L’intervista prosegue parlando di Olimpiadi, di karate italiano e internazionale, di kumite, di arbitraggio e di molto altro…
di Susanna Rubatto
In occasione delle competizioni WKF, la 29ª “Venice Cup” e la “Karate 1 Youth League”, tenutesi a Jesolo (VE) dall’8 al 12 dicembre 2021, abbiamo intervistato Davide Benetello (classe 1972) campione del mondo e pluricampione europeo di kumite, che ringraziamo per il tempo gentilmente concesso e per l’accoglienza che ha riservato KarateDo Magazine.
Già membro del Comitato Esecutivo della World Karate Federation (WKF) e European Karate Federation (EKF), nonché Presidente della Commissione Atleti WKF, membro della Commissione Olimpica WKF e della Commissione dei Regolamenti Gara e Sportiva WKF. Nel 2016 è eletto Consigliere Federale FIJLKAM, poi rieletto per il quadriennio olimpico 2021-2024; nominato vice presidente FIJLKAM e responsabile del settore Karate, è inoltre componente della Commissione Atleti CONI. All’interno del Comitato Olimpico Internazionale è membro della Steering Committee per i diritti e doveri degli atleti.
Gli esperti sanno bene che in quell’unico punto c’é tutto il karate del mondo degli ultimi vent’anni.
Ci raccontava che state sperimentando in questi giorni di gare un test nuovo per l’arbitraggio, ce ne parla?
Il karate ha bisogno di evoluzione (le bandierine lo sono state): gli arbitri seduti, con uno solo centrale che gestisce l’incontro è una richiesta anche mediatica, perché per la televisione non possono esserci tante persone che si muovono sul tatami, quindi, negli anni abbiamo fatto un incremento tecnologico. L’occhio arbitrale è ancora molto importante, anche se stiamo cercando d’implementarlo con la tecnologia, con l’aiuto delle telecamere.
Vedere meno bandiere che si muovono è giudicato, anche in altri sport, importante, perché il pubblico dev’essere concentrato sull’atleta, non sulle bandierine. Perciò, l’arbitro giudica un punto e muove un joystick, di cui né atleta né spettatore si accorgono, ma vedono un colore sullo scoreboard a seconda del punto.
La video review è limitata, l’unica competizione dove si è vista è alle Olimpiadi. Le sue regole, per i tempi gara e per non avere troppe interruzioni, prevedono che a inizio gara sia dato un cartellino a ogni coach, che se lo “perde” al primo incontro non può più usarlo nei successivi. Quindi, la video review deve essere garanzia di un punto importante, non di un punto che c’è o meno, quindi il coach deve usarlo solo quando ritiene che qualcosa non è corretto. Gli viene ridato solo per semifinale e finale.
A livello mediatico però il karate è considerato, come si è visto dalla “copertura” per le Olimpiadi data dalla televisione nazionale, ancora come uno sport minore…
È vero, anche se via satellite e in streaming abbiamo avuto parecchi accessi e, in un report che abbiamo presentato al Comitato Olimpico Internazionale, si vede che il karate ha numeri superiori alle altre arti marziali.
Ritiene che il karate abbia possibilità di ammissione alle future Olimpiadi?
Per la Francia del 2024 non sono ottimista, ma stiamo lavorando assiduamente per il 2028. Il processo di selezione non ci è piaciuto, poteva essere più “trasparente”, perché noi abbiamo tutti i numeri per essere uno sport olimpico. Per accedere agli sport olimpici c’è un questionario a cui una federazione mondiale deve rispondere dettagliatamente a tutti gli aspetti e noi li copriamo tutti al 100%. Abbiamo tutte le carte in regola e la prima è la diffusione del karate sul pianeta: ci sono 200 federazioni nazionali registrate alla WKF, che testimonia una diffusione profonda nei cinque continenti.
C’è la massima equità di genere, quasi il 50% è femminile; abbiamo numeri altissimi di bambini praticanti e per questo saremo alle Olimpiadi giovanili del 2026. Questo percorso testimonia che noi meritiamo le Olimpiadi, ben sapendo che, a volte, le cose più difficili poi danno più soddisfazione
Io ho fatto parte della campagna olimpica nel 2009 e nel 2013, per il 2020 ho fatto parte della Commissione olimpica per i criteri di selezione e dei regolamenti gara, perciò, sono stato coinvolto pienamente e conosco bene la nostra crescita esponenziale degli ultimi anni per quanto riguarda la WKF e, di conseguenza, anche la Fijlkam e tutte le federazioni nazionali, magari con percorsi differenti, ma la crescita riguarda tutti.
Quando il livello mondiale di vari aspetti nelle gare (organizzativo, spettacolare, regolamentare ecc.) cresce, le federazioni nazionali si adeguano. Anche perché uno dei maggiori pregi della WKF in questi ultimi anni e dove la federazione italiana è stata protagonista, è stato quello di avere permesso l’iscrizione anche dei club alle gare mondiali. Questo ha “costretto” le federazioni nazionali e i club di crescere, anzi, alcune federazioni nazionali hanno seguito la scia dei club per crescere, di conseguenza c’è stato un incremento generale del livello tecnico, tattico, organizzativo e numerico del karate.
La Youth League di Jesolo testimonia questo incremento numerico.
Qui i numeri sono impressionanti. Quando io iniziai come allenatore della Nazionale giovanile e avevo già una posizione nella Commissione atletica della WKF, chiesi al presidente di incrementare un circuito internazionale di selezione come questo, perché io, in qualità di allenatore, non avevo gare ufficiali dove fare confrontare i giovani atleti in preparazione dei campionati europei e mondiali. C’era solo un passaparola dei coach, ma ci serviva un circuito ufficiale, con arbitri e organizzazione qualificati, e con una sigla internazionale riconosciuta dal C.I.O., dopodiché la Youth League è esplosa, specialmente in Europa.
Quanto impegno richiede l’organizzazione della Youth League e come sono i numeri quest’anno, anche con la pandemia da Covid?
Il Comitato organizzatore veneto è quello che al mondo è più rispettato, due anni fa hanno organizzato una gara con 3.200 atleti da settanta nazioni, per tre giorni e mezzo, senza un minuto di ritardo.
Anche quest’anno i numeri sono alti, anche se non come i precedenti, ma comunque abbiamo 2.400 iscritti da cinquantadue paesi, naturalmente quelli più distanti sono in difficoltà, sia per il lockdown, sia per il timore che la gara fosse annullata.
Con questa situazione sanitaria, Lei ha sempre viaggiato agevolmente e quanto ha inciso nell’organizzazione delle gare?
Io non ho mai avuto problemi, ho la tripla vaccinazione, basta seguire le regole. L’Italia ha dei protocolli riconosciuti molto forti, per cui ho viaggiato all’estero da febbraio 2021 senza problemi. I test molecolari sono fondamentali e anche i costi delle organizzazioni sono molto aumentati.
I tempi di registrazione, come in questa gara, hanno causato ritardi essenzialmente perché le persone non leggono come dovrebbero i protocolli che inviamo e che sono complessi, con la richiesta di documentazione molto varia.
Anche a livello nazionale abbiamo incrementato qualitativamente il “sistema gara” e, dopo i primi mesi più impegnativi, i club hanno capito le procedure, per cui le gare filano lisce: molto tecnologiche e spettacolari, chiamata atleti, organizzazione, Covid test… Tutto può succedere in questo periodo, ma l’importante è avere i protocolli per gestire la situazione e non esserne sorpresi. Fondamentale è lo screening, anche se alcune organizzazioni lavorano solo con green pass che però, per noi, non è sufficiente e testiamo anche in sede gara.
Tornando alle Olimpiadi, che giudizio dà del kumite finale tra Busà e Aǧhayev?
Ovviamente, mi è piaciuto che un italiano abbia vinto! Quello che è piaciuto a tutti, ma meno ai più esperti, è il fatto che quando si ritrovano due atleti che si sono incontrati decine di volte, la tattica regni sovrana. Qualcuno si aspettava qualcosa di più da una finale olimpica dove un atleta vince per un punto. Però, i veri esperti sanno bene che in quell’unico punto c’é tutto il karate del mondo degli ultimi vent’anni, capiscono che per piazzare quel punto bisogna avere fatto karate bene in passato, ma anche nel presente e in futuro.
Solitamente gli incontri più spettacolari si vedono quando tra gli atleti tecnicamente c’è molta differenza, contrariamente a quando sono entrambi forti e conoscono tattica, distanza, arbitraggi ecc. Certo, sarebbe piaciuto anche a me aver visto un 7 a 8 in finale, sicuramente sarebbe stato più spettacolare, però, vi assicuro che in quel solo punto c’è tutto il karate possibile.
Per esempio, nelle eliminatorie si sono visti un po’ più di punti, perché in alcune categorie, nonostante la selezione durissima, degli atleti non erano così competitivi come altri, per cui è più facile fare punti.
Noi siamo uno sport competitivo, per il quale è necessario gareggiare.
In questo modo quanto può essere compreso il karate da uno spettatore e, come si auspicava, avere anche effetti a posteriori, per esempio, su un eventuale aumento delle iscrizioni nelle palestre?
Le nostre palestre sono esplose e, specialmente in periodo di Covid, è un buon segnale. A livello mediatico i nostri report internazionali ci danno ai primi posti tra tutti gli sport, perciò siamo felici del nostro operato.
Sappiamo bene che il supporto economico dei giochi olimpici è fondamentale, solitamente le federazioni olimpiche hanno, dopo le Olimpiadi, dei diritti televisivi di cui usufruire per creare uno spettacolo migliore per le successive. Anche se a noi mancherà un po’, non ci spaventiamo, il karate è vissuto e incrementato anche senza giochi olimpici; dopo questi sicuramente non avremo un decremento della qualità organizzativa, anzi.
Però, voi puntate ancora alle Olimpiadi?
Noi siamo uno sport competitivo, per il quale è necessario gareggiare e l’Italia in primis, puntiamo ad avere delle organizzazioni forti con i nostri circuiti internazionali – Premier League, Serie A, Youth League –. Tutti gli sport olimpici fanno sempre un certo effetto e noi vogliamo tornare olimpici, con Giochi dove siano garantiti gli sport che meritano di esserci.
Il kumite ha mostrato tecniche velocissime, ci sono ancora margini di miglioramento e su quali aspetti percepite che si può ancora lavorare nella preparazione di un atleta?
Noi conosciamo ancora pochissimo sulle reazioni del cervello e quanto possiamo incrementarle, anche nella vita quotidiana; gli scienziati sanno come si può potenziare, ma non come lavora. In un karate fatto di riflessi e dove bisogna reagire velocemente, credo siano questi gli aspetti dove la scienza può dare un contributo.
Sulla preparazione atletica, vince il cervello. Sbagliare sulla preparazione atletica oggi è molto difficile, perché i tempi gara sono certi, si conosce la competizione, lo stesso vale per il clima gara, che dappertutto è più o meno costante… Per cui, vince chi commette meno errori e chi è più reattivo a livello neuronale.
Su questo lavoriamo da sempre e già il professor Aschieri è stato il primo a incrementarlo. In federazione abbiamo i Mental training, lo psicologo, il dietologo, oltre al preparatore atletico e agli esperti dei settori kata e kumite. Queste figure devono loro stesse creare una squadra, soprattutto se devi presentare atleti alle Olimpiadi dove, se guardiamo a tutti gli sport Fijlkam (judo, lotta, karate), abbiamo avuto molti più ori olimpici che campioni del mondo. Avendo avuto entrambi, ci riteniamo soddisfatti.
Pensa che per il karate italiano ci potrà mai essere una visione comune?
L’Italia è un po’ particolare ed è un territorio dove si pratica karate.
Io non giudico le altre federazioni e le comprendo, le nostre porte sono aperte e i dialoghi si stanno instaurando. Non esiste un karate assoluto, ma un karate che unisce diversi punti di vista, come avviene per la politica: la più aggregante vince.
Ci sono federazioni molto ben organizzate, con le quale trovare punti di crescita.
Quale potrebbe essere secondo Lei il punto in comune tra federazioni di karate (per esempio avete fatto un accordo con la FIKTA) che, detto sommariamente, si dividono tra “sportivo” e “tradizionale”?
Semplicemente partendo dalla voglia di farlo, da parte di entrambi, durante il dialogo. Se c’è questa volontà delle parti, le soluzioni tecniche/politiche si trovano, ma se viene a mancare è chiaro che è più difficile.
Dal mio punto di vista c’è una forte volontà di farlo, per cui, chiunque abbia voglia di aprire un dialogo con la Fijlkam, settore karate, noi siamo disponibili.
Cosa pensa che le federazioni del tradizionale, in particolare mi riferisco alla FIKTA, possano aggiungere a una federazione grande come la vostra?
L’organizzazione della FIKTA è molto solida e ha basi molto forti. Fa un bel karate Shotokan e aggiungo che il nostro direttore tecnico kata viene dallo Shotokan, quindi, lo conosce bene. Nelle competizioni la nostra squadra maschile fa Shotokan e così l’individuale alle Olimpiadi, mentre lo Shitoryu è eseguito soprattutto nel femminile. Un atleta di livello internazionale deve conoscere tutto, specializzarsi in qualcosa dove essere eccellente, ma restando pronto a tutto.
La FIKTA può sicuramente apportare la serietà applicativa dello stile e il livello qualitativo di dirigenti e maestri, che hanno dato un buon imprinting su come gestire una federazione. Poi, tutto cambia e si evolve, e lo sport necessita di energie nuove.
L’evoluzione della tecnica, ma anche dell’organizzazione e dei benefici che può dare il karate, dev’essere un messaggio fondamentale per l’”esterno”. Viviamo in una società che certamente non rispecchia le regole del nostro sport, se riusciamo a trasmettere che il karate è una disciplina che ha rispetto per il prossimo, per le regole e nell’educazione verso il prossimo, non possiamo sbagliare.
Nella società odierna, a suo avviso, quale “regola” sarebbe più necessaria?
La gentilezza. Se facciamo le cose con gentilezza tutto viene meglio, proviamoci!
Sappiamo che tutti hanno momenti di nervosismo, ma a fine giornata se si fa un consuntivo, ci si deve chiedere (io lo faccio) “sono stato gentile?”.
A me piace avere contatto col pubblico e trasmettere ciò che sono, se ho mancato in qualcosa, cerco di risolvere il giorno dopo, non lascio mai una situazione aperta troppo tempo.
Chiunque abbia voglia di aprire un dialogo con la Fijlkam, settore karate, noi siamo disponibili.
Nella sua esperienza internazionale, la sua “italianità” ha fatto la differenza?
Certo! Essere italiano per me è importante, ho carattere “mediterraneo”, ma anche la capacità di avere focus, so che non si vince in tempi brevi, ma se credo in un progetto il risultato si raggiunge, per altro, senza deprimermi se invece non arriva.
Ho anche sempre dedicato del tempo per divertirmi con persone con le quali posso aver avuto eventuali conflitti, senza dare troppa importanza alle cose che non vanno bene, su queste si lavora il giorno dopo. Qualche volta si hanno troppi problemi per non aver stretto una mano il giorno dopo, magari davanti a una birra.
In questo momento la nostra situazione politica, a livello internazionale, è eccelsa, sia perché sono membro esecutivo, sia perché sono protagonista in molte commissioni, ma credo soprattutto che sia proprio un percorso dell’”italianità”. La nostra federazione è tra le migliori al mondo: abbiamo una sede fantastica, un centro olimpico dove aggregarsi, un palazzetto dedicato, un team organizzativo e la sede a Roma che, quando all’estero nomini la città, tutti mostrano interesse.
Una forza costruita negli anni, partendo dal fondatore Matteo Pellicone e proseguendo col fratello Giuseppe che ha dato l’imprinting. A me spetta l’onere di continuare il loro impegno, ma so di avere avuto dei buoni maestri e ho buone sensazioni…
Io sono nato qui a Jesolo, da genitori padovani, ho il sangue di chi vuole lavorare rispettando le regole che, però, devono essere rispettate da tutti, solo così, anche se ci sono conflitti, si risolvono.
Progetti per il futuro?
Abbiamo un Campionato del mondo da organizzare tra tre anni.
Di come sta andando avanti questo progetto, qui alle gare, sono molto contento. L’organizzazione locale della Multisport del M° Vardiero e il Comitato Veneto sono in sinergia, inoltre, Jesolo è molto attenta a questi eventi e il palazzetto sembra fatto su misura per le gare di karate, perché non ne esiste un altro al mondo che abbia 600 metri di area riscaldamento, 300 di area chiamata atleti e uno spazio per 8 tatami, che ci invidiano. Anche per la vicinanza con Venezia e la ricezione alberghiera che sono fondamentali per un campionato mondiale e per quello giovanile del 2024 aperto a cadetti, juniores e under 21. Sarà anche la prima tappa di qualificazione per le Olimpiadi del 2026 in Senegal.
Un progetto che darà dei risultati al karate italiano, dove vorrei avere più unione possibile, e alla crescita della nazione. Un evento che farà parte delle Olimpiadi invernali a Cortina, quindi, contiamo anche su un buon supporto mediatico.
Io sono ottimista e solare, anche se non nego momenti di dispiacere, quando qualcuno riesce a farmi più male di quanto dovrebbe, e questo pesa, soprattutto quando si fanno le cose di cuore. E questo è in assoluto un impegno che mi piace!
Qui la prima parte dell’intervista.