Le donne devono iniziare a pensare che possono difendersi, che hanno la capacità di difendersi.
“Se ne sono accorti gli esperti di sanità pubblica: ci sono rischi che tendiamo a sottovalutare e che invece hanno gravi conseguenze per la salute. Viceversa tendiamo a sopravvalutare rischi di piccola entità. Gli esperti di comunicazione del rischio sono alla ricerca di una soluzione basata sull’informazione.”
“L’assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1999 ha istituito nel 25 novembre la celebrazione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne considerata una violazione dei diritti umani”.
“[…]Per violenza nei confronti delle donne si intende designare una violazione di diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la percezione, la privazione arbitrale della libertà, sia nella vita pubblica sia nella vita privata, intendendo per violenza di genere qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale o che colpisce le donne in modo sproporzionato.”
Riformulazione del proprio modo di viversi e vedere sé stessi come capacità, possibilità, risorsa e fattibilità.
La vittima di una violenza non può essere revocata a “una persona offesa dal reato”, ma deve essere considerata come un individuo patiens, sofferente, che in seguito all’offesa patita ha subito un cambiamento significativo della sua storia di vita.
“Il nostro corpo ricorda il passato, con la postura, le tensioni muscolari, i movimenti: se alla nostra storia appartengono informazioni di paura, tensione, se nessuno ci ha consolato e siamo stati lasciati soli o umiliati, il nostro corpo diventerà flaccido e tenderà a chiudersi in sé stesso. Se nei nostri confronti ci sono state pressioni continue a eccellere, a essere i migliori, se non contava ciò che eravamo, ma solo ciò che eravamo in grado di fare, allora la postura tenderà a essere eretta, rigida, con lo sguardo alto. Quando abbiamo imparato ad andare in macchina, abbiamo memorizzato una serie di sequenze che ci permettono oggi di guidare anche mentre stiamo parlando o ascoltando musica”. (Centro Yoga Belluno)
Se nel nostro database inseriamo “la valigia” necessaria per far sì che il nostro corpo reagisca a uno stimolo che ci risulta incongruo e/o irrispettoso al nostro confine intimo (quando si ha la sensazione di sentirsi a disagio), saremo in grado di apprendere e memorizzare nuovi atteggiamenti (aprirci alla possibilità di nuovi apprendimenti) e riusciamo a consolidare le nuove abitudini. Fondamentale in tale processo è la riformulazione del proprio modo di viversi e vedere sé stessi come capacità, possibilità, risorsa e fattibilità.
Per combattere la violenza contro le donne, dunque attrezzarsi con tale valigia, serve sapere a chi chiedere aiuto, ma anche a volte saper utilmente agire attraverso una tecnica di karate, solo dopo avere acquisito le giuste competenze, attraverso l’apprendimento procedurale che avviene dalla ripetizione di un comportamento e di un’azione adatta alla situazione in cui siamo coinvolti: in tal caso le abitudini procedurali e i meccanismi di coping vengono sviluppati per evitare qualcosa, consciamente o inconsciamente pericoloso.
Molto spesso, il punto di partenza che porta a dubitare delle nostre capacità è caratterizzato da un pensiero rigido che induce a commettere errori, perché intrinsecamente ingannevole. Le situazioni non sempre si ripetono nello stesso modo: cambiano i dettagli, cambia il contesto e cambiano anche le persone.
Cosa dovrei fare nel caso in cui subisco una invasione della mia sfera privata?
Il percorso di acquisizione delle tecniche tra un maestro di karate e un allievo – donna – che viene a sperimentarsi, non di rado si accompagna a un pensiero demotivante, “non sono capace”, “non sono in grado”, pensiero che necessita di essere de-costruito per creare un processo in cui è possibile attivare il passaggio/cambiamento verso un pensiero creativo: è fondamentale armare tanto il corpo quanto la mente (allenando questa abilità che va a contrastare la tendenza a ripararsi nelle etichette… “sono donna e non posso farcela”).
Tuttavia, questo non può prescindere dal fatto che le donne, in tal caso, devono iniziare a pensare che possono difendersi, che hanno la capacità di difendersi, acquisire quella consapevolezza che porta a capire che anche una situazione in cui un “uomo” che (conosciuto o sconosciuto) si avvicini nel nostro spazio personale (vitale) può essere pericoloso e qualora ci crea anche imbarazzo e/o disagio diventa nostro diritto, nel rispetto della giusta distanza, far sì che lo stesso si allontani (l’istinto non sbaglia mai!) anche con forza: comprendere che l’avvicinarsi di una persona nel proprio spazio fisico intimo significa oltrepassare il limite.
Qual è il limite oltre il quale si perde, insieme alla dignità, anche se stessi? Il superamento di un limite.
Il sangue, una frattura, una denuncia: quando diventano tangibili, gli effetti della violenza sono descritti come “campanelli d’allarme” che hanno contribuito alla loro presa di coscienza.
La domanda alla base diventa cosa dovrei fare nel caso in cui subisco una invasione della mia sfera privata? (Un soggetto che si avvicina al nostro confine corporeo senza il nostro consenso è già aggressione). Dando libero spazio alla domanda successiva: posso farlo? Posso usare il mio corpo per difendermi? E lasciando una perplessità: e se me ne andassi prima di venire toccata senza il mio permesso? E se… prima che qualcuno possa farmi del male?
Ecco, questa è l’idea invalidante: a tutt’oggi persistono radicate convinzioni (modelli socio-educativi e relazionali trasmessi tra generazioni) che vedono la donna subordinata all’uomo e come soggetto dipendente nel rapporto affettivo. Convinzioni che affidano alla donna la funzione di cura nelle relazioni, a discapito della reciprocità e della possibilità di fare richieste basate sui propri desideri e bisogni.
Crescere con un buon livello di autostima, un’immagine positiva di sé e la percezione di meritare amore e rispetto.
Bisogna imparare a capire e/o sentire che il nostro corpo può e deve aiutarci a proteggerci quando siamo e ci sentiamo in pericolo, innescando nella nostra memoria corporea (ma anche nella memoria culturale) che difenderci non è solo una possibilità, ma un atto necessario per salvarci dal pericolo.
Il lavoro da praticare per la difesa della donna, dunque, deve prevedere la ripetizione del gesto tecnico efficace al proprio schema corporeo integrato a un approccio sistemico psicologico e contestuale, il quale deve prevedere la gestione di una dimensione individuale correlata allo sviluppo del sé, alle risorse che, attivate in contesti relazionali positivi, permettono di crescere con un buon livello di autostima, un’immagine positiva di sé e la percezione di meritare amore e rispetto.
Gli strumenti fondamentali per un approccio teorico-pratico deve essere fondato oltre all’empatia e all’immediata e continua capacità di prestare attenzione intenzionale per i vissuti e i messaggi della persona coinvolta, alla capacità di attendere e superare i momenti di impasse comunicativa, allo stemperarsi dei sentimenti negativi e dall’assoluto autocontrollo verso la (propria) naturale tendenza a giudicarsi incapaci di poter reagire.