Una ricerca iniziata tempo fa per imparare, capire, approfondire e applicare ciò che in realtà sono pietre fondanti dell’eredità tecnica, etica e filosofica del Maestro.
di Matteo Greghi
Il testo Denshō ha necessitato di diversi anni per venire alla luce in senso editoriale, questo perché, in realtà, non è affatto nato per diventare un libro. Lo stesso termine Denshō l’ho incontrato lungo la strada della ricerca sugli Shoto Niju Kun, i venti precetti del Maestro Gichin Funakoshi.
Una ricerca, appunto, che ho iniziato tempo fa per imparare, capire, approfondire e applicare ciò che in realtà sono pietre fondanti dell’eredità tecnica, etica e filosofica che il Maestro ci ha lasciato.
Nel corso del mio studio mi sono imbattuto in molte interpretazioni, alcune delle quali discordanti fra loro, così, con l’aiuto del Maestro Shuhei Matsuyama, ho tradotto nella maniera più fedele possibile i termini giapponesi contenuti nei precetti. In seguito, a differenza di ciò che spesso mi ero trovato a studiare precedentemente, non ho cercato di adattare la traduzione a “un qualcosa” che intendevo dimostrare, bensì ho lasciato il precetto così com’era, intatto e pulito, osservandolo però da diversi punti di vista: tecnico, inerente alla pratica del Karate, ma anche e soprattutto sotto il profilo educativo, morale e comportamentale.
La possibilità di dare voce a ciò che fino a poco tempo prima erano stati solo appunti, riflessioni, intuizioni.
Studiando, ragionando, prendendo appunti e fermando sulla carta pensieri e riflessioni, mi sono accorto che il materiale in mio possesso aumentava e prendeva poco a poco il “peso” di un testo vero e proprio e ciò è stato di stimolo per organizzarlo al meglio e correggerlo, dandogli una forma concreta e presentabile.
La fantasia di inviarlo per un’eventuale valutazione alla casa editrice Luni, è diventata in breve tempo una possibilità che ho preso in considerazione. La loro risposta positiva e la conseguente proposta di pubblicazione mi hanno lasciato in parte incredulo, ma anche estremamente soddisfatto, consapevole di avere la possibilità di dare voce a ciò che fino a poco tempo prima erano stati solo appunti, riflessioni, intuizioni.
A rendermi estremamente felice è il fatto che tutto l’intero processo di evoluzione del libro si sia svolto in maniera libera e naturale, mai forzata o finalizzata verso un obiettivo già predefinito, non mi sono mai seduto alla scrivania pensando di scrivere un testo per insegnare qualcosa. Io per primo ho avuto la necessità di capire di più e meglio, di analizzare e interiorizzare, di fare sì che un messaggio ormai lontano nel tempo potesse essere, prima di tutto per un mio miglioramento personale, ancora vivo, attuale e praticabile. L’aiuto del Maestro Matsuyama, che non finirò mai di ringraziare, è stato fondamentale, la disponibilità e l’impegno della Luni Editrice hanno fatto il resto, per far sì che il testo possa essere a disposizione di chi fosse interessato ad approfondire il tema degli Shoto Niju Kun.
A differenza dei cinque precetti più conosciuti, i Dojo Kun – spesso erroneamente attribuiti al Maestro Gichin Funakoshi, ma in realtà elaborati ben più anticamente dal Maestro okinawense Sakugawa (1733-1815) –, gli Shoto Niju Kun hanno un carattere più specifico nell’affrontare alcuni temi che il praticante di Karate-do dovrebbe sempre considerare parti fondanti nel proprio studio, compenetrati nella pratica tecnica e fisica, e non solo strumenti superficialmente culturali.
Sebbene alcuni di essi mantengano una concezione in apparenza circoscritta alla pratica e all’allenamento – si consideri ad esempio il primo precetto “Non dimenticare che il Karate-do inizia con il rispetto e finisce con il rispetto” oppure “Considera le mani e i piedi dell’uomo come spade“, o ancora “Variare in funzione dell’avversario” –, non è possibile pensare che vengano tralasciati concetti come il rispetto incondizionato, la prevenzione del possibile pericolo, lo spirito di adattamento a situazioni avverse e di ignorare come sotto a una superficie esteriormente semplice e di pratica applicazione, si possano scorgere insegnamenti che abbracciano ogni risvolto della propria quotidianità.
Insegnamenti che abbracciano ogni risvolto della propria quotidianità.
I venti princìpi includono anche indicazioni comportamentali, pure in questo caso solo all’apparenza destinati al karateka, che regolano il corretto avanzamento nel presente e nel futuro: “Lo studio del Karate è per tutta la vita“, “Creare ed elaborare costantemente“, “Il Karate è come l’acqua calda, scaldandola costantemente non tornerà a raffreddarsi” sono soltanto alcuni esempi. Perciò, non è difficile intuire come estrapolando il valore fondante contenuto nelle indicazioni del Maestro Funakoshi, sia possibile rispecchiarlo in ogni ambito del proprio vissuto.
Gli insegnamenti di vita racchiusi negli Shoto Niju Kun assumono lo spessore e al contempo la leggerezza che solo la “filosofia” (le virgolette sono d’obbligo) Zen può ispirare e indicare come strada da seguire incessantemente; “Conoscere prima di tutto sé stessi, successivamente gli altri“, “È necessario lasciare liberare la mente“, “Saper controllare il pieno e il vuoto“, sono solo alcuni dei gioielli con cui un praticante può adornare la propria vita, non solo quando indossa gi e obi, ma anche e soprattutto quando smette i panni di Maestro o allievo e affronta il mondo al di fuori dal Dojo.
Il continuo riflettersi dei princìpi durante la pratica e al di fuori di essa, pone necessariamente il praticante nella posizione di basare la propria vita lungo un percorso ispirato, sintetizzato nel termine “Do“, tradotto come Via, cammino, stile di vita.
Spesso inflazionato, mal concepito, screditato e abusato, il significato di “Do” viene egregiamente espresso proprio all’interno degli Shoto Niju Kun, dove il Maestro Funakoshi impartisce: “Applicare il Karate in ogni situazione, là ci sarà una bellezza meravigliosa“. La bellezza del Karate viene quindi a trovarsi all’interno del mondo e delle esperienze che in esso avvengono, così come queste sono irradiate da uno spirito nuovo, consapevole e definitivo.
Il termine DENSHŌ che dà il titolo al testo, è stata una meravigliosa scoperta che, come accennato in precedenza, ho trovato lungo la strada della ricerca sugli Shoto Niju Kun.
Come accade in merito a molti termini giapponesi, non esiste una traduzione rapida e fruibile che restituisca fedelmente la profondità di significato che il termine Denshō offre, sebbene un’interpretazione accettabile, approfondendo il significato dei kanji da cui è composto l’ideogramma, potrebbe essere: “Apprendere con umiltà e trasmettere con impegno la tradizione“.
Proprio questo, se così lo si vuole intendere, è lo scopo principale del libro.
“Apprendere con umiltà e trasmettere con impegno la tradizione” (Shoto Niju Kun)
Prima ancora di essere un insegnante di Karate-do mi sono sempre considerato un praticante, immerso in quel corso di eventi che, partendo dal Maestro Gichin Funakoshi e dal figlio Yoshitaka, prosegue incessantemente grazie all’operato di tanti Maestri che nel corso della storia hanno saputo tramandare fedelmente e innovare incessantemente una disciplina come il Karate-do.
Il compositore austriaco Gustav Mahler lasciò detto che: “La tradizione è alimentare il fuoco, non custodire le ceneri”. Il mio scopo, nel mio piccolo, resta quello di alimentare quel fuoco, nell’esempio, nella divulgazione e nella prosecuzione della disciplina.
Come detto, gli Shoto Niju Kun sono un’eredità che il Maestro Funakoshi ha lasciato in dote a ogni praticante; capirli in maniera consapevole, applicarli senza interpretarli a proprio piacimento, lasciare che essi diventino buoni compagni di strada per affrontare le vicissitudini della vita, significa praticare in maniera ancora più profonda, forse proprio come lui stesso avrebbe voluto, a distanza di quasi un secolo dalla loro compilazione, avvenuta nel 1938.
Mi auguro che il lettore di Denshō possa prima di tutto trovare interesse verso un tema spesso poco trattato, stimolando in lui la genuina curiosità di approfondire un’etica comportamentale e morale propria della pratica di Karate-do, all’interno del Dojo, con i propri insegnanti e compagni di pratica, ma soprattutto verso il mondo circostante, migliorandosi come persona per portare a sua volta un miglioramento globale all’intera società.
Qui il link al libro.