Agli Europei di Porec l’Italia è arrivata a dieci finali, conquistando una medaglia d’oro e cinque di bronzo.
Del karate sportivo targato Wkf ci sono molte cose che non riuscirò mai ad apprezzare e neppure a capire: tanto per cominciare, lo stravolgimento del ritmo nell’esecuzione dei kata, con pause così lunghe da farti pensare che l’esecutore si sia dimenticato la sequenza, e momenti tanto frenetici da “mangiarsi le tecniche” per arrivare prima. E la faccia feroce a mimare la combattività, e i kiai a ripetizione, e la marcia militaresca per salire sul tatami.
Nel kumite il regolamento tollera e a volte impone comportamenti che per un marzialista sono inaccettabili: evitare il combattimento scappando scompostamente, rifugiarsi in “clinch” (perché l’arbitro dà raramente lo yamè) e separarsi poi dall’avversario a “rusoni” e calcioni. Senza contare le protezioni varie che gli atleti perdono durante il kumite e le assurdità arbitrali, come quella di infliggere inutili sanzioni a entrambi gli atleti se giustamente passano i primi 30 secondi a studiarsi.
Lo “stile” perde importanza e nel combattimento spesso vengono “riciclati” atleti provenienti da discipline simili.
Qui si vuole spettacolo a tutti i costi, per arrivare a punteggi palesemente assurdi come 8 a 1 o 10 a 3, alla faccia dell’antico principio del todome (colpo risolutivo), da queste parti morto e sepolto. Non mi soffermo sul valore puramente convenzionale attribuito ai colpi, per cui un uramawashigeri jodan portato cadendo a terra vale 3 punti e un micidiale kizamizuki di incontro ne vale solo uno. E sulla noia del ripetuto intervento della Var per indagare su punti reclamati dai coach, ma non visti dai 5 (cinque) arbitri. Coach che, per tutta la durata del combattimento, continuano a blaterare consigli e suggerimenti, invano zittiti solennemente dall’arbitro centrale.
Che nonostante questo inutile ciarpame le gare WKF – in questo caso i Campionati europei seniores di Porec, penultima prova prima dei Giochi olimpici di Tokyo – siano comunque delle competizioni godibili e interessanti, va ascritto unicamente alla bravura e alla dedizione degli atleti che, quale che sia lo stile che praticano e la federazione di appartenenza, si impegnano sempre per eccellere e onorare il Paese che rappresentano.
Rispetto a 30-40 anni fa, dopo l’unificazione Fik-Fesika, quando anche chi scrive fu coinvolto nella preparazione di atleti per le gare di karate sportivo e perfino nell’arbitraggio, il panorama internazionale è completamente cambiato. Allora, oltre al Giappone, erano le grandi potenze europee a salire regolarmente sul podio: Francia, Inghilterra, Spagna, Olanda e anche l’Italia, grazie al rapido progresso favorito dall’emulazione tra le due principali scuole di karate presenti allora nel nostro Paese: lo Shotokan del maestro Shirai e il Wado-ryu dei maestri Yoshioka e Basile.
Adesso invece a dominare sono le nazioni del Medio Oriente e i Paesi sorti dalla frantumazione della Yugoslavia e dell’Unione Sovietica. Gli Europei di Porec sono stati stravinti dalla Turchia, con 5 medaglie d’oro, 2 d’argento e 1 di bronzo e, scorrendo le liste degli atleti già qualificati per i Giochi olimpici, a prevalere sono sempre i turchi, seguiti dall’Iran, dall’Azerbaigian, dalla Cina nelle sue varie declinazioni. Poi naturalmente ci sono anche Giappone, Spagna, Francia e Italia, ma la sensazione è quella di una grande frantumazione. Con un regolamento del genere, specie nel kumite, lo “stile” perde importanza e nel combattimento spesso vengono “riciclati” atleti provenienti da discipline simili, ad esempio il Taekwondo.
L’Italia ha mantenuto negli anni una posizione di tutto rispetto, favorita anche dalla continuità nella direzione tecnica da parte del prof. Pierluigi Aschieri e dalla presenza di Claudio Guazzaroni, un tempo agonista di spicco e ora allenatore della squadra azzurra di kumite.
In questi Europei l’Italia è arrivata a dieci finali conquistando una medaglia d’oro (nel kata a squadre femminile) e cinque medaglie di bronzo. Metà del bottino viene dal kata, una specialità in cui l’Italia primeggiava già dagli anni Ottanta.
Le “punte di diamante” della nostra formazione, già qualificate per i Giochi Olimpici, con prospettive di medaglia, sono quattro: Viviana Bottaro nel kata femminile, Mattia Busato nel kata maschile, Luigi Busà e Angelo Crescenzo nel kumite maschile. Vorrei presentarli ai lettori di KarateDo Magazine assieme agli altri alfieri della nostra disciplina in versione sportiva che si sono distinti agli Europei.
Viviana Bottaro, 34 anni, è cresciuta a Genova col maestro Claudio Albertini e da qualche anno è nel gruppo sportivo Fiamme Oro. Ha vinto due medaglie di bronzo ai mondiali, è stabilmente terza nel ranking internazionale, dietro le inarrivabili Sandra Sanchez e Kiyou Shimizu, e per Tokyo ha prenotato una medaglia di bronzo. Nata come Shotokan, ora esegue solo kata Shito Ryu, come quasi tutte le atlete del circuito WKF. Anche qui a Porec ha conquistato la medaglia di bronzo eseguendo il kata Papuren.
Italia favorita anche dalla continuità nella direzione tecnica del prof. Pierluigi Aschieri e dalla presenza di Claudio Guazzaroni.
Mattia Busato, 28 anni, campione europeo e due volte medaglia di bronzo ai mondiali, ha lo scomodo ruolo di erede di Luca Valdesi. È attualmente sesto nel ranking olimpico, ma potrebbe riuscire a salire sul podio. Fa Shotokan, come la squadra maschile. A Porec ha conquistato la medaglia di bronzo eseguendo Kankusho.
Luigi Busà (Gruppo Sportivo Carabinieri), esuberante capitano della squadra azzurra celebre per il suo balletto “Gangnam style” dopo la conquista del titolo a Parigi, ha 34 anni ed è stato due volte campione del mondo e cinque volte campione d’Europa. A Tokyo è tra i favoriti nella categoria fino a 75 kg, ma dovrà vedersela con avversari temibili come il celebre azero Rafael Aghayev, 5 volte campione del mondo e 11 volte campione europeo, il giovane giapponese Ken Nishimura, l’iraniano Asgari e l’ucraino Horuna, che qui a Porec ha vinto battendo in finale il “vecchio” Aghayev. Quella dei 75 kg promette di essere la gara più spettacolare del programma olimpico di karate. In questi europei Busà è incappato in un’inattesa sconfitta con l’outsider croato Garibovic e non è stato ripescato neppure per il bronzo.
Anche Angelo Crescenzo, 28 anni, vanta una medaglia d’oro ai mondiali del 2018 nella categoria fino a 60 kg e quindi sarebbe un favorito per Tokyo, ma a causa dell’accorpamento delle categorie gareggerà nei -67 kg con atleti tendenzialmente più alti e pesanti di lui. Neppure lui ha avuto fortuna qui a Porec, al suo esordio nella categoria superiore, perdendo subito col forte turco Uygur.
Michele Martina (kumite -84 kg), atleta venticinquenne delle Fiamme Oro, è solo 25° nel ranking e quindi, a meno di un exploit nel Torneo di qualificazione di Parigi, ha poche chances di partecipare alle Olimpiadi, anche lui penalizzato dall’accorpamento delle due categorie più pesanti. A Porec si è comportato molto bene, conquistando la medaglia di bronzo contro il bosniaco Muhovic.
Un’altra finale per il bronzo è stata conquistata dal giovane Danilo Greco (Classe ’99, Centro Sportivo Esercito), una luminosa speranza per il futuro della squadra, che a Porec ha dominato le eliminatorie perdendo in semifinale col fortissimo turco Samdan. Ripescato, si è fatto travolgere dal russo Ogannisian nella finale per il bronzo, arrivando comunque quinto.
Le nostre ragazze del kumite sono molto forti e in continua crescita, ma per il momento hanno mancato la qualificazione per Tokyo, che potrebbe però venire dal Torneo di Parigi il mese prossimo. Qui a Porec hanno ben figurato: la squadra femminile, composta da Silvia Semeraro, Alessandra Mangiacapra, Lorena Busà e Clio Ferracuti, ha conquistato un meritatissimo bronzo, battendo nell’ordine la Macedonia, la Slovenia, la Svizzera e la Bulgaria, e perdendo solo con la forte squadra turca, battuta in finale dalla Germania.
Anche individualmente le nostre rappresentanti hanno fatto bene: in particolare Clio Ferracuti, Sara Cardin ed Erminia Perfetto si sono classificate quinte, perdendo di misura gli incontri decisivi per il bronzo.
Invece, la squadra maschile di kumite, che non schierava tutti gli atleti più forti, ha inaspettatamente perso al secondo turno contro l’Ucraina.
Quella dei 75 kg promette di essere la gara più spettacolare del programma olimpico di karate.
Vorrei concludere con un’opinione personale: anche se teoricamente non sarebbe possibile per un atleta che proviene dal karate tradizionale gareggiare nella Wkf (è quello che fanno tuttora i giapponesi della Jks), nel kata dovrebbe accettare molti compromessi e nel kumite non combatterebbe ad armi pari. Rispetto a trent’anni fa le due interpretazioni del karate si sono troppo diversificate ed è bene, secondo me, che ognuno segua la propria strada, pur apprezzando e stimando chi ha fatto una scelta diversa.