Il modo in cui l’esperto di Kojoryu lotta, reagisce alle azioni dell’avversario, realizza il proprio attacco, è frutto di un mix di elementi tecnici provenienti da altri sistemi.
Come abbiamo avuto modo di leggere negli articoli precedenti, il Kojoryu è uno stile di Karate okinawense che, in uno sviluppo avvenuto in ben sette generazioni di esperti, è stato influenzato da svariati metodi di combattimento e in particolar modo dal Quanfa.
Il modo in cui l’esperto di Kojoryu lotta, si muove, reagisce alle azioni dell’avversario, realizza rapidamente il proprio attacco, è tutto frutto di un mix di elementi tecnici provenienti da altri sistemi e sapientemente fusi tra loro dai capiscuola di famiglia che lo hanno preceduto, che sovente potrebbero far apparire questo stile come se fosse un metodo a sé e non facente parte della pletora di stili esistenti a Okinawa, ancor meno di quei pochi oggi maggiormente diffusi anche nel resto del mondo. Proprio questa mancata conoscenza della sua quintessenza, così come la chiama il mio insegnante Hayashi Sensei, lo rende lo stile fantasma.
Tutte le tecniche del repertorio del Kojoryu, pur essendo già per loro natura estremamente lesive, devono diventare potenti.
A seguire analizziamo brevemente un concetto cardine del “modo di muoversi” dell’esperto di Kojoryu, ossia come lo stesso deve cercare di rendere efficaci, potenti, le proprie tecniche, che si parli di atemi-jutsu o tecniche di lotta propriamente detta.
Tutte le tecniche del repertorio del Kojoryu, pur essendo già per loro natura estremamente lesive, devono diventare potenti realizzando ciò che in okinawense viene detto Atifa, ossia (semplicisticamente) il trasferimento dell’energia sull’avversario. A tale scopo le tecniche vengono eseguite con applicazione della spinta dell’anca che generalmente nel Karate di Okinawa viene detta Gamaku, la quale, attraverso una torsione, genera ulteriore energia.
Due proverbi okinawensi recitano “Uno straccio bagnato è morbido, ma può sferzare come una frusta se lanciato all’improvviso” e “Le onde hanno un potere duro nascosto da un movimento morbido, questo è muchimi”. Un precetto tramandato all’interno del Bubishi del clan Kojo dice “Il corpo deve flettersi come quello di un drago, bisogna muoversi come se si stesse scatenando un tornado”.
Muchimi è riconducibile al concetto tipico del karate di Okinawa di “tecnica appiccicosa, pesante”, ma anche all’idea del “colpo a frusta”. Il muchimi viene utilizzato nella lotta corpo a corpo per non perdere il contatto con l’avversario, riuscendo ugualmente a generare potenza nelle tecniche nonostante lo scarso spazio a disposizione.
Si hanno quindi due significati di muchimi che si intrecciano e indicano l’obiettivo unico di riuscire a combattere generando potenza in qualsiasi situazione, da ciò ne deriva che il gamaku non viene espresso esclusivamente in seno alla rotazione orizzontale delle anche, ma anche in senso verticale come nel caso delle tecniche del Naifanchi kata.
In raltà, gamaku e muchimi non sono termini di uso comune in ambito al Kojoryu, ritenuti tipici okinawensi e più contemporanei, ma i loro concetti sono ugualmente presenti.
Muchimi è riconducibile al concetto tipico del karate di Okinawa di “tecnica appiccicosa, pesante”.
Il metodo di esprimere muchimi ed eseguire gamaku nel Kojoryu potrebbe essere identificato come “corpo onda”, precisamente shinaru 撓る (da shiwaru) letteralmente “rendersi flessibile”. Questo modo di sferrare i colpi è presente nel Luohan Quan che allena l’energia vibrazionale, detta in cinese fa-jin, ma potrebbe ricollegarsi in maniera specifica anche al metodo della Box della Gru Bianca. L’energia che chiamiamo ki si trasforma in potenza marziale e deriva dall’imitazione della gru che agita energicamente le ali per scuotersi via l’acqua di dosso o per difendersi. Le tecniche vengono rese potenti dal fa-jin, dove questa energia sviluppata dalla spinta dell’anca si trasmette sugli arti, in particolar modo le braccia, e rende i colpi inferti molto penetranti e lesivi.
Padroneggiare lo shinaru è cosa molto difficile, nel senso che il praticante vi deve dedicare tanto tempo in allenamento, esso viene sviluppato con pazienza e perseveranza, praticando gli esercizi di kikou (qigong) tipici del metodo e il kata Fukien Sanchin, che deriva dal vecchio Shinzanryu (antico nome del metodo di combattimento della famiglia Kojo).
Fonti
- Intervista a Takaya Yabiku Sensei, a cura dell’autore, 2014/15.
- Intervista a Shingo Hayashi Sensei, a cura dell’autore, 2016/17.
- A. Bonanno, Kojoryu Karate – Introduzione allo stile fantasma di Okinawa, Ed. Mondadori/Collana Passione Scrittore, 2020.