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Kyouka Renshu Kata Hyakkai: 100 volte Bassai Dai

Kyouka Renshu Kata Hyakkai: 100 volte Bassai Dai
I partecipanti da sinistra: Cosimo Basilisco, Giuliano Russo Palombi, Vito Ciao, Alfonso Gargano, Alberto Bacchi, Bonaventura de Felice, Massimo Grieco, Tiziana Liguori, Carmine Galluzzi, Angelo Galluzzi.

14.09.19 Un’ora e venticinque minuti senza respiro presso l’Asd Jishin-do del M° Bonaventura de Felice su iniziativa del M° Bacchi.

“Il respiro… mio dio… il respiro non mi dà abbastanza aria!
E il sudore… il sudore che stilla negli occhi e vorresti asciugarti, ma non puoi. La sete… la gola piena di sabbia… qualche crampo allo stomaco…
80.
… più nulla!
La trance, che già avevo sperimentata anni e anni fa, è giunta improvvisa.
E allora un po’ più basso, un po’ più forte, un po’ più convinto un po’ più… Bassai Dai!
Ho sorriso tra me e me e ho pensato… ‘Ce la faccio, babbo. Ce la faccio’.
90.
La ‘fortezza’ comincia a sgretolarsi, quella fortezza che dovrei penetrare con la prima tecnica, comincia solo ORA a sgretolarsi. Ed è bellissimo.
È come quando dopo tanto cammino cominci a vedere la cima e sai, tu LO SAI, che ci arriverai.
100.”

(Del M° Massimo Grieco partecipante allo stage.)

Non si sa con certezza l’origine di questo Kata. Si pensa derivi da un’antica forma cinese, insieme ad altri Kata giunti alle isole Ryukyu nei primi anni dell’Ottocento. Il nome originale di Okinawa era Passai o Patsai, il cui significato originario è “rompere in pezzi”, trasformato poi in Bassai dal M° Funakoshi «attraversare, o distruggere, la fortezza».

Ciò che avviene è un incontro profondo con se stessi, un conoscersi e un accogliersi che va molto al di là della mente e dei significati.

Un’ora e venticinque minuti senza respiro: 100 Bassai Dai, uno di seguito all’altro, eseguiti il 14 settembre 2019 presso l’Asd Jishin-do di San Vito di Montecorvino Pugliano (SA) del M° Bonaventura de Felice, su iniziativa del Commissario straordinario della Campania M° Alberto Bacchi.
Il raggiungimento dell’obiettivo dei “100” ha assunto duplice chiave di espressione e di lettura a valenza emotiva e/o cognitiva, a seconda della storia del praticante e del suo modo di esprimerle nell’esecuzione dei gesti tecnici.
Tali gesti ritmati e cadenzati attraverso una verbalizzazione numerica del M° Bacchi, segnano il ritmo del tempo che passa e dell’impresa che si anela a raggiungere. 

Il M° Alberto Bacchi inizia a scandire e a eseguire il kata con noi: 1, 2, 3, … 99, 100 e ognuno che esegue il kata allo stesso ritmo… 20, 30, 40… la fatica prende il posto della disperazione, la trance marziale prende il posto del dolore e, mentre le ginocchia s’infiammano, la mente viaggia e poi si ferma, decelera e poi accelera.
Tale stato, reiterato nel tempo, si accompagna alla percezione di essere, di sentirsi, come un osservatore esterno della propria esistenza, come uno “stare” in silenzio con se stessi, permettendo a ogni movimento interiore di essere così com’è e, così facendo, ciò che avviene è un incontro profondo con se stessi, un conoscersi e un accogliersi che va molto al di là della mente e dei significati. È  l’occasione in cui ci sentiamo pienamente vivi e da quel momento guardiamo il mondo con occhi nuovi e con una consapevolezza che non viene dalla mente, ma dalla Vita stessa, mentre si sperimentano attraverso il corpo l’apertura, l’interazione, l’esplorazione, la chiusura e l’ascolto… il ritmo di carica-scarica, del respiro che entra ed esce.

Si sperimentano attraverso il corpo l’apertura, l’interazione, l’esplorazione, la chiusura e l’ascolto.

La sfida non prescinde da una dimensione di sistema-gruppo il cui nesso e la cui interdipendenza diventano una spinta a non cedere e così è possibile stabilire comunanze senza trascurare se stessi, riconoscendosi nel gruppo senza confondersi con esso.
Il riconoscersi avviene nell’esecuzione del kata, dei 100 Bassai Dai, che diviene il traguardo di tutti. Essere parte di più universi relazionali permette di fungere da sostegno alla dura lotta, ai fantasmi del cedimento fisico e mentale, di apprendere che da soli, forse, l’obiettivo diventa realmente irraggiungibile.
Il gruppo diventa lo stimolo, ma l’individuo comprende che tra il desiderio di farcela e la paura del fallimento esiste uno “spazio vuoto”: il vuoto interpersonale che si sente sotto sforzo boicotta le difese psicologiche, cioè quei meccanismi che la mente utilizza, tendenzialmente in modo automatico e inconsapevole, per difendersi dal dolore e dall’angoscia”. 

Il karateka mantiene forte la concentrazione su tutto quello che si verifica nel corso dell’intenso allenamento ed elabora una tecnica dopo l’altra come un fronteggiare un problema alla volta, mantenendo vivo lo “spirito marziale 

… la strada migliore verso il cambiamento è quella delle emozioni più che quella della presa di coscienza.

Il cambiamento più importante per noi anche dal punto di vista tecnico, è stato quello dell’uso delle emozioni, cioè della scoperta delle emozioni e della loro importanza […] L’idea che è sempre stata più confermata è che la strada migliore verso il cambiamento è quella delle emozioni più che quella della presa di coscienza […] e le emozioni possono essere messe anche in relazione al discorso dell’empatia, sono l’empatia”.
(P. Bertrando, D. Toffanetti, Storia della terapia familiare. Le persone, le idee, Milano, Raffaello Cortina, 2000.)

PS: tutti i partecipanti hanno raggiunto l’obiettivo.

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