I kata, sono un patrimonio inestimabile e raro di cultura, tecnica e filosofia, la loro bellezza sta proprio nell’essere stati codificati e tramandati per la conservazione e la prosecuzione dell’arte del karate.
di Ilio Semino
Oggi il termine “Bellezza” è sostanzialmente riferito a qualcosa di materiale, di apparente. Negli ultimi decenni il termine ha perso la sua accezione più profonda, quella riferita all’arte, all’emozione, a qualche cosa di sublime, che colpisce il cuore più che la vista.
La Bellezza, intesa come ai tempi dell’antica Grecia o durante il periodo dello splendore rinascimentale italiano, ha lasciato il posto all’avvenenza spregiudicata e spesso inopportuna delle veline, alle forme accattivanti e aggressive delle vetture fuoriserie, al look e alle infinite “app” degli smartphone, all’eccentricità esasperata di una certa moda. A una materialità spesso artefatta: volti e sederi corretti dal bisturi, immagini improponibili, indumenti di poco valore esaltati nel prezzo e nella richiesta dalla “griffe” del momento: è bellissimo! E dopo qualche mese: inguardabile…
La Bellezza deve essere immateriale, disarmante, eterea ed eterna.
La Storia della Bellezza di Umberto Eco è un libro impegnativo e a tratti lento, ma è allo stesso tempo illuminante, se chi lo legge cerca qualche cosa su cui riflettere, in nome della Bellezza e delle sue artefatte interpretazioni.
La Bellezza deve essere immateriale, disarmante, eterea ed eterna: deve catturare l’anima. Deve essere assoluta.
La sindrome di Stendhal, spesso manifestatasi in soggetti al cospetto di opere d’arte, in luoghi dove la Bellezza è di casa, è una sintomatica, onestamente un po’ esagerata, dimostrazione di quello che la vera bellezza dovrebbe suscitare in un soggetto: un’affezione psicosomatica, manifestata in confusione, vertigini, spesso allucinazioni, tachicardia e incapacità di allontanarsi dalla fonte di queste emozioni. A Marie Henry Beyle, scrittore francese che usava lo pseudonimo Stendhal, è attribuita la scoperta di questa patologia, dalla quale lui stesso fu colpito in occasione di una visita dalla Chiesa di Santa Croce a Firenze da dove uscì raccontando di essere “… giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti e i sentimenti appassionati. Uscendo ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere… ”.
Cosa ha a che fare tutto questo con i Kata? Forse nulla, o forse molto e perdonate il paragone “irriverente”.
Anche i Kata hanno subito diverse alternanze di apprezzamento, non soltanto relativo agli esercizi, che di volta in volta diventavano “di moda” nelle competizioni, ma soprattutto nella ricerca di farli apparire più “belli” al fine di ottenere maggiori consensi arbitrali.
Il praticante agonista solitamente non vede il kata come un esempio di Bellezza artistica marziale dai contenuti nascosti, che vanno scoperti mano a mano che lo stesso diventa patrimonio gestuale e culturale dell’interprete, connubio di eleganza ed efficacia, dimostrazione del controllo del corpo e dei movimenti, plasticità e potenza, agilità e fermezza. Meditazione e respiro vitale.
Egli lo vede invece come un esercizio motorio composito, finalizzato a dimostrare di essere colui che lo fa “meglio”, che lo rende più bello anche, eventualmente, modificandone tecniche e contenuti. Chi non ha sentito affermare almeno una volta che certi kata non si studiano o non si fanno perché sono “brutti” (!).
Anche i Kata hanno subito diverse alternanze di apprezzamento.
Lo studioso di Karatedo sa invece che i kata, tutti i kata, sono un patrimonio inestimabile e raro di cultura, tecnica e filosofia, che la loro bellezza sta proprio nell’essere stati codificati e tramandati per la conservazione e la prosecuzione dell’arte del karate, che con lo studio e la ricerca costante e “colta” si scopre la loro vera “Bellezza”, raramente accessibile al praticante superficiale e mai determinata dai canoni della preferenza o del gusto personale.
Ogni kata possiede la sua Bellezza, bisogna essere in grado di individuarla, comprenderla e farne tesoro. La Bellezza non può essere oggetto di confronto, la bellezza è un’emozione e le emozioni non si possono classificare come “prima e ultima”, decidere quale vince e quale perde.
Sono convinto che tutti coloro che si appassioneranno a questa ricerca e avranno la fortuna di comprenderla, potranno un giorno essere affascinati veramente dal segreto dei kata e dalla loro… Grande Bellezza!
“… è tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore, il silenzio e la paura. Sparuti e incostanti sprazzi di Bellezza e poi lo squallore disgraziato dell’uomo miserabile…” [Jep Gambardella (Tony Servillo) in “La Grande Bellezza”, film Premio Oscar].