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Arti marziali e serie TV

Arti marziali e serie TV

Il binomio artimarziali-serieTV è una “collaborazione” nata tanti anni fa e che sicuramente influenzò piccoli/e karateka di allora.

Il recente successo di Cobra Kai ha definitivamente consolidato il binomio arti marziali-serie TV, una “collaborazione” nata tanti anni fa e che ha regalato, a operatori del settore e non, un buon background su cui discutere e confrontarsi.
In questo articolo proverò a redigere una mia personale lista dei miglior drama a sfondo marziale che è iniziata con un numero elevatissimo di titoli, ma si è poi ridotta a dieci serie (in questo primo articolo ne approfondirò solo cinque), dato che mi sono imposto di utilizzare dei criteri di scelta precisi.

The Avengers fu un vero e proprio trampolino di lancio nel mondo dei media per quanto riguardava l’emancipazione femminile.

La prima cosa che ho considerato è che il personaggio principale, o comunque un suo/a collaboratore diretto, esegua regolarmente tecniche di arti marziali; che il drama sia abbastanza famoso a livello nazionale e internazionale, e che fosse significativo per un certo ambiente legato alle arti marziali o in relazione al contesto storico-sociale in cui è stato trasmesso. In seconda battuta, ma per ovvi motivi personali di carenze dal punto di vista tecnico, ho cercato di valutare la coreografia, la sceneggiatura e il lavoro di stuntwork.
Detto ciò, confesso di non sapere se le dieci serie TV che elencherò in rigoroso ordine cronologico siano quelle che contengono elementi marziali fondamentali, ma penso siano quelle che hanno condizionato il pensiero comune più di tutte le altre.

 

The Avengers (1961-1969)
La spy-serie britannica, in Italia nota come Agente Segreto, che vede protagonista John Steed (Patrick MacNee), nacque agli inizi degli anni Sessanta per volere del produttore Sydney Newman. Inizialmente concepita come “giallo”, nel tempo si modifica diventando spionaggio dove le scene di lotta corpo a corpo sono all’ordine del giorno.
The Avengers precorse i tempi e adesso vi dico perché. In un periodo storico in cui le arti marziali non erano proprio nella testa degli sceneggiatori, tutti si sarebbero aspettati che fosse l’agente Steed il personaggio abile nel combattimento. Invece, l’uomo nemmeno nei momenti più concitati perde il suo aplomb inglese e così la parte passa alle donne: l’elegante Cathy Gale, interpretata dalla vera cintura nera di Judo Honor Blackman. Emma Peel, interpretata dall’attrice Diana Rigg che, a differenza della collega, non aveva nessuna nozione di arti marziali, ma si prodigò nell’imparare quanto bastava per sembrare una vera e propria lottatrice. Per finire con Tara King, interpretata da Linda Thorson, abilissima nelle tecniche di immobilizzazione al collo.
Al di là dell’analisi prettamente tecnica, The Avengers fu un vero e proprio trampolino di lancio nel mondo dei media per quanto riguardava l’emancipazione femminile. Sia perché in questo fu il primo in assoluto e sia perché la forza, non solo quella fisica, messa in scena dalle tre co-protagoniste, rappresentava molto di più della semplice capacità di difendersi dal cattivo di turno, ma assume più valenze dato che il tutto si sviluppò in un momento storico cruciale per il mondo femminile.

 

Wild Wild West (1965–1969)
Altra spy-serie, questa volta di produzione americana, famosa (poco) in Italia con il titolo Quel Selvaggio West, è ambientata in un fantascientifico Far West popolato da ogni genere di esseri strani e cattivi. Qui si ritrovano a operare due agenti del governo James T. West (Robert Conrad) e Artemus Gordon (Ross Martin).
Nell’affrontare i più improbabili nemici, dal gorilla di 400 tonnellate allo pseudo-robot dalle braccia prensili, i protagonisti eseguivano regolarmente movimenti stilizzati mostrando principalmente elementari tecniche di kung-fu e karate. Tuttavia, il vero elemento importante che mi ha fatto scegliere questa serie, ai più sconosciuta, è che per la prima volta venne introdotta una tecnica di ripresa che poi sarà largamente usata in altre serie e produzioni cinematografiche con combattimenti. Un esempio su tutti la famosa scena di Kill Bill Vol.1 in cui The Bride (Uma Thurman) affronta i membri della Yakuza nel ristorante. In pratica il protagonista viene ripreso sempre al centro della scena e con il volto concentratissimo in modo da trasmettere allo spettatore la sensazione che ci sia sempre il controllo della situazione, sebbene tutto l’intorno sia concitato se non addirittura confuso. Proprio questo permette all’eroe di turno di atterrare e immobilizzare più di un cattivo alla volta mediante l’utilizzo di una tecnica “marziale” ben precisa in base all’esigenza del momento.

 

The Green Hornet (1966-67)
Sei anni prima di diventare famoso in tutto il mondo come il più grande artista marziale del grande schermo – e probabilmente del mondo – Bruce Lee interpretò Kato, una sorta di guardia del corpo dalle origini ignote che affiancava Britt Reid (Van Williams) alias il Calabrone Verde.
The Green Hornet fu la prima serie TV con nel cast un attore di origini asiatiche capace di mostrare la sua vera abilità marziale. Bruce infatti sferrava calci e pugni a una velocità sovrumana, il tutto senza l’utilizzo di fotomontaggi, controfigure o effetti speciali. Fu proprio l’attore che curò le scene dei combattimenti e si occupò anche delle coreografie, rendendo tutto il più veritiero possibile. La sua partecipazione a The Green Hornet fu così importante che gli valse una copertina di TV Guide il 24 novembre 1966.

The Green Hornet fu la prima serie TV con nel cast un attore di origini asiatiche capace di mostrare la sua vera abilità marziale.

Quella che potrebbe sembrare l’inizio di una brillante carriera in realtà fu un trauma, non solo per Bruce Lee, ma anche per tutti gli asiatici-americani che si identificavano in lui. Il maccartismo infatti lasciò come retaggio, oltre che l’avversione al socialismo, anche l’odio nei confronti degli asiatici che venivano identificati tutti come “musi gialli” oppure giapponesi, ossia i nemici sconfitti della Seconda Guerra Mondiale. Secondo la propaganda nessuno di loro avrebbe avuto il diritto di diventare un personaggio di spicco della cultura popolare, tanto meno Bruce Lee, tuttavia, la produzione azzardò lo stesso nel volerlo (senza considerare che a questo stereotipo va aggiunto un pesante fardello che rispondeva al nome di Guerra del Vietnam).
Bruce Lee, nonostante alcuni boicottaggi, trovò spazio in altre serie TV, ma sempre con ruoli minori, mentre le sirene di Hollywood si spensero al volere della politica; questa situazione durò fintanto che l’attore non decise di migrare a Hong Kong dove ebbe inizio la sua carriera cinematografica. 

 

Kung Fu (1972-1975)
Cambiamo decennio alla riscoperta di uno dei cult delle serie TV a sfondo marziale: Kung Fu. Kwai Chang Caine (David Carradine) è un monaco cinese fuggito da un Tempio Shaolin, perché ricercato e ingiustamente accusato di omicidio. Giunto nel selvaggio West del 1870, si trova a dover affrontare il pregiudizio e la violenza razzista, oltre al resto.
Negli USA, chiusa l’esperienza in Vietnam, c’erano da archiviare anche altri due stereotipi sbagliati: quello degli asiatici = musi gialli cattivi e assetati di sangue, e quello che i praticanti di arti marziali (e quindi gli asiatici) erano dei sadici distributori di violenza gratuita.
Per far ciò si escogitarono diversi stratagemmi: uno fu quello di riconoscere al monaco l’origine americana, da qui il cognome Caine. In secondo luogo, essendo la popolarità delle arti marziali in crescita anche tra le star della televisione, nessuno voleva far passare un messaggio negativo.
Il risultato fu la nascita di un personaggio molto più filosofico e che ricorreva al kung fu solo quando era strettamente necessario. Questo elemento fu di vitale importanza all’epoca dell’uscita della serie perché, esclusi i film di Bruce Lee dove la violenza era quasi sempre legittimata da un motivo più che valido, in America arrivavano frotte di film cinesi con protagonisti intenti a uccidere senza alcun ritegno e utilizzando la loro abilità marziale. Nell’ottica di sviluppo di una rete di scuole di arti marziali da espandere in tutta l’America questo non ce lo si poteva permettere e, quindi, si corse ai ripari.
Kung Fu fu anche molto importante dal punto di vista cinematografico perché, per compensare la totale inesperienza di molti attori, si utilizzarono delle scene riprese da angoli particolari, con effetti audio studiati ad hoc e scene abilmente riproposte al rallentatore per dare un senso di no-tempo e di sacralità al tutto. Indimenticabili anche le scene in flashback dove il bambino/giovane monaco si addestra nell’arte.
In assoluto, delle serie TV che ho citato fino adesso, Kung Fu fu quella che influenzò più di altre anche il pubblico italiano. 

 

The Master (1984)
L’ultima tappa (per ora) di questo nostro viaggio tra le serie TV a sfondo marziale che hanno lasciato il segno nella cultura popolare, non poteva mancare un fallimento bello e buono.
The Master, venne ideata da Michael Sloan e prodotta dalla NBC per il mercato americano a partire dal 1984. In Italia arrivò verso la fine del decennio grazie all’interessamento di alcune emittenti private che fecero anche presto a ritirarla per scarsi risultati. La sceneggiatura si basava sulle avventure di John Peter McAllister, interpretato da uno stanchissimo Lee Van Cleef, un veterano della Guerra di Corea che studiò l’antica arte del ninjutsu tanto da diventarne un maestro. A causa del rapimento della figlia (Demi Moore), McAllister viola il patto di segretezza della sua setta e torna in America per cercarla. Sulla sua scia il temibile Capo Ninja (Sho Kosugi) tenta di ucciderlo in qualsiasi modo in quanto traditore.

Uno dei cult delle serie TV a sfondo marziale: Kung Fu.

Siamo negli anni Ottanta e, come in altri contesti della cultura pop, non è poi così assurdo incappare in una miscellanea di elementi che si confondono tra loro. Pensata come una serie di wuxia (il nostrano cappa e spada) di tradizione cinese, i protagonisti sono invece dei ninja e non basta il carisma di Sho Kosugi, mostro sacro del genere in Giappone, a colmare tutte le lacune della sceneggiatura. Sebbene l’utilizzo delle armi fosse abbastanza fedele alla tradizione, si notò chiaramente l’imbarazzo di Van Cleef e di altri membri del cast nel simulare tecniche e movenze che risultarono lente e impacciate. Nell’estremo tentativo di correggere in corsa, gli autori provarono a cambiare gli effetti sonori e successivamente aumentarono addirittura la velocità di riproduzione delle scene di combattimento, ma il risultato non cambiò e la serie venne archiviata dopo solo tredici episodi.

(Continua)

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