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Naginata: storia e pratica del falcione dei samurai

Foto di Antonio Caradonna

Il naginata (なぎなた-薙刀) è un’arma inastata giapponese costituita da una lunga lama ricurva monofilare, simile al “falcione” del medioevo europeo.

Lo studio del battojutsu stile Sekiguchi Ryu nell’ambito dell’organizzazione che ho l’onore di dirigere è arricchito dalla pratica collaterale di alcune armi della tradizione samurai. In particolare in questo articolo intendo focalizzare l’attenzione sul “naginata” presentandone la storia e la pratica, e approfondendo quanto introdotto in linea generale nel mio precedente articolo Le armi inastate della Sekiguchi Ryu.

L’arte marziale classica (naginatajutsu), che ne insegna l’uso, fa parte del bagaglio tecnico classico del guerriero (bujutsu).

Il naginata (なぎなた薙刀) è un’arma inastata giapponese costituita da una lunga lama ricurva monofilare, più larga verso l’estremità, inserita per mezzo di un lungo codolo in un’impugnatura di lunghezza variabile, generalmente più breve di quella della lancia (yari). Il naginata, per morfologia e utilizzo, è simile al “falcione” del medioevo europeo.

L’arte marziale classica (naginatajutsu), che ne insegna l’uso, fa parte del bagaglio tecnico classico del guerriero (bujutsu). Nel budō moderno esiste uno stile indipendente che ne tramanda una forma stilizzata analoga alla scherma kendō ed è denominato Atarashii Naginata (letteralmente il “nuovo naginata”).

Storia
Durante la Guerra Genpei (1180-1185), tra il Clan Taira e il Clan Minamoto guidato da Minamoto no Yoritomo, il naginata si distinse per la sua efficacia sui campi di battaglia. L’impiego maggiore di forze di cavalleria fece propendere la fanteria verso l’utilizzo di un’arma inastata in grado sia di colpire il guerriero in sella, sia di arrestare la carica del cavallo. Non a caso, proprio in questo periodo l’armatura del bushi si arricchì degli schinieri (sune-ate) per difendersi dai colpi portati dal basso verso il ventre del cavallo.
Nel corso del XVII secolo, a causa della massiccia diffusione dell’archibugio (tanegashima-teppō), il naginata divenne desueto in battaglia. Durante l’Era Tokugawa, infatti, esso divenne un’arma da duello, nonché parte dell’equipaggiamento dei bushi (guerrieri) addetti alla difesa delle fortezze o degli edifici privati.

Proprio il riutilizzo del naginata in ambiente domestico portò al cambio dell’utenza di questa arma. L’uso attivo del naginata passò dai guerrieri alle loro donne, ovvero alle reali amministratrici della casa. Questo “falcione” permetteva infatti di tenere l’avversario a una distanza tale da annullare, almeno parzialmente, la disparità dovuta alle naturali differenze di peso, altezza e forza.
La nuova impostazione “educativa” delle arti marziali giapponesi, dopo la Restaurazione Meiji, fece sì che il maneggio del naginata divenisse, intorno al 1912, un’attività scolastica per le giovani donne giapponesi. A partire dal 1950, lo studio tradizionale venne poi commutato nell’Atarashii Naginata.
Tuttavia, alcune scuole classiche di naginatajutsu sopravvissero. Tra le più importanti ricordiamo: Araki Ryu, Tendo Ryu, Jikishinkage Ryu, Higo Koryu, Tenshin Shoden Katori Shinto Ryu, Toda-ha Buko Ryu e Yoshin Ryu. Nella nostra organizzazione, dedita allo studio della Sekiguchi Ryu, si praticano diverse tecniche tradizionali di naginata, risultato dell’opera di rivivificazione promossa dal maestro Toshiyasu Yamada, appartenenti alla linea Tokushima della scuola.

Fabbricazione
Il naginata, come molte altre armi, era spesso costruito su misura per colui che lo doveva brandire. L’impugnatura era solitamente alta quanto l’utilizzatore (in media 150 cm, ma alcuni naginata superavano i due metri) e a sezione ellissoidale, al fine di facilitare l’orientamento della lama. La lama misurava 2 o 3 shaku (60–90 cm circa) ed era ricurva al vertice.
Come quella della katana, la lama del naginata era composta da acciaio forgiato con differenti gradi di durezza tra il dorso e il filo, in modo da coniugare capacità di taglio e resistenza all’urto. Spesso le lame di naginata erano lame di katana riciclate. Per controbilanciare il peso della parte tagliente, il naginata montava, all’estremità opposta dell’asta, un calzuolo metallico, lo ishizuki.
Si distinguono tre varianti del naginata:

  • Kozori a lama molto ricurva;
  • Hirumaki con guardia a protezione della mano avanzata (tsuba) e lama di katana;
  • Bisentō a lama corta e spessa.

Come quella della katana, la lama del naginata era composta da acciaio forgiato con differenti gradi di durezza tra il dorso e il filo.

Pratica
L’arte del combattimento con il falcione, il naginata-jutsu, richiedeva una grande resistenza fisica per far oscillare la pesante arma lungo curve precise e intercambiabili, sfruttando al massimo la lama, l’asta e la ghiera di ferro sul calcio. La tecnica di far roteare rapidamente l’arma, unita a una distanza notevolmente maggiore dallo spadaccino avversario, dava al guerriero armato di naginata un concreto vantaggio. Poiché il falcione è essenzialmente una lancia a fendente che utilizza linee di attacco aperte (quelle al di fuori dell’ampiezza del corpo), i contrattacchi possono essere effettuati efficacemente solo quando inizia il turbine del movimento.
In altre parole, lo spadaccino deve colmare la distanza precipitandosi nell’attacco. Il problema nel combattimento contro il naginata non è dunque tanto rappresentato dalle tecniche impiegate, per quanto importanti, ma dall’estremo ma-ai, o intervallo, che costringe lo spadaccino a combattere a una distanza quasi doppia rispetto al normale. Se il naginata viene maneggiato a una velocità pari a quella normale di una tecnica di spada, lo spadaccino deve muoversi a una velocità quasi doppia per chiudere la distanza e tagliare efficacemente. Pertanto, l’allenamento contro un esperto di naginata può essere molto duro e impegnativo. Lo spadaccino deve saper scegliere il momento esatto per attaccare; deve essere sempre all’erta e pronto a colpire. Al contrario, il naginata può essere usato per creare la possibilità di una contromossa devastante contro un avversario troppo impaziente.

 

BIBLIOGRAFIA
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