A Lavinio (Roma) lo stage di kata Bunkai di Sensei Hiroshi Shirai 25.01.2020
Il 25 gennaio del 2020, da me organizzato a Lavinio, Roma, in collaborazione con le ASD Taikyoku Karate Kai di Roma e Taiji Kase Lavinio del Maestro ed amico fraterno Dino Sossi, si è tenuto il 14° stage di kata bunkai di Roma del Maestro Hiroshi Shirai.
La mia gratitudine va a tutti i Maestri e praticanti intervenuti da Lazio, Umbria e Campania. Un grazie caloroso va agli allievi dell’ASD Taikyoku Karate Kai di Roma, l’Associazione di cui sono socio fondatore e in cui insegno, coadiuvato dal mio amico di sempre, il Maestro Roberto Schicchi. Rappresentiamo l’Associazione che ha partecipato con il maggior numero di iscritti allo stage.
Ma naturalmente, la mia gratitudine va al mio caro amico, il Maestro Dino Sossi, cortese e ospitale come sempre. Predisporre la sala per l’allenamento non è uno scherzo, me ne rendo conto quando, alla fine dell’allenamento, aiutati dagli allievi del Maestro Luca Pavoni e da quelli della stessa Taiji Kase Lavinio, rimettiamo tutto a posto, perché il lunedì l’attività riprende… È bello vedere il grande affetto con cui queste persone si prodigano per la riuscita dell’evento.
Infine, la mia gratitudine va al Sensei, quattordici anni fa mi disse: “Enrico san, facciamo per nove anni, né? Poi basta!” e invece, questo evento per lui è diventato un caposaldo irrinunciabile che non accenna a perdere di carica affettiva. Sono quindi particolarmente grato e orgoglioso per la fiducia che ogni anno mi rinnova.
Guardando le competizioni “moderne” si può osservare quanto il concetto di “forma” venga continuamente stravolto.
Veniamo al dunque, nelle due ore e mezza di lavoro, partito come sempre con “abbondante anticipo” sulla tabella di marcia, abbiamo svolto l’ennesima evoluzione del bunkai del Kata Hejan Sho Dan, Tekki Ni Dan e del Fudo no Kata.
Il Karate del Maestro ormai è un metodo assolutamente unico e interdipendente, nel quale i concetti di Goshin, difesa, soprattutto dello spirito e subordinatamente della persona, sono lo spartito di lettura di un lavoro minuzioso di evoluzione di una disciplina arrivata in Italia, ma potremmo dire anche nel resto del mondo, circa sessant’anni fa.
Ciò non toglie che questa disciplina tragga la sua origine da ben altri e più arcaici scenari. Questi, l’hanno vista tramutarsi, proprio partendo dal concetto di autodifesa, di natura per definizione letale, passando, attraverso l’”evoluzione” sportiva, in un’attività che con l’archetipo iniziale non ha più molto da condividere.
Guardando le competizioni “moderne” si può osservare quanto il concetto di “forma” venga continuamente stravolto, tanto nel kumite (combattimento), quanto nel kata (esercizio per l’appunto di forma), in ragione di un unico scopo: la velocità/spettacolarità d’esecuzione. Ma, il karate, è arte marziale? La domanda, apparentemente retorica è necessaria, perché se si vuole continuare a denominare una disciplina con questo nome occorre non prescindere dalla sua caratteristica primaria.
Per un samurai, ad esempio, in caso di grande equilibrio con l’avversario, era accettabile il concetto di lasciarsi raggiungere da un colpo non letale, in maniera strategica, onde ottenere un’opportunità di vittoria. In questa accezione la velocità è e dovrebbe rimanere subordinata alla correttezza formale del gesto.
Lo spirito del praticante è costantemente ostacolato dall’attività mentale parassita e dai retro pensieri dell’Ego.
In questo senso, il Karate diventa Goshin ed ecco cosa significa “autodifesa”, soprattutto dello spirito. Lo spirito del praticante è costantemente ostacolato dall’attività mentale parassita e dai retro pensieri dell’Ego. Ecco quindi che la conoscenza della forma, integrata costantemente nella pratica, determina la competenza necessaria alla spontaneità istintiva dei gesti. Tale competenza si estrinseca in un’esecuzione del tutto naturale e, quindi, preconscia.
Questa caratteristica rende il praticante un semplice tramite tra una conoscenza espressa in un metodo e la sua realizzazione fisica.
Ecco perché, nella pratica del metodo creato e sviluppato dal Maestro, ci sono questi continui, apparenti, “cambi” di tema, semplicemente perché le cose, in quest’ambito non sono e non possono essere divise e immutabili.
Sul tatami si sono alternati i Maestri Di Mauro e Saffioti, con l’aggiunta del Maestro Torre, sotto l’incessante e minuzioso controllo del Maestro Shirai.