Il Karate è a disposizione di tutti: da chi lo considera una sorta di “religione” a chi lo considera esclusivamente uno “sport”.
di Ilio Semino
Molti utenti di Facebook mi hanno chiesto di scrivere il mio pensiero riguardo al Karate alle Olimpiadi e altri si sono meravigliati del perchè non lo avessi fatto. Il motivo è semplice: a parte qualche interessante contributo onesto e obiettivo di critica costruttiva, quale ad esempio quelli del Presidente Sean Henke e del M° Nando Balzarro, per citarne solo due, ho letto una montagna di elogi, critiche, approvazioni, suggerimenti, prese di distanza, indignazione e cosi via, che pensavo non servisse anche il mio ininfluente commento. Ma non voglio sembrare quello che fa il sostenuto e dico due parole.
So perfettamente che in casi come questi si creano due fazioni: quelli che sostengono l’evento nella sua completezza e a qualunque costo, e quelli che sono assolutamente contrari anche solo per esserlo.
Non mi addentro in commenti o suggerimenti di tipo tecnico. Ho visto che Maestri ben qualificati e competenti in materia agonistica lo hanno fatto in maniera fin troppo soddisfacente.
La mia è che il karate alle Olimpiadi sia stato un’ottima vetrina di visibilità per la disciplina verso il pubblico non competente.
Voglio solo dire che il Karate è a disposizione di tutti: da chi lo considera una sorta di “religione” a chi lo considera esclusivamente uno “sport”, con tutte le sfumature che stanno in mezzo a questi due “antipodi”.
Quindi, ritengo che ogni discussione, seppur interessante e foriera di ottime considerazioni, lasci tutto com’è e ognuno rimanga della sua idea.
La mia è che il karate alle Olimpiadi sia stato un’ottima vetrina di visibilità per la disciplina verso il pubblico non competente, che non sa distinguere le Scuole, gli stili, la tecnica, l’arbitraggio e tutte quelle circostanze che gli addetti ai lavori sono capaci di notare e che magari decide di iscrivere il figlio alla palestra (o al Dojo secondo come capita) sotto casa, dove c’è scritto solo “Qui si insegna Karate”.
Per chi invece pratica karate da anni si sono aperte altre strade oltre a quelle esistenti. Si può continuare a praticare il proprio karate in un gruppo dove ci si sente a proprio agio e dove è proposta la disciplina nella maniera che ci aggrada, così come si può decidere di abbracciare il programma tecnico olimpico e avviare gli iscritti a questa preparazione, sperando che uno di questi vinca qualche gara importante in Fijlkam e venga notato dai tecnici della nazionale per provare qualche esperienza internazionale in WKF.
Che a seguito di ottime prestazioni il giovane venga chiamato da un G. S. Militare e inizi a diventare un professionista, stipendiato e spesato, sperando un giorno di ottenere, attraverso gare distribuite in tutto il mondo, a cui ovviamente deve partecipare, i punti per essere ammesso ai Giochi. Ovviamente, le spese di preparazione, allenamento, viaggio, gara ecc. stanno a carico del Gruppo Sportivo, e non è poco e tantomeno facile.
Le organizzazioni diverse da quella “ufficiale” (a proposito di militari) sono in questi giorni vessate sui social perchè assegnano titoli “senza valore” e perchè i tecnici migliori sono quelli riconosciuti dal CONI.
Benissimo: ognuno è libero di lasciare la vecchia strada per la nuova, sperando che il suo karate cambi. Oppure, di continuare a fare quello che per lui è il karate piu bello, con il Maestro che lo soddisfa, a prescindere dalla sigla, magari portando gli atleti a gareggiare in circuiti non meno impegnativi tecnicamente, ma piu abbordabili economicamente. O scegliendo di non fare agonismo, come agli albori. Una scelta libera e consapevole per Maestro e Allievi, e assolutamente da rispettare.
Finita l’eco dei Giochi, rallegrandoci tutti, e dico TUTTI, per le due medaglie ottenute dai rappresentanti azzurri.
Si discute poi sul “programma tecnico delle olimpiadi”: non è karate… , assomiglia a… , sarebbe meglio così, si dovrebbe fare cosà, proiezioni sì, anzi no, controllo forse di più, o di meno…
Il programma WKF adattato alle Olimpiadi è quello. Magari, se la partecipazione sarà rinnovata, potrà migliorare, diventare più chiaro per il pubblico e più tutelante nei confronti degli atleti, integrato forse con altre specialità, tipo il kata a squadre, il bunkai o gli “esercizi di libera composizione”, ma sarà sempre quello deciso da WKF.
Il coinvolgimento di altre organizzazioni alla festa olimpica lo vedo impossibile, come è stato fino a oggi impossibile unificare il karate.
Quindi, finita l’eco dei Giochi, rallegrandoci tutti, e dico TUTTI, per le due medaglie ottenute dai rappresentanti azzurri Luigi e Viviana e ringraziando Mattia, Angelo e Silvia per aver fatto il possibile per portarne altre, torniamo al nostro Dojo o alla nostra palestra, senza cantine e candele e senza nasconderci da chicchessia, praticando con diligenza e insegnando con onestà e competenza quel tipo di Karate che il nostro cuore sinceramente ama. Con il Do o senza.