, permettono di seguire gli allievi non solo in quanto atleti che devono apprendere uno sport, ma prima di tutto come persone con i loro bisogni e interessi.
Pertanto, Valentina Meneghini, medico nutrizionista, inizia il secondo intervento, sulle abitudini alimentari dei giovani che sono condizionate dalle abitudini del regime alimentare adottato in famiglia, con il rischio che questo sia penalizzante per i figli.
A partire dalle buone abitudini da adottare riguardanti le gerarchie dei pasti (in rilievo è la colazione, fondamentale per iniziare la giornata con la giusta energia) e giungendo a parlare dell’importanza di condividere queste stesse abitudini in famiglia, Valentina ci ha permesso di comprendere che assumendo in prima persona noi uno stile di vita sano, si può facilitare l’adozione di questo da parte dei nostri bambini.
Scoprire e fare esperienza del fallimento
Alice Scala, psicologa e psicoterapeuta, ci ha aperto gli occhi sulla grandissima differenza che vige tra gli adolescenti di oggi e di un tempo, specialmente nel rapporto con i genitori.
“L’adolescenza è l’età dell’esplorazione e questo provoca uno sconvolgimento nelle nostre vite di adulti. Siamo naturalmente impreparati, ora più di ieri, perché questo nuovo tipo di adolescenti non ha riscontri nel passato.
L’adolescente di oggi è più chiuso, spesso schiva le relazioni e le ricerca più facilmente a distanza che in presenza. Il mondo degli adulti non sa come reagire, alternando un eccesso di presenza fisica e di controllo (vedi registro elettronico sempre connesso con lo smartphone della mamma), ad atteggiamenti spesso degli adulti ibridi, che li portano a essere figure di riferimento, ma con atteggiamenti a volte simili agli adolescenti, dal vestire all’uso smodato dei social network. La separazione fra adolescenti e i nuovi genitori adulti 40-50enni non è sempre così netta.”
Ecco, dunque, Alice stilare una lista mentale di 4 “compiti per gli adolescenti”, utili in realtà a entrambi, figli e genitori.
- Separazione dalla nicchia affettiva primaria, quindi dai genitori, in una maniera che richiede fatica e accettazione, soprattutto da parte degli adulti. È buono e normale che l’adolescente cerchi altre persone oltre a mamma e papà per sentirsi bene e accettato.
- Mentalizzazione del corpo sessuale, aspetto per il quale diventa “importante il confronto con il corpo dell’altro” e si inizia a percepire che il “il mio corpo non lo guardo solo io, ma anche gli altri e devo iniziarmi a preoccupare dell’immagine che io voglio indossare”.
- Formazione del nuovo ideale dei valori di riferimento “a un certo punto tutto ciò che dicono i genitori non va più bene!”, ma questo, nonostante sia inaccettabile dai genitori, è buono, sano, e da promuovere.
- Nascita sociale, aspetto fondamentale per potermi separare dalla mia nicchia primaria e che richiede di “avere un altro gruppo a cui sentirmi di appartenente e che mi faccia sentire giusto. Farmi sentire parte della massa e nella massa poter emergere”. Un adolescente che vive la famiglia come un luogo rifugio manifesta difficoltà, non amore per i suoi genitori.
La moderatrice Ilaria, con i suoi interventi sagaci di mamma di adolescenti, riesce a far sorridere più volte la sala, ricordando quanto sia duro non solo per i ragazzi, ma anche per le mamme e i papà, affrontare questo periodo di vita dei figli. Tutti prendono appunti mentali e Alice snocciola realtà che, sebbene siano scomode, hanno bisogno di tempo per essere sedimentate, soprattutto per gli adulti più avanti negli anni. I ragazzi annuiscono, hanno la sensazione di essere stati visti…
Nelle arti marziali lo strumento di lavoro è la relazione con l’insegnante.
Se si tratta di educazione allora al primo posto c’è la consapevolezza, non la performance
Ritorna a conclusione il maestro Thomas, non più come insegnante professionista, ma come genitore di questa associazione. Arriveranno domande sul percorso che ha portato dal 2004 al 2024 il nostro gruppo fino a qui.
Il coraggio di partire, la lunga e affascinante formazione con il maestro Riccardo Frare, le difficoltà nel creare da una passione una professione, le sfide superate e quelle che arriveranno.
Ilaria chiede: “Perché la figura del maestro è importante nel Karate Do?”
“Nelle arti marziali non c’è nessuno strumento di lavoro. Molti sport hanno attrezzi o condizioni naturali senza le quali tale sport non è possibile, come la neve per lo sci o l’acqua per un nuotatore. Nelle arti marziali lo strumento di lavoro è la relazione con l’insegnante, il cui compito è trasmettere la propria conoscenza e le proprie intuizioni, frutto di una lunga, lunga pratica, a un’altra persona. Il risultato sarà un nuovo praticante, uguale ma allo stesso tempo completamente diverso dal suo insegnante. Come il crossing over genetico per un figlio, così per questa peculiare trasmissione del sapere umano.
L’insegnante è uno che ti lascia un segno. Una figura che non sempre ti dice quello che vuoi sentirti dire.
A volte sono l’insegnante, a volte l’educatore” perché l’educatore è “una persona che fa il tifo per te e che ti vuole e-ducare (dal latino), far uscire. L’educatore non può insegnare la stessa cosa nello stesso modo a tutti, dal momento che ognuno si trova in una condizione diversa”. L’educatore solo se è incoerente nei metodi può avere successo, perché un unico metodo non può funzionare per tutti.
Tutto ciò è racchiuso nei doveri del maestro. Figura che spesso viene fraintesa: essa non rappresenta “qualcuno che è di più di qualcun altro, non si può essere arroganti da credersi meglio di qualcuno. Il maestro, per anzianità e intuito, sa qualcosa di più, ma è esattamente, nel profondo, allo stesso livello umano di tutti.”
L’apprendimento si basa perciò “su imitazione positiva e ispirazione: l’allievo innalza il maestro per poterlo avere come esempio e il maestro continuamente rilassa sé stesso e la sua immagine con umiltà, innescando un proficuo e profondo rapporto di fiducia reciproca.
Grazie solamente alla fiducia il maestro è quello che ti porta a fare ciò che dicevi non essere in grado di fare.” Grazie alla stessa fiducia l’allievo conferisce dignità e futuro agli insegnamenti del Maestro. Si attiva quindi un ciclo di gratitudine reciproca.
In conclusione, inizia la consegna delle targhe di ringraziamento, a memoria di ciò che è stato e ciò che stiamo andando a fare nel prossimo futuro.
La nostra società KEIKO gode di ottima salute, le radici sono ancorate e salde nei valori che hanno costruito i maestri che ci hanno preceduto, mentre lo sguardo è rivolto all’orizzonte.
Buon ventesimo compleanno a noi!