La cosa che mi interessa per il futuro del karate è che non vada perduto il lavoro fatto dal M° Shirai in Italia e in Europa negli ultimi 50 anni e per questo mi piacerebbe vedere più collaborazione tra le varie Federazioni.
Il M° Cardinale (7° dan) nasce a Milano il 28.05.1965 e insegna Karate a Milano presso il dojo Shotokan Yudanshakai e il dojo Nikamon.
Si allena con assiduità sotto la guida del M° Carlo Fugazza e del M° Hiroshi Shirai.
Maestro, com’è nata la sua passione per il karate?
Ho iniziato la pratica del karate nel 1978 all’età di tredici anni con il M° Ennio Franzoia presso il Busen in Via Arese a Milano, una storica e famosa palestra di Judo diretta dal M° Cesare Barioli.
… seppur giovane, compresi che stavo entrando a far parte di quella che era l’elite del karate mondiale.
Chi è stato il suo primo maestro e che cosa ricorda del suo insegnamento?
I primi anni con il M° Ennio Franzoia sono stati molto duri. Ricordo Franzoia come un maestro estremamente preciso, corretto, ma molto severo. Mi ha dato delle ottime basi, ha contribuito a plasmare il mio carattere e a prepararmi nel modo migliore possibile a ciò che avrei dovuto affrontare successivamente, gli devo molto.
Oggi è uno dei migliori tecnici della FIKTA, si allena quotidianamente e mi fa l’onore di insegnare nel dojo fondato da me insieme al mio carissimo amico Maestro Acri, la Palestra Nikamon a Milano.
Ci racconta come e quando è iniziata la sua carriera agonistica? Lei ha conseguito molte vittorie importanti, sia mondiali sia europee, cosa ricorda di queste esperienze?
Mi allenavo molto, avevo un ottimo maestro e sicuramente avevo le doti naturali che servivano per emergere e, infatti, ebbi fin dalle prime competizioni da cintura marrone ottimi risultati. Iniziai a frequentare il Csak della Lombardia, le lezioni erano tenute dal M° Carlo Fugazza che allora era anche agonista e, come oggi, era uno dei miti del karate mondiale.
Dopo poche lezioni il M° Fugazza, che era anche allenatore della Squadra Nazionale di kata, mi prese da parte dicendomi che era alla ricerca di un nuovo componente della squadra nazionale juniores e che dopo pochi mesi si sarebbe svolto il Campionato Europeo a Skopje in Macedonia. Mi propose di andare due volte alla settimana, un’ora prima dell’inizio dei normali allenamenti, presso il dojo dove insegnava, la palestra Shotokan Yudanshakai in via Friuli a Milano. In quelle ore, in cui eravamo io e lui da soli, mi insegnò i due kata che pochi mesi dopo avrei dovuto eseguire al Campionato Europeo: Unsu e Gojushihosho.
Naturalmente iniziai anche a frequentare i corsi normali della Shotokan Yudanshakai che, a quel tempo, erano pieni di karateka molto più forti e molto più esperti di me. Volavano i pugni e arrivavavano i calci, ma non mi tirai indietro, pensai: prima o poi imparerò a pararli… In quel periodo mi allenavo tutti i giorni. Quotidianamente, dall’università, nel tardo pomeriggio andavo direttamente in palestra e ci stavo parecchie ore.
La mia prima esperienza in Squadra Nazionale andò bene, vincemmo la medaglia d’oro nel kata a squadre, i compagni erano Pasquale Acri e Christian Gonzales. Era il 1983.
Da quel momento fui completamente preso dal desiderio di migliorare, soprattutto perché, seppur giovane, compresi che stavo entrando a far parte di quella che era l’elite del karate mondiale, avevo a disposizione i maestri e i compagni di allenamento che in quel momento rappresentavano la miglior scuola di karate esistente al mondo guidata dal Maestro Hiroshi Shirai con cui iniziai ad allenarmi in ogni occasione possibile. Ero deciso a sfruttare l’opportunità che mi veniva offerta.
Erano gli anni in cui, ad alti livelli, cominciava a essere richiesta la specializzazione e, quindi, pur amando anche le competizioni di kumite, la maggior parte delle ore di allenamento agonistico le dedicavo allo studio dei kata. L’esperienza dell’agonismo fu esaltante anche se durissima, ma mi aiutò il clima amichevole e collaborativo nella formidabile squadra di cui facevo parte formata me, dal M° Pasquale Acri e dal M° Dario Marchini, guidati dal M° Carlo Fugazza come allenatore.
Vincemmo ininterrottamente tutto quello che era possibile vincere per molti anni: Campionati Italiani, Campionati europei e anche Campionati Mondiali.
Su tutte mi piace ricordare in particolare due vittorie: quella del Campionato Europeo di Oslo nel 1985, perché nella squadra c’era anche il Maestro Fugazza, e quella del Campionato Mondiale WUKO (oggi WKF) del 1990 a Città del Massico, perché fu un’impresa storica: per la prima volta la medaglia d’oro in un Campionato Mondiale di kata a squadre veniva conquistata da una squadra che non era quella giapponese!
La mia ultima competizione fu il campionato Mondiale ITKF in Brasile nel 1996, poi a 31 anni mi ritirai dalle gare; come amo ripetere “a quel punto iniziai a praticare karate sul serio”.
Iniziai ad allenarmi concentrato sul mio miglioramento personale e sull’insegnamento, senza avere la preoccupazione della vittoria in gara. Iniziai a seguire ovunque fosse negli stage nazionali, ma soprattutto in quelli internazionali, il M° Hiroshi Shirai ed è così ancora oggi.
Mi alleno e insegno karate ogni giorno della mia vita, nei weekend seguo gli stage del Maestro Fugazza o del Maestro Shirai o tengo corsi personalmente in Italia e in numerosi paesi europei, insomma, sono più le ore del giorno in cui indosso il karategi e sto a piedi nudi sul tatami di quelle in cui porto vestiti e scarpe… questo è il mio modo di praticare, quello che mi hanno tramesso i miei maestri.
Da quando Lei era un agonista a oggi, cos’è cambiato nella preparazione degli allievi e nel presente su cosa bisognerebbe operare maggiormente?
Quando avevo vent’anni il M° Fugazza mi propose di iniziare a insegnare karate presso il suo dojo, la Shotokan Yudanshakai di Milano, per me fu un immenso onore e da quel momento non ho mai smesso di dare il massimo per diventare un buon maestro di karate, seguendo tutti i consigli e copiando per quanto possibile il suo esempio. Da allora sono trascorsi trentacinque anni, durante i quali ho insegnato a bambini, adulti e anziani, amatori e agonisti, fino a portare alcuni allievi a conquistare prestigiosi trofei in campo internazionale.
Rispetto al passato, quello che oggi è cambiato non è la parte tecnica dell’insegnamento, ma la vita delle persone e, quindi, la loro mentalità. Quello su cui oggi bisogna lavorare di più sono l’aspetto educativo e l’aspetto psicologico. Oggi è molto più difficile ottenere l’impegno e la dedizione degli allievi. La fatica, l’impegno e il duro lavoro fanno molta più paura di trent’anni fa. È come se chi venisse in palestra oggi per iniziare a praticare karate partisse da un punto molto più arretrato rispetto a chi lo faceva anni fa, non è una debolezza fisica, ma una debolezza mentale.
Proprio per questo nella società di oggi e per i giovani è ancora più importante e utile il ruolo di un Maestro di karate.
Per la prima volta la medaglia d’oro in un Campionato Mondiale di kata a squadre veniva conquistata da una squadra che non era quella giapponese!
Nella sua formazione personale vi sono altre esperienze che possono avere arricchito il suo “bagaglio marziale”?
Non ho praticato altre arti marziali o altri stili di karate, ho avuto l’opportunità di accostarmi al Karate Shotokan Tradizionale e, traendone soddisfazione, ho preferito andare il più possibile in profondità su questa strada piuttosto che disperdere le energie seguendo altre vie.
Quando ha conseguito la qualifica di maestro e quale incarico ha all’interno della FIKTA?
Ho ottenuto la qualifica di Maestro nel 1996, dopo aver seguito il corso e sostenuto il relativo esame FIKTA. Praticamente è stato in concomitanza con il ritiro dalle competizioni, quando ho deciso di dedicare la mia vita all’insegnamento del karate. Sono poi stato per parecchi anni allenatore della Squadra Nazionale di kata e oggi mi occupo degli “Azzurrabili”, cioè il vivaio delle giovani promesse del karate italiano da cui vengono selezionati i nuovi elementi per la Squadra Nazionale.
Che cosa l’ha motivata a percorrere anche la strada dell’insegnamento? Trova differenze tra i metodi con i quali lei ha appreso e come s’insegna oggi?
Credo che raggiunto un certo livello sia quasi un dovere insegnare e che l’insegnamento ci regali un’ulteriore maturazione anche della tecnica.
La principale motivazione nell’insegnamento è per me il desiderio di non tenere solo per me, ma di restituire ad altri, il prezioso bagaglio di conoscenze che è stato consegnato a me. Mi impegno perché questo tesoro non vada disperso.
Gradualmente è stato bellissimo scoprire che amavo insegnare e che stavo imparando dai miei allievi, anche se sotto aspetti diversi, almeno tanto quanto ho appreso dal mio Maestro.
Il metodo di insegnamento di molti anni fa era più duro e quindi l’apprendimento era più veloce. Quando prendi un pugno sulla faccia per due volte la terza volta, probabilmente, farai di tutto per capire come si fa a pararlo… Oggi l’allenamento è più “gentile”, quindi, la progressione più lenta e il vantaggio è che le lezioni sono affrontabili da tutti, anche da chi anni fa avrebbe rinunciato dopo poche lezioni.
Quali sono i capisaldi del suo insegnamento e che cosa non dovrebbe mai fare un maestro nei confronti dell’allievo?
L’insegnamento per me è trasmettere ad altri quello che il mio maestro ha trasmesso a me, è un modo di trasferire agli altri l’educazione e l’energia positiva attraverso la tecnica.
Per motivare gli allievi bisogna instaurare con loro un profondo rapporto basato su fiducia ed empatia, senza le quali la trasmissione dell’insegnamento non funzionerebbe. Un maestro non dovrebbe mai credere di essere migliore di un suo allievo, nella mia esperienza tante volte sono stati gli allievi a insegnare molto a me.
Qual è la cosa più preziosa che il karate le ha insegnato e il più grande beneficio che il karate apporta oggi alla sua vita quotidiana?
Io pratico karate e lo insegno tutti i giorni semplicemente perché mi sono reso conto che questo mi rende una persona migliore nella vita di tutti i giorni, mi fa sentire bene fisicamente, ma soprattutto mentalmente.
Secondo lei, quali “valori aggiunti” ha oggi il karate del M° Shirai, rispetto ad altre scuole? Ritiene ci sia qualcosa che ancora potrebbe essere maggiormente incentivato?
La cura e l’attenzione che il Maestro Shirai ha avuto per noi hanno fatto sì che la nostra scuola, rispetto alle altre, sia ad altissimo livello dal punto di vista tecnico. Definirei il Maestro Shirai uno scienziato del karate. La costanza con la quale ha perseguito e ancora oggi persegue il miglioramento di ogni singolo aspetto del Karate-do ha permesso di formare in Italia un gruppo enorme di insegnanti di altissimo livello. Forse si potrebbe ulteriormente incentivare la sinergia e la collaborazione attiva tra tutti questi tecnici di altissimo livello.
Durante l’emergenza sanitaria a causa del Covid-19 anche lei ha usufruito della comunicazione in Rete con gli allievi, quali impressioni ne ha tratto?
Il mio modo di concepire la pratica del karate era quanto di più lontano ci fosse dall’insegnamento in rete davanti a una telecamera, quindi, ero molto scettico, ma ho dovuto ricredermi…
Per me l’allenamento è sudore, contatto fisico con gli allievi, piedi sul tatami, non è guardare un video. Invece, mi sono accorto che insegnando davanti a una telecamera, davanti a centinaia di allievi sparsi in tutto il mondo, mi impegnavo tantissimo, sudavo tanto ed era un ottimo allenamento anche per me. Le lezioni online hanno avuto enorme successo, molti mi hanno scritto o chiamato per comunicarmi che le ritenevano molto utili. Per esempio, oltre ad affrontare il problema dalla chiusura delle palestre, sono state anche un’ottima occasione per permettere di allenarsi a nostri allievi residenti all’estero o impossibilitati a raggiungere la palestra a causa degli impegni familiari o di lavoro. Con gli allenamenti online hanno ripreso ad allenarsi persone che avevano smesso da anni!
Ovviamente l’allenamento online non può e non deve sostituire le lezioni in palestra, ma in un periodo drammatico come quello che abbiamo vissuto sarebbe stato sbagliato abbandonare i propri allievi e non cercare di fare tutto il possibile per praticare comunque l’arte marziale che amiamo.
Il Covid è stata una sfida anche per noi Maestri, ma è stata una sfida che abbiamo vinto.
Un maestro non dovrebbe mai credere di essere migliore di un suo allievo, nella mia esperienza tante volte sono stati gli allievi a insegnare molto a me.
Cosa auspica per il futuro del karate, cosa le piacerebbe “vedere o non vedere” più?
L’unica cosa che mi interessa per il futuro del karate è che non vada perduto il lavoro fatto dal Maestro Shirai in Italia e in Europa negli ultimi cinquant’anni.
Per questo mi piacerebbe vedere più collaborazione tra le varie Federazioni di Karate, ma anche tra i vari Maestri all’interno della nostra federazione. Mi piacerebbe che fosse dato più spazio ai giovani che hanno dimostrato di essere validi e che hanno voglia di intraprendere nuovi progetti per il rilancio del karate tradizionale. Mi piacerebbe non vedere più persone incompetenti che parlano e addirittura insegnano cose che non conoscono. Ai fini della divulgazione del karate-do che ci ha insegnato il Maestro Shirai mi piacerebbe vedere maggiormente sfruttati e premiati l’impegno e l’intraprendenza, la competenza e la professionalità.
Grazie all’immenso lavoro svolto dal Maestro abbiamo raggiunto un altissimo livello tecnico, ma resta ancora molto da fare sotto l’aspetto dell’immagine, della comunicazione e dell’organizzazione. Il fatto che pratichiamo karate cosiddetto “tradizionale” non vuole necessariamente dire che dobbiamo utilizzare ancora metodi organizzativi e comunicativi obsoleti.
Quali sono i suoi progetti futuri?
Dopo tanto tempo di pratica ho ancora molto da imparare dal mio Maestro e dai miei allievi, se loro me lo permetteranno ho intenzione di ascoltarli con attenzione e seguirli per tanti anni a venire sulla strada che mi indicheranno.