L’adolescenza è quel periodo dell’età evolutiva di passaggio tra la pubertà e l’età adulta, un periodo di grandi cambiamenti che nell’attività sportiva sconvolgono lo schema corporeo.
L’adolescenza è quel periodo dell’età evolutiva che segna il passaggio tra la pubertà e l’età adulta. È un periodo di grandi cambiamenti nel corpo, nella mente e nei rapporti sociali. Ci si avvicina alla maturazione fisica, sessuale e al completo sviluppo cognitivo.
Possiamo considerare l’adolescenza in un periodo che va dai 10 ai 18 anni, ma visto il dilatarsi dei tempi di inserimento nella vita sociale dei ragazzi, non è sbagliato considerare un allungamento di questo periodo fino ai 25 anni.
L’attività sportiva diventa anche una valvola di sfogo in cui l’adolescente porta il suo disagio interiore.
Uno tra i cambiamenti che caratterizzano l’adolescenza è quello del rapporto con i genitori, un rapporto di dipendenza che si trasforma in rapporto maturo. Durante questa fase della vita, infatti, si sente l’importanza delle amicizie e delle relazioni. Quando noi genitori o insegnanti ci relazioniamo con loro, dobbiamo considerare questi aspetti come facenti parte della loro vita.
I ragazzi vanno visti come figure più autonome, il genitore deve rimanere presente, ma non essere invadente e deve potersi adattare ai nuovi bisogni del figlio. Il genitore deve cambiare anche nel modo di comunicare, ci deve essere l’uso di un dialogo aperto, accogliente e non giudicante.
La ricerca di una stabilità sociale porta i ragazzi a trovare sostegno nel “gruppo dei pari”, cioè il gruppo in cui l’adolescente trova affinità, si rispecchia e impara. È fondamentale in questa età sentirsi parte di un gruppo, qui entrano in gioco nuove modalità, nuove dinamiche e nuove regole.
Fare parte di un gruppo consente di scoprire le proprie competenze sociali e abilità dello stare con gli altri. In questa fase, anche attraverso il confronto con il gruppo, i ragazzi e le ragazze sentono il bisogno di acquisire la propria identità.
Dopo questa premessa, necessaria per capire con che approccio dobbiamo relazionarci con un adolescente, analizziamo l’impatto che questi cambiamenti portano nell’attività sportiva.
Nell’attività sportiva questi cambiamenti, soprattutto quelli fisici, sconvolgono lo schema corporeo, ci si trova ad avere difficoltà a eseguire gli stessi schemi motori che prima avvenivano con facilità. Questo provoca disagio e incertezza, ma è proprio l’attività sportiva che consente di prendere coscienza della nuova identità corporea.
L’attività sportiva diventa anche una valvola di sfogo in cui l’adolescente porta il suo disagio interiore e questo si manifesta con modalità a volte opposte l’una dall’altra. Si può manifestare una chiusura, che si nota attraverso il silenzio o il mettersi da parte, oppure ci si può trovare di fronte a un’apertura totale con la perdita delle inibizioni nei confronti dell’autorità dell’insegnante. Può aumentare l’aggressività, fino ad arrivare ad atteggiamenti trasgressivi.
L’allenatore assume un ruolo attivo in questo nuovo rapporto con l’atleta adolescente, non ha il semplice compito di insegnare il gesto tecnico. Devono nascere un rapporto e un dialogo a doppio senso, in cui l’allenatore ascolta, consiglia, valorizza e apprezza l’adolescente e le sue manifestazioni emotive.
L’allenatore promuove anche l’importanza del gruppo: la presenza di altri adolescenti in allenamento aiuta nella ricerca del gruppo e nel fare sentire a tutti l’appartenenza al gruppo stesso.
Poniamoci come obiettivo lo sviluppo della maturità dell’atleta e della sua capacità di autovalutazione.
Una pratica sportiva impostata su queste premesse può portare l’adolescente ad acquisire le seguenti abilità:
- Imparare a lavorare in gruppo per raggiungere obiettivi comuni.
- Acquisire qualità da leader.
- Sviluppare autostima e tenuta mentale attraverso il confronto.
- Scoprire le proprie competenze e i propri limiti.
- Imparare a gestire le emozioni.
- Acquisire autonomia.
L’agonismo riveste un importante ruolo durante l’adolescenza, per cui vanno rispettati dei presupposti fondamentali per il corretto sviluppo psicofisico del ragazzo. È importante non fare sentire il peso del raggiungere il risultato, ma concentrarsi sull’importanza del processo dell’allenamento e della crescita.
Quando abbiamo a che fare con l’agonismo in età giovanile non dobbiamo trascurare l’aspetto fisico e psicologico, portiamo dei benefici solo se sappiamo mediare questi due aspetti. Nella progettazione del nostro metodo di insegnamento poniamoci come obiettivo lo sviluppo della maturità dell’atleta e della sua capacità di autovalutazione.
Conoscere i propri limiti e, quindi, essere capace di auto-valutarsi, consente di:
- Capire l’importanza di allenarsi e di porsi degli obiettivi realistici. Spesso, infatti, gli obiettivi non sono chiari, si pensa solo all’esito della gara o del campionato. Dobbiamo lavorare su obiettivi più tangibili e misurabili, dobbiamo conoscere i possibili rischi in gara e cercare attraverso l’allenamento di prevenirli o superarli.
- Consente di vivere un insuccesso come incentivo.
- Tenere indistinti successo e motivazione alla vittoria, cioè essere sempre motivati a vincere indipendentemente dal fatto che si raggiunga o no il successo. Non è sbagliato pensare a vincere, fa parte dello spirito agonistico, ma ci deve essere anche la consapevolezza di volere dare il massimo anche se poi non si raggiunge la vittoria.
- Relativizzare il successo e porre la prestazione in secondo piano.
Le gare sono importanti perché danno la possibilità di mettersi alla prova.
Le gare sono importanti perché danno la possibilità di mettersi alla prova. Tuttavia, un agonismo troppo spinto può portare a uno squilibrio fra i fattori salute, scuola e rapporti sociali. Il non riuscire a gestire questi tre importanti aspetti della vita, genera due emozioni fondamentali: ansia e aggressività.
Spesso questi stati d’animo non emergono attraverso le parole, per cui è importante per un insegnante osservare tutto quello che l’atleta esprime a livello non verbale.
Il consiglio più importante che mi sento di dare è di non dimenticare la centralità dell’atleta in tutto quello che facciamo come insegnanti. E soprattutto accettare ogni cambiamento senza giudicare, un ragazzo che si sente accettato sarà più disposto a mantenere un dialogo aperto con l’insegnante e a provare a correggersi. Viceversa, un ragazzo che non si sente più adeguato al nostro modo di comunicare e insegnare perderà interesse, arrivando ad abbandonare lo sport e l’agonismo.