Nelle Arti Marziali un Maestro si prende cura degli Allievi e gli Allievi si prendono cura del proprio Maestro e quello che rappresenta per loro.
Generalmente, associamo il concetto di “prendersi cura” con l’azione di curare un individuo affetto da una patologia e di riportarlo in una situazione di salute “normale”.
In aggiunta a questa limitazione, nella società attuale, abbiamo creato e perfezionato organizzazioni che si occupano istituzionalmente di “prendersi cura” degli individui che hanno necessità di aiuto. Aiuto inteso come bisogno di “cure”: mediche, economiche, psicologiche, relative a stati di abbandono/solitudine, legate all’invecchiamento, alla non autosufficienza e, non ultime, riferite alla crescita educativa e formativa.
Non avendo tempo e risorse, abbiamo delegato ad “altri” che, per missione o per tornaconto economico, si prendono cura di chi ha bisogno al nostro posto.
Premesso che tutti, prima o poi, avremo bisogno degli “altri”, riteniamo si debba ripensare il concetto di “prendersi cura” riportandolo al senso più generale del termine, estendendolo alla vita in generale (animale e vegetale) oltre che all’ambiente e alle idee.
Mammiferi sociali
Avere a cuore i nostri simili fa parte del nostro bagaglio genetico/evolutivo. I mammiferi, a cui noi apparteniamo, esprimono il senso di appartenenza alla loro specie attraverso le cure che riservano ai loro piccoli e alle interazioni sociali che instaurano tra di loro.
In generale, i mammiferi sono animali sociali che da sempre beneficiano di varie opportunità vivendo assieme: si difendono meglio dai predatori, trovano più facilmente un/a partner, si aiutano con la prole, accudiscono alle attività quotidiane, cercano cibo e riparo e altro ancora.
Questa organizzazione sociale è particolarmente sviluppata nei primati antropomorfi, probabilmente anche per il lungo tempo che necessitano sia la gestazione, sia lo sviluppo del neonato per raggiungere l’autosufficienza e la maturità fisica e psicologica (definita Neotenia).
Difficile dire con certezza se siamo animali sociali, perché i nostri piccoli hanno bisogno di un lungo periodo di cure, assistenza e apprendimento o se il nostro comportamento sociale abbia in qualche misura influito sulle modalità di sviluppo dei nostri piccoli.
Indipendentemente dalla motivazione, possiamo sostenere che la Neotenia, in particolare nella nostra specie, ha sviluppato in noi la capacità di continuare a essere curiosi anche da adulti, favorendo un senso di “mancanza” che ci spinge sempre a cercare e a fare nuove esperienze; esperienze che modificheranno in parte quello che apprendiamo dai nostri genitori, favorendo la nostra capacità di adattamento ai cambiamenti.
Siamo sempre più soli e abbiamo paura di “prenderci cura” degli altri.
Alle considerazioni sopra riportate, si deve aggiungere che nel concetto di “prendersi cura” si potrebbe includere, come motivazione primaria, la necessità della sopravvivenza e della continuazione della specie.
Se facciamo un salto indietro nel tempo, possiamo immaginare come potesse essere faticoso per un piccolo gruppo di “Hominini”, che doveva affrontare una quantità di difficoltà per noi impensabile, allevare e accudire i propri piccoli che avevano necessariamente bisogno di cibo, assistenza e cure assidue. Ma, visto che siamo qui ora, questa fatica era fondamentale per loro!
La domanda, in parte anticipata, è: “prendersi cura dei propri piccoli è da considerarsi solo sopravvivenza, intesa come continuazione della specie, oppure anche altro?”.
Riteniamo che la risposta sia che: “prendersi cura dei nostri simili sia insito nella nostra natura sociale”; la quale ha aiutato questo comportamento genetico/evolutivo selezionando neonati con caratteri che assecondavano il senso di accudimento (profumo, occhi grandi, capacità di rispondere agli stimoli e altro ancora).
Quindi, prendersi cura di chi ha bisogno (nella stessa famiglia, clan, tribù…) è un comportamento che ritroviamo insito sia nell’Homo Sapiens sia in altri Hominidi.
Studi antropologici recenti confermano che i Sapiens condividono con i Neanderthal non solo una parte del patrimonio genetico, ma anche molti dei comportamenti sociali, tra cui quelli oggetto di questo articolo.
Inoltre, fin dall’inizio della nostra storia evolutiva abbiamo conferma che ci prendevamo cura non solo dei nostri piccoli, ma anche degli adolescenti, degli anziani, dei feriti e di tutti quelli che rientravano nel concetto di “gruppo”, con una specifica suddivisione dei compiti tra uomini e donne. Tutti avevano una specifica utilità e tutti prestavano “cure” agli altri individui del gruppo.
Tale senso di condivisione d’intenti e di cura proseguiva anche dopo la morte, come testimoniano le molte sepolture trovate nei siti archeologici che confermano come i nostri lontani progenitori si prendessero cura dei loro simili anche dopo la morte.
Per completezza, si evidenzia che, considerate le grandi difficoltà che dovevano affrontare questi nostri lontani antenati, tale comportamento, seppur innato, restava tale fintanto che era funzionale alla sopravvivenza del gruppo, nel momento in cui non lo era più, probabilmente, le priorità cambiavano.
Ovviamente, quanto sopra descritto è avvenuto in un lungo periodo, mentre la nostra evoluzione genetica e culturale si definiva.
Prendersi cura è un segno di civiltà
Si riporta spesso questa frase, attribuita a Margaret Mead (Antropologa statunitense 1901-1978), secondo la quale l’inizio della civiltà per l’Uomo è da attribuirsi al momento in cui si è ritrovato uno scheletro con un femore spezzato e successivamente guarito. In quanto, una frattura di tale gravità necessitava di un lungo periodo di cure da parte di chi gli stava vicino, senza lasciarlo diventare pasto per i predatori.
Siamo convinti che si tratti di una leggenda, perché l’antropologa Mead poteva ben sapere che era praticamente impossibile sopravvivere a una frattura di tale entità e che, nonostante le cure che potevano essere assicurate dai propri simili (fin da prima di questo ipotetico ritrovamento), la morte era praticamente inevitabile.
Leggenda o verità siamo d’accordo con il concetto che “prendersi cura” di un nostro simile è un comportamento insito nella nostra natura che ha favorito il riconoscimento culturale/civile dei bisogni e dei diritti di un altro individuo, con evidenti lacune che ancora oggi aspettano di essere eliminate.
La cultura contemporanea
La società occidentale ha privilegiato lo sviluppo di una cultura consumistica e sempre più individuale che favorisce gli interessi personali a quelli collegiali; siamo alla continua ricerca di un “centro di gravità permanente” dove poter osservare gli avvenimenti con il necessario distacco per non esserne coinvolti. Un senso egoistico della vita rispetto a una sensibilità empatica collettiva.
È possibile che questo sviluppo del sé individuale, della consapevolezza dell’individuo e di altri concetti simili abbiano nel tempo preso il sopravvento rispetto al senso di appartenenza e di condivisione.
Anche gli ultimi avvenimenti hanno esasperato ulteriormente l’isolamento, il senso di solitudine e di preoccupazione per il futuro.
Siamo sempre più soli e abbiamo paura di “prenderci cura” degli altri.
Io gli Altri e il Noi collettivo
Solo quando siamo coinvolti direttamente in un evento, che riteniamo pericoloso, si risveglia in noi un senso di comunità e di preoccupazione che ci spinge a cercare aiuto in chi ci sta vicino o che condivide le nostre stesse angosce.
Come sempre, ci sono delle eccezioni, esempi mirabili di persone e organizzazioni che si preoccupano di prendersi cura degli altri fornendo aiuto a chi ha bisogno, senza chiedere nulla in cambio. Ma escluse queste eccezioni, siamo inguaribilmente egoisti e individuali.
Come possiamo risvegliare questo “prendersi cura” in noi sopito e che di tanto in tanto fa capolino nei nostri pensieri, senza che sia oscurato dalla paura che ci accompagna?
Sono tante le possibilità che ci possono aiutare a modificare questo nostro comportamento di chiusura. Una è quella di riprendere, o d’iniziare, a relazionarsi socialmente. Semplicemente ascoltare chi ha bisogno di condividere un problema, un evento emotivamente significativo o un accadimento, può essere un primo atto di prendersi cura di chi ci sta vicino.
Oppure, mettere il nostro tempo e le nostre competenze al servizio di una causa o di un’idea che vogliamo sostenere.
Prendersi cura di qualcuno, o di qualcosa, è una azione che ci definisce e indica la nostra capacità di trovare un senso nei nostri atti, che va oltre la nostra individualità e che la completa, creando continuità tra il senso dell’Io e gli Altri costituendo un Noi collettivo fondamentale per la nostra esistenza di comunità sociale.
Prendersi cura ci cambia, in meglio.
Prendersi cura nelle arti marziali
Nelle Arti Marziali esiste la figura del Maestro che dovrebbe prendersi cura dei propri allievi, guidandoli in un percorso di crescita fisica/psicologica che oltrepassa la semplice esperienza di pratica fine a se stessa.
Uso il condizionale, in quanto non è raro trovare Maestri che si fanno guidare esclusivamente dai propri interessi personali, anteponendo le proprie ambizioni e interessi al bene comune.
Un Maestro, per essere considerato tale, dovrebbe essere in grado di stabilire un legame con i propri allievi fondato sull’empatia reciproca, sulla capacità di ascoltare e percepire i segnali che invia inconsapevolmente l’allievo durante la pratica, che comprenda i suoi limiti e le sue difficoltà per aiutarlo a superarle attraverso la pratica e l’esempio. Spingerlo oltre i suoi limiti, nel pieno rispetto della sua unicità, per mettersi alla prova e avere consapevolezza delle sue potenzialità.
Insegnare o praticare un’Arte Marziale è “prendersi cura” dei propri allievi, dei propri compagni sia principianti sia esperti, giovani o anziani, del luogo dedicato alla pratica, dei valori su cui è fondata l’Arte Marziale specifica, delle nostre emozioni, del nostro corpo e della nostra mente.
Un Maestro si prende cura degli Allievi e gli Allievi si prendono cura del proprio Maestro e quello che rappresenta per loro.
Questo processo, inoltre, permette di sviluppare una speciale sensibilità verso il prossimo, sia all’interno del Dojo sia fuori di esso.
Prendersi cura è un atto di Amore
Prendersi cura di qualcuno, o di qualcosa, è mettersi al servizio di un bene comune che supera la nostra individualità e, nel rafforzarla, favorisce l’integrazione e la pluralità di cui abbiamo grande bisogno, ora più che mai.
Prendersi cura di noi stessi e dei nostri sogni,
prendersi cura di chi amiamo e di chi ha bisogno,
prendersi cura della fiducia che viene riposta in noi,
prendersi cura di una idea, anche se non è la nostra,
prendersi cura dell’ambiente in cui viviamo,
prendersi cura della diversità,
prendersi cura oltre le nostre convinzioni e le nostre aspettative,
prendersi cura ci cambia, in meglio.