Gichin Funakoshi era fortemente contrario a incasellare il Karate che insegnava sotto l’etichetta di un nome e di uno stile.
In accordo con quanto scritto sul sito ufficiale della 日本空手道松濤會 / Nihon Karate-Dō Shōtōkai, nel 1930 Gichin Funakoshi fondò la 大日本空手道研究会 / Dai-Nihon Karate-Dō Kenkyūkai (letteralmente “Associazione giapponese di studio/ricerca sul Karate-Dō”) per promuovere la comunicazione e lo scambio di informazioni tra le persone che studiano il Karate-Dō.
Nel 1936 l’associazione cambiò nome in 大日本空手道松濤會 / Dai-Nippon Karate-Dō Shōtōkai, in onore del suo presidente: Gichin Funakoshi (alias Shōtō).
Fino a quel momento Funakoshi aveva già pubblicato tre libri (Ryūkyū Kenpō: Karate – 1922, Rentan Goshin Karate Jutsu – 1925, Karate-Dō Kyōhan – 1935) e in nessuno dei tre si era riferito al Karate ivi presentato usando il nome di uno stile.
Il Karate è come l’acqua calda: occorre scaldarla costantemente o si raffredda
Sempre nel 1936, a Okinawa questa volta, un gruppo di maestri di Karate si riunì per discutere su come “Unificare il nome 空手/Karate e formare un’associazione di promozione”. Durante il dibattito, il maestro Miyagi Chōjun propone un passaggio interessante:
“Vi è un’opinione diffusa che sostiene l’esistenza di due 流/Ryū [ossia, stili NdA] nel Karate, cioè Shorin-ryū e Shorei-ryū. Penso che questa opinione sia sbagliata o poco attendibile, poiché non c’è alcuna prova a supporto. Tuttavia, se anche vi fossero due stili di Karate, potremmo classificarli solo in base ai loro metodi di insegnamento [sottintendendo perciò che il contenuto applicativo non cambia in realtà NdA]”.
L’intervento del maestro continua, chiarificando che per “metodi di insegnamento” intende l’insieme dei kata che formano (per l’appunto) il sistema stilistico.
Tutto questo per dire che ancora nel 1936 il concetto di stile Shōtōkan o Shōtōkai, per come lo intendiamo oggi, in realtà non esisteva. È solo a partire dal 1938, sotto la forte sfera di influenza del 大日本武徳会 / Dai-Nippon Butoku Kai (“Società delle virtù marziali del grande Giappone”), che lo stile Shōtōkan-ryū (assieme ad altri) fu ufficialmente registrato. Questo fatto avvenne contemporaneamente all’assegnazione di titoli onorifici (concessi dal DNBK) nei confronti dei singoli caposcuola, in seguito riconosciuti come fondatori dei relativi stili di Karate.
Funakoshi era fortemente contrario a incasellare il Karate che insegnava sotto l’etichetta di un nome e di uno stile, ma seguendo la sua indole taoista scelse la via di minor resistenza e lasciò che i propri allievi usassero il termine Shōtōkan-ryū per riferirsi al Karate loro insegnato all’interno dello Shōtōkan (l’edificio fisico, il dōjō).
Tornando al nocciolo del discorso, risulta perciò sbagliato usare il termine Shōtōkai per indicare uno stile: lo Shōtōkai, nell’idea originale di Funakoshi, era un’associazione all’interno della quale far crescere e diffondere il Karate-Dō, mettere in comunicazione i diversi praticanti, ed era di certo molto più vicina al concetto di contaminazione e di confronto rispetto a quello di stile e di dogma.
I grandi maestri che hanno dato un contributo allo Shōtōkai (Gigō Funakoshi, Shigeru Egami, Ōshima Tsutomu, Hiroyuki Aoki, Harada Mitsusuke, Tetsuji Murakami, solo per citare i più famosi) lo hanno fatto, nel bene e nel male, proprio in quest’ottica. Dal punto di vista tecnico hanno dato la loro interpretazione dello Shōtōkan-ryū. Perciò, se proprio si vuole utilizzare il termine Shōtōkai per indicare uno stile, bisognerebbe specificare a quale Shōtōkai ci si riferisce: usando la terminologia nipponica, sarebbe corretto parlare di “scuola” (流派 / ryūha) o “branca” (派 / ha). Ad esempio Egami-ha (ossia lo Shōtōkan-ryū interpretato da Shigeru Egami).
Alcuni pensano che lo Shōtōkai non abbia più una identità. Non sono d’accordo, dal punto di vista valoriale e storico lo Shōtōkai affonda fortissime radici nell’operato di Gichin Funakoshi, che a 54 anni decise di lasciare Okinawa, moglie e figli per trasferirsi in Giappone e iniziare la sua opera di divulgazione del Karate.
All’inizio fece la fame, fece lavori umili all’interno di un dormitorio per studenti e, nonostante queste difficoltà, pubblicò il primo vero libro di Karate in assoluto. Chi tra noi farebbe lo stesso? Ma lo Shōtōkai non è solo Funakoshi, è anche il suo terzogenito Gigō e il suo amico Egami: insieme hanno cercato, sperimentato e indagato. Si potrebbe parlare di tutto il lavoro di ricerca condotto da Aoki assieme ai suoi colleghi del Rakutenkai, si potrebbe raccontare del carisma e della durezza degli allenamenti di Murakami, o di come Ōshima sia uno dei pochissimi che abbia mantenuto viva parte del curriculum tecnico di Funakoshi ormai scomparso da (quasi) tutte le altre scuole Shōtōkai.
L’arte del Karate va mantenuta viva apportando sempre nuova linfa, nuove idee e nuove energie, pena la stagnazione
È normale che lo Shōtōkai non abbia un’unica identità tecnica definita, poiché essa appartiene solo al singolo maestro. Vi sono pilastri che ci mantengono ben saldi alla tradizione (il sistema stilistico di 15 kata a mani vuote, il sistema stilistico di bō-jutsu formato da 4 kata di cui uno codificato da Gigō Funakoshi, la centralità del kata come insostituibile libro di testo, il principio cardine di non mantenere contrazioni muscolari non necessarie), fissati i quali ogni praticante Shōtōkai, col tempo, potrà dedicarsi e crescere (marzialmente parlando) senza paura lungo la direzione più naturale per lui.
“Il Karate è come l’acqua calda: occorre scaldarla costantemente o si raffredda” – Gichin Funakoshi
Questa frase viene sempre spiegata come la necessità di praticare in maniera continuativa e diligente, senza adagiarsi sui risultati ottenuti.
E se invece il soggetto non fosse la pratica di ognuno di noi, bensì l’arte del Karate in sé?
Credo fermamente che il vero messaggio che Funakoshi volesse trasmettere sia il seguente:
“L’arte del Karate va mantenuta viva apportando sempre nuova linfa, nuove idee e nuove energie, pena la stagnazione“.
Se dovessi definire lo Shōtōkai con un concetto, credo che non ce ne sarebbe uno migliore.