Il “paradosso” del karatedo.
Velleità e necessità mi hanno portato, qualche anno fa, ad aggiungere alla mia preparazione psico-fisica, esercizi di allenamento funzionale.
L’unico scoglio da superare è stato accettare e convivere con lo pseudo tradimento della “via del karate” che, come ogni lunga relazione, richiede di tanto in tanto nuovi stimoli e ci si aspetta un giudizio senza freni da chi tutto questo non lo considera abbastanza nipponico.
Sarà davvero così?
Poche storie, esiste un “sottogruppo” nel nostro ambiente che conserva sempre una certa diffidenza nei confronti di tutti coloro e di tutto ciò che non rientra in quel bel quadretto che (lasciatemelo dire), a volte ottusamente, chiamiamo tradizionale.
Paradossale dover ammettere che il mio karate è migliorato senza karate.
Non è difficile immaginare che i grandi karateka dividessero il tempo dedicato alla pratica tra tecnica e preparazione fisica, e che quella (preparazione) fosse necessariamente la sostanza della loro abilità, sicuramente sopraffina. Era la limatura della loro spada, la punta della loro lancia.
Paradossale dover ammettere che il mio karate è migliorato senza karate.
Riusciamo a immaginare un pugile che non salti la corda tre volte a settimana? Un triatleta che non eserciti i piegamenti a terra? E ancora, un nuotatore che non eserciti con costanza esercizi per rinforzare l’addome? Io no.
Il training funzionale prevede l’utilizzo del proprio corpo e di qualche strumento, con il fine di ottenere forza, potenza, esplosività e flessibilità mantenendo, anzi, favorendo l’atleticitá, fattore imprescindibile di qualsiasi attività sportiva o marziale che sia.
L’utilizzo di strumenti quali manubri, kettlebell, corde, elastici e sacchi, fa sì che il nostro corpo possa subire gli stimoli necessari al suo miglioramento, cercando costantemente di perfezionare la tecnica, affinché l’esercizio sia fisiologicamente corretto ed efficace dal punto di vista muscolo-tendineo.
… cercando di migliorare costantemente l’esecuzione alternandola a momenti di mindfulness.
Ho iniziato a dedicare tempo e studio a una disciplina (la chiamo così perché il potenziamento del proprio corpo senza utilizzo di macchine e con solo l’aggiunta di qualche attrezzo, questo è) che mi ha permesso di rinforzare, allungare e potenziare il mio corpo, fino a rendere il mio karate qualcosa di realmente praticabile, cercando di migliorare costantemente l’esecuzione e alternandola a momenti di mindfulness.
Il Karate è potentissimo, ma forse da solo non basta.
Vien da sé che uscire dai propri schemi mentali fa scoprire risorse altrimenti nascoste, che possono, non solo migliorare la nostra condizione, ma mettere in discussione delle errate convinzioni.
Poi ci sono karateka che sono fortissimi anche senza un allenamento funzionale ma questa è tutta un’altra storia.