Seguite le lezioni via streaming e, che voi siate istruttori o allievi, cogliete l’opportunità di allenarvi in presenza all’aperto.
Nel 1983 la palestrina di proprietà del Consiglio di Zona 14, in concessione allo Students Karate Club di Milano, rimase chiusa per alcuni mesi per lavori di ristrutturazione. All’epoca, oltre ai corsi normali, eravamo impegnati anche in un’intensa attività agonistica: ci preparavamo per i campionati italiani della Fikteda e, inoltre, la nostra migliore atleta, Giovanna Citrelli, capitana della nazionale e campionessa europea di kata a squadre, si allenava in vista dei campionati europei e mondiali.
Cosa avremmo dovuto fare senza palestra? Mi rivolsi a un mio caro amico, occasionalmente compagno di allenamento dal maestro Capuana e mio alleato nella nuova avventura editoriale di Yoi, Carlo Pedrazzini, il quale ci offrì ospitalità nel suo dojo, il Funakoshi Milano in piazzale Nizza. Tenemmo in quella splendida sede alcune sedute di kata a squadre, approfittando anche dei consigli del suo esperto direttore tecnico, ma non potevamo abusare della gentilezza di Carlo, dato che il suo tatami era quotidianamente occupato da numerosi corsi di adulti e di bambini, ai quali non potevamo sottrarre spazio e tempo prezioso.
Eravamo già abituati a praticare sempre e dovunque.
Per fortuna allora si era molto più avventurosi e meno schizzinosi di oggi, e Milano era una città molto più ospitale e meno militarizzata.
La preparazione per i campionati italiani di Torino la svolgemmo in gran parte al Parco Ravizza e il terreno, irregolare e disuguale, fu molto allenante per la nostra squadra femminile che preparava il kata Empi. Quanto al kumite, gli alberi delimitavano egregiamente il quadrato di gara. Per limitare la distrazione provocata dagli spettatori curiosi, concessi agli allievi la licenza di allenarsi in tuta o in maglietta e pantaloncini, a seconda di quanto fossero tolleranti al freddo invernale.
Nessuno di noi ebbe mai il minimo dubbio sulla soluzione adottata (anche perché era l’unica disponibile) e i risultati ci dettero ragione: a Torino vincemmo il titolo italiano di kata a squadre e Giovanna quello di kumite individuale, mentre arrivò terza nella gara di kata, dietro Vera Scarpelli e Assunta Cabiddu.
Ho enfatizzato l’aspetto agonistico solo perché oggi si ritiene che la preparazione di una gara sia un affare specialistico, che richiede metodologie e conoscenze scientifiche “da Scuola dello Sport”: ma per noi le gare erano solo il lato ludico della pratica e le affrontavamo in modo “artigianale”.
Non saremmo però riusciti nel nostro intento se fin dalla fondazione del club (1975) non avessimo alternato gli allenamenti in palestra ai kangeiko e ai gasshuku en plein air, di giorno e anche di notte, in varie località montane, non certo scelte in base alle comodità turistiche che offrivano. Insomma, eravamo già abituati a praticare sempre e dovunque.
Perciò, oggi il consiglio che mi sento di offrire a tutti i praticanti di arti marziali, privati di colpo e a tempo indeterminato delle loro palestre, è il seguente: continuate a praticare sempre, da soli o con i vostri familiari e amici. Seguite le lezioni via streaming, imponendovi la stessa assiduità e serietà che avete in palestra, per onorare l’impegno del vostro insegnante che cerca di seguirvi a distanza, con un metodo fisicamente e psicologicamente dispendioso.
Ma soprattutto, che voi siate istruttori o semplici allievi, cogliete l’opportunità di allenarvi e di allenare i vostri allievi in presenza e all’aperto. È una pratica consentita dalla normativa vigente, che permette di mantenere il necessario distanziamento, ed è meno ripetitiva e alienante delle sequenze da “criceto” nella camera da letto o nel soggiorno di casa vostra.
Il karate non si vive solo nel dojo.
L’aria fresca, l’ambiente naturale, le stesse irregolarità del terreno vi terranno ben svegli e metteranno a dura prova le vostre posizioni e i vostri spostamenti. “Il karate non si vive solo nel dojo”: è una massima dal significato ben più ampio e profondo, ma non c’è ragione per non cominciare ad applicarla alla lettera in un giardino, in un parco o in un bosco. Facendo così, quando finirà il confinamento (perché prima o poi finirà…) scoprirete di non aver dimenticato quasi nulla e di esser rimasti aggrappati al vostro karate, proprio come quel monaco guerriero la cui statuina in terracotta mi è stata regalata dal mio maestro, Carlo Fugazza, con la raccomandazione di “resistere, resistere, resistere” per poter poi ripartire.