728 x 90

Mokusō, attimo fuggente? (Parte 3)

Mokusō, attimo fuggente? (Parte 3)

Quando il sensei chiama il mokusō, spesso i principianti si trovano impreparati a questo momento inconsueto che, invece, è e risulta prioritario nel Karate.

Il mokusō ci aiuta a uscire dalle incertezze, dai tentennamenti, ci offre validi strumenti e la “ferramenta” da usare. Ritorna la reminiscenza taoista: “Abbandona ciò che è fuori. Coltiva ciò che è dentro. Vivi per il tuo centro, non per i sensi […] Si raggiunge la chiarezza quando si sta quieti in presenza del caos” (Lao Tzu, Tao te ching, Mondadori, MI, 2015, pp. 16 e 19).
Attivare questo processo, definendo un protocollo da seguire con parametri, forse nuovi o solo da correggere, può ripristinare l’eccesso di emotività, anche la sensibilità esagerata e accordata a un’ottava superiore, calma quindi quella postura ansiogena (insonnia compresa), smussa la condotta polemica e di scontro, smorza allo stesso tempo i toni accusatori, mitiga ciò che abbaglia, elimina scorie e tossine (il pericoloso ristagno emotivo che porta a malattie psicosomatiche), bonifica i parassiti e gli anabolizzanti mentali e, a volte, edulcora atteggiamenti critici, procellosi e pervicaci, cavillosi, che poi alla fine ci affossano inevitabilmente nelle sabbie mobili. L’opera del meditare permette di ripulire la mente: è come togliere il mallo (dal gusto amaro) alla noce per renderla dolce e gradevole. Un percorso di maturità e di esperienza!

L’opera del meditare permette di ripulire la mente: è come togliere il mallo (dal gusto amaro) alla noce per renderla dolce e gradevole.

 

Diamo così avvio a maggiore consapevolezza, presa di coscienza, amministrazione delle emozioni, superamento dei possibili rimpianti-rimorsi/recriminazioni: “Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira” (Efesini 4:31-32); conoscenza delle proprie fragilità e debolezze, riconoscimento dei limiti e degli errori, come le parziali rimozioni o le dannose proiezioni (transfert o traslazione); attiviamo una forma di distacco col mondo sensibile, un processo d’individuazione che comincia con il Sé distinguendosi dagli oggetti, dagli altri e dall’Io.
Distanziamento personale e distanza sociale, come nella musica quella pausa necessaria: “C’è bisogno di interrompere, di distaccare per legare” ci dice l’eclettico e poliedrico Stefano Bollani (Dal programma televisivo Guarda… stupisci, Rai 2, 2018).

Lo yogi che, signore della sua mente, si dedica costantemente alla meditazione sul Sé (Ātman, anima, indica anche l’essenza e il soffio vitale), attinge alla Pace perpetua (Nirvāna, letteralmente spegnimento, estinzione, ma anche “realtà ultima e liberazione”), che è la Suprema Beatitudine che è in Me” in Bhagavad Gītā, VI:15, in questo sesto capitolo di 47 versi dedicato esclusivamente alla meditazione.
Poi Krishna ammette:È molto difficile dominare la mente perché instabile… solo chi rafforza la propria volontà per mezzo di esercizi e disciplina, può essere signore del proprio cuore, signore della propria mente” VI:35.
Poiché la conoscenza è superiore alla pratica; la meditazione è superiore alla conoscenza; superiore alla meditazione è rinunciare ai frutti delle proprie azioni. Dalla rinuncia segue la pace di spirito (shanti)” XII:12.
Analoghe considerazioni le troviamo in Dhammapada, La Mente – Chittavagga, capitolo III e L’Ego – Attavagga capitolo XII. E Il Libro Tibetano dei morti afferma: “La mente non ha autocontrollo, è debole e confusa” (Ubaldini Editore, Roma, 1977, p. 66).

La mente quindi va curata, allenata, alleggerita, non può essere considerata come un baule pieno di anticaglie, né un sacco forato dove niente rimane di quello che si è raccolto.
Il ‘contenitore’ dev’essere sgombro da strame, non può accumulare residui e resti, scarti che rimangono e non vengono smaltiti: la mente non è e non deve essere una pattumiera!
A uno stadio più evoluto della pratica si può anche capire la “portata del distacco”, la separazione fra spirito e materia (kaivalya), si possono calcolare quindi peso e misura, tempo di realizzazione e valutazione della direzione intrapresa, traguardi raggiunti.
La liberazione o libertà non è il risultato di una linea di condotta, mentale o fisica o morale; secondo il Vedanta viene solo in virtù della Conoscenza, nel senso speciale di Jñāna, quale frutto della ‘meditazione’, che è essere piuttosto che fare” (Alan W. Watts, Il Significato della Felicità, Ubaldini, Roma, 1975, p. 136).

“Il respiro è il ponte che connette la vita alla coscienza, che unisce il corpo ai pensieri.”

È il grande risveglio o riscatto della coscienza attraverso il mezzo imprescindibile della meditazione (dal latino meditatio, riflessione), del discernimento (viveka), del “raccoglimento interiore” (bhavāna): “Così come l’acqua assume il formato che la contiene, la mente acquisisce la forma dell’oggetto che contempla” (B.K.S. Iyengar, Luz sobre o Yoga, Editora Pensamento, São Paulo, 2016, p. 55).
La concentrazione è alla base di ogni attività meditativa, i Padri del Deserto già ammonivano: “Abba Poimen disse ‘il principio dei mali è la distrazione” (Detti editi e inediti, Ed. Qiqajon, Magnano-BI, 2014, p. 102).
L’attenzione è dunque rivolta e aziona pensiero – immaginazione – emozione coinvolgendo anche il desiderio.

È meglio iniziare la meditazione in solitario e in silenzio per non più di 15-20 minuti al giorno:Brevi ma con gran profitto anziché lunghe e senza risoluzioni”, (Ivi, p. 97) come ci consiglia santa Teresa d’Avila.
Invece, sant’Alfonso M. de Liguori, personalità di spicco nella storia religiosa del Settecento, ci indica il cammino della perfezione (pratica ascetica) anche con ”due ore, o almeno una, di meditazione al giorno e non lasciarla mai, senza una vera necessità, anche se avvertiamo sensi di noia, aridità o altro” (Pratica di amar Gesù Cristo, Città Nuova, Roma, 2004, p. 188).
A mio modesto parere è bene non forzare, né turbarsi se non si raggiunge l’obiettivo prefisso, evitando le ore notturne. Corsi e stage, a mio avviso, possono portare soltanto ad altri ormeggi a volte anche non desiderati o pianificati, per di più esposti al pericoloso vento di traversia che, in senso figurato, sono gli insegnamenti principalmente dati on demand attraverso le piattaforme informatiche da stuole di sobillatori.
Bisogna prepararsi dunque a una navigazione in solitario e d’altura, avendo fatto un’oculata pianificazione della rotta da seguire o retta intenzione, consultando preventivamente le carte nautiche (dove stiamo e dove vogliamo andare?), con l’ausilio di tutte le risorse a nostra disposizione, in base e a norma delle condizioni meteorologiche (leggi: eventi o fattori esterni) e alle sue (im)prevedibili evoluzioni!

Come praticare la presenza mentale?” quel processo di consapevolezza del presente – si chiede il monaco buddista vietnamita Thích Nhất Hạnh che è riuscito nella fusione delle tradizioni Theravada e Mahayana – “Concentratevi su quello che state facendo, siate vigili e pronti a gestire ogni possibile situazione con abilità e intelligenza” e, aggiunge, per ottenere buoni risultati servono calma e autocontrollo, osservare e riconoscere, prendere atto delle sensazioni e delle percezioni. Poi continua: “È il miracolo che richiama la mente dispersa e la ricompone, consentendoci di vivere ogni attimo della nostra vitaÈ importante saper respirare”. Efficace per prevenire la dispersione e la distrazione, “il respiro è il ponte che connette la vita alla coscienza, che unisce il corpo ai pensieri. Ogni volta che la mente si perde, il respiro è il mezzo che vi consente di riportarla indietro” (Il Miracolo della presenza mentale – Un manuale di meditazione –, Ubaldini Editore, Roma, 2020, pp.21-2).

“Pratica il tuo kata fino a farlo iniziare dal tanden. Quando divieni il kata, hai conquistato il segreto.”

In Yogasūtra 1,2: “Lo Yoga è lo spegnimento nirodha dell’attività mentale, del turbinio vritti della coscienza citta” (Patañjali, Bur Rizzoli, Milano, 2014, p. 27).
Per questo motivo, quando il sensei chiama il mokusō, spesso i principianti si trovano impreparati a questo momento inconsueto (non esiste nelle nostre attività quotidiane, perché non è stato tramandato o insegnato), invece è e risulta prioritario nel Karate, nel suo valore e spessore semantico: ‘mani nude’ e ‘mente vuota’ che non vuol dire ‘spenta’… Irriducibile e imparagonabile infatti a semplice sport o attività ricreativa in palestra con specchi e musichette, cellulari che squillano e distrazioni come guardare l’orologio alla parete – Shihan Toshio Yamada (direttore tecnico JKA-Italia, Roma, anni Novanta) mandava a casa l’allievo se solo il suo sguardo, curioso o dispersivo, per un attimo si indirizzava a una porta che si apriva o a una persona che entrava nel dōjō! –. 

Uno dei famosi allievi di bushi Matsumura fu Kyan Chotoku che ci offre in pratica quello che porta il mokusō poi nell’attività del karate: “Sviluppa il tuo tanden (nota: i tre centri vitali, in cinese Dāntián, nello Yoga Bandha). Concentra in esso la tua mente e dirigi da qui le tue azioni. Pratica il tuo kata fino a farlo iniziare dal tanden. Quando divieni il kata, hai conquistato il segreto” (citato in Guerrieri senza Armi di Richard Kim, Ed. Mediterranee, Roma, 1974, p. 66). Poi, più avanti continua con una perla di saggezza: “Praticare il kata serve ad affinare la mente. È meglio curare la mente che rischiare di perderla. Capisci?” (Ibidem, p. 111).
Il Karate – come ci ricorda il M° Gichin Funakoshi – è nato per prevenire il declino dello spirito e l’atrofia della forza fisica […] Adatto a tutti, indipendentemente dall’età, dal sesso, o dalla condizione fisica” (Il Sogno del Karate, Ed. Mediterranee, Roma, 2017, pp. 88 e 93).
Perciò: coltivare le risorse nella pienezza spirituale e le infinite possibilità del libero pensiero, il senso critico-creativo che crea (anche attraverso l’intuizione, la propria autonomia e indipendenza), rafforzare e sviluppare ogni giorno di più la triade memoria-discernimento-volontà, la concentrazione e la consapevolezza, ricordando che la meditazione non è evasione bensì sereno incontro con la realtà (Ivi, Thích Nhất Hạnh, p. 54); creando i presupposti di uno stato d’animo di tranquillità interiore, pace profonda e gioia di vivere ogni istante nel nostro pentagramma della Vita: producendo nuove energie, in una prospettiva più ampia con orizzonti chiari e precisi che rafforzano l’amore dentro di noi e con chi ci circonda… dunque, tenere accesa e con fermezza la fiaccola per andare avanti: il mokusō!

Parte 1
Parte 2

Ti potrebbe interessare anche:

Articoli recenti

I più letti

Top Autori