Incontriamo Claudio Galli, campione di volley, commentatore sportivo e formatore.
Claudio “Indurain” Galli è il soprannome che gli ho dato io. Col campionissimo navarro di ciclismo condivide non solo il giorno di nascita [Milano 12.07.65 n.d.r.], ma anche la signorilità dei modi e una concezione seria, rigorosa, un po’ distaccata della vita e dello sport. Non a caso è un lettore interessato alla filosofia buddista.
Quando giocava a volley ha vinto tutto ciò che c’era da vincere, a parte le Olimpiadi. Oggi è uno speaker, un life coach, ma soprattutto un noto commentatore televisivo per Rai Sport, insieme al suo “compagno di merende” il giornalista ligure Marco Fantasia. In coppia conducono telecronache all’insegna di competenza, affiatamento e leggerezza. In passato è stato anche agente per diversi giocatori.
Lo incontriamo mentre è alle prese con un libro che ripercorre parte della sua brillante carriera, specie gli anni giovanili.
Chi mai al giorno d’oggi pianificherebbe qualcosa per ottenere risultati dopo dieci anni?
A proposito, vogliamo parlare per l’ennesima volta della “generazione di fenomeni” e del progetto di Pittera?
Quella che è stata definita generazione di fenomeni è l’esempio migliore di come la programmazione unita alla lungimiranza (dei vertici Coni e Fipav dell’epoca), sposandosi con una visione di persone intelligenti e preparate, possano portare risultati straordinari. Ricordo che Carmelo Pittera era l’allenatore della Nazionale di pallavolo che nel ‘78 ottenne uno straordinario argento ai Mondiali di Roma, dal giorno stesso cominciò a elaborare un progetto per creare una squadra che potesse ambire a vincere quel titolo mondiale e cominciò una selezione capillare sul territorio italiano di ragazzini di 13/14 anni per formare una squadra di campioni sportivi. Quel gruppo cominciò a vincere nell’‘89 a dieci anni dall’inizio del progetto. Chi mai al giorno d’oggi pianificherebbe qualcosa per ottenere risultati dopo dieci anni?
In che rapporti siete oggi?
Rapporti splendidi ma, purtroppo, sporadici.
Con Pittera c’incontriamo ogni tanto a pranzo (abitiamo molto distanti) – Carmelo Pittera è siciliano – e mi aggiorna sui suoi splendidi progetti, che ora sono rivolti all’attività motoria di base per i bimbi. È soprattutto uno scienziato e la sua voglia di conoscenza, d’imparare e di provare nuovi progetti mi contagia tutte le volte.
Come definiresti la situazione del volley italiano oggi?
Bivalente: nel femminile siamo un movimento in grandissima ascesa di praticanti, sia a livello di base sia di vertice, mentre nel maschile soffriamo la mancanza di un contatto forte con le scuole per cercare di avvicinare i giovani al nostro sport. Purtroppo, c’è una contrazione gravissima nel numero di tesserati maschili che è falsamente mitigata dal tesseramento di atleti più giovani (minivolley), un po’ come accade per l’equitazione con i pony games. Questa crisi di praticanti si riflette anche sugli atleti italiani di alto livello, determinando un serio problema di competitività per la nostra Nazionale.
(Curiosità: Claudio era iscritto a Filosofia alla Statale di Milano, talmente appassionato degli esistenzialisti da leggersi Sartre direttamente in francese). Sulla base della tua esperienza da giocatore e da coach, mi lasci una definizione semplice e comprensibile della resilienza?
La resilienza è uno degli aspetti fondamentali, a mio avviso, per migliorare la nostra qualità della vita, ovvero il modo in cui la percepiamo. Banalizzando potremmo dire che la resilienza è la capacità di affrontare le avversità in maniera positiva.
Durante allenamenti e competizioni, come fa il coach a ottenere dal gruppo una corretta gestione della fatica, dello stress, dell’ansia da risultato?
Personalmente credo molto nell’individualità come base per una migliore collettività. Siamo tutti diversi e come tali anche la modalità di approccio alle dinamiche mentali della competizione sportiva deve essere affrontata singolarmente, così come la preparazione fisica viene anch’essa personalizzata. Le tecniche per affrontare stress e ansia da prestazione sono diverse e bisogna trovare la via più efficace per ciascuno.
Siamo tutti diversi e come tali anche la modalità di approccio alle dinamiche mentali della competizione sportiva deve essere affrontata singolarmente.
Autocontrollo: è necessario e sufficiente per una performance di alto livello?
Quello che viene definito autocontrollo ritengo sia utile soprattutto nella fase di gestione dei corretti tempi e modi di allenamento, alimentazione e riposo. Nel momento della competizione entrano in gioco una molteplicità di aspetti che risultano altrettanto, se non più, importanti. Poi, ogni disciplina sportiva ha peculiarità differenti.
Come si fa a coltivare la speranza, contro il pensiero di una negatività ineluttabile?
Pensare positivo è un’arte che, a mio avviso, andrebbe insegnata nelle scuole alla pari delle relazioni interpersonali e come tale è un percorso di apprendimento nel quale è fondamentale la predisposizione della persona. Qualunque cambiamento importante presuppone che l’individuo lo voglia realmente per poterlo raggiungere.
Esistono i “kamikaze” nello sport?
Io penso che una persona sia sempre se stessa in ogni ambito della vita e nel modo in cui l’affronta. Da questo punto di vista chi è kamikaze nello sport lo è anche nella vita e viceversa.
Prova a descriverci il dovere e il valore della cultura dell’impegno nello sport agonistico.
Anche qui è difficile scindere la vita dallo sport. L’impegno per il raggiungimento dell’obiettivo e la focalizzazione sull’obiettivo stesso sono fondamentali nello sport come nella vita. Un aiuto importante da questo punto di vista lo fornisce l’abbandono della cultura degli alibi, ma anche questo sarebbe un argomento lunghissimo da affrontare e non è questa intervista la sede…
Quanti sacrifici sono realmente necessari per superare gli ostacoli, di qualsiasi natura? Esistono soluzioni “magiche” ai problemi?
Non credo si possa fare una quantificazione dei sacrifici, sicuramente non esistono scorciatoie e raccomandazioni. Il bello dello sport è che è uno dei pochissimi ambiti in Italia dove vige la meritocrazia. Chi fa la performance migliore vince, punto.
Quale rapporto hai con l’alimentazione e le diete? Cosa ti senti di consigliare agli agonisti?
Come dico spesso, l’alimentazione è uno dei tre capisaldi della buona pratica sportiva, ma è fondamentale anche nella vita quotidiana. Avere un fisico migliore comporta maggiore sicurezza di sé e, di conseguenza, migliori rapporti umani con le altre persone e una vita più soddisfacente. Se consideriamo che il 70% della nostra forma dipende dalla sana alimentazione e il 30% dall’attività fisica ci rendiamo conto come questa sia importante. Anche qui è fondamentale la costanza e per questo mi sono avvicinato a un progetto alimentare che permette di ottenere risultati visibili attraverso una sana alimentazione senza rinunce e costrizioni, non ho mai creduto a diete e integratori.
Lavoro di squadra: il rapporto ideale tra atleti e allenatori?
Soprattutto con i ragazzi giovani l’allenatore deve essere anche un ottimo educatore, oltre che un grande insegnante della tecnica sportiva. Da questo punto di vista stiamo proponendo dei percorsi formativi che permettano anche agli allenatori di acquisire competenze e metodologie di lavoro in tal senso.
Qualunque cambiamento importante presuppone che l’individuo lo voglia realmente per poterlo raggiungere.
A proposito, chi è davvero il maestro?
Il vero maestro è l’atleta stesso, solo con la fiducia nel proprio allenatore si ha la giusta predisposizione per imparare la tecnica e la tattica migliori e, come si dice spesso, è l’atleta il primo allenatore di se stesso.
Riesci a trasferire ai bambini il tuo approccio allo sport?
Personalmente non ho tantissimi rapporti continuativi con i mini atleti. Qui entra in gioco l’empatia personale e riconosco che ci sono persone molto più brave di me. Il mio obiettivo primario sarebbe di trasferire ai genitori un corretto approccio alle dinamiche sportive e lasciare gestire a loro e agli allenatori i rapporti con i piccoli atleti. Per ottenere risultati servono tempo, fiducia e assiduità anche in questo campo.
Livio Berruti, in una recente intervista, ha discettato di pregi e difetti di sport individuale e di squadra, tu cosa ne pensi? Si possono affiancare nella pratica?
Credo che ogni sport abbia caratteristiche assolutamente personali, però ritengo anche che conoscere le problematiche che sport diversi e competizioni diverse ti mettono davanti sia il modo migliore per apprendere e, quindi, per essere pronti anche a trovare soluzioni differenti. Questo ben oltre alle usuali differenze che vengono indicate tra sport di squadra e individuali.
Provocandoti un po’… Ti senti “figlio di un Dio minore” per il fatto di poter commentare solo le gesta delle donne?
Eh?! Commento anche il maschile e, comunque, la pallavolo è lo sport di squadra più importante al mondo in campo femminile, quindi è un onore.
Lo sport è anche business? Nello sport agonistico ormai c’è una pletora di grandi manifestazioni, siamo sicuri che questo affollamento sia positivo?
Lo sport è anche business e questo ha risvolti sia positivi sia negativi, è un dato di fatto. Nella pallavolo internazionale il proliferare di tornei e manifestazioni è negativo per i campionati nazionali, che sono sempre il primo veicolo per aumentare i praticanti e che risultano troppo compressi per gli atleti di vertice, i quali non hanno più il necessario e corretto tempo di riposo per il proprio fisico, come dimostra l’aumento degli infortuni, nonostante il grande miglioramento delle tecniche di preparazione fisica.
Sport e politica: Coni, federazioni, l’attuale politica sportiva, chi ne trae vantaggio? L’attuale governo (proposta del sottosegretario governativo allo sport Giorgetti) vuole limitare l’autonomia direttiva e finanziaria del Coni per passare poteri al ministero competente e lavorare molto sulle eccellenze per trascinare la base, pensi sia la strada giusta?
Non mi sono mai interessato di politica sportiva. C’è molta strada da fare sicuramente, in Italia esiste un importante finanziamento pubblico dello sport e, da questo punto di vista reputerei corretto che venissero rendicontate le spese e i risultati ottenuti, così come ritengo sarebbe giusto far fare dei rendiconti di questo tipo in ogni campo dove c’è il finanziamento pubblico, come nel sociale e nella sanità.
Il bello dello sport è che è uno dei pochissimi ambiti in Italia dove vige la meritocrazia.
Sport e scuola: Talcott Parsons affermava che le istituzioni scolastiche sono funzioni indispensabili nel nostro tipo di società per la trasmissione di sapere, valori e memoria, tu concordi?
Concordo, ma penso anche che la scuola andrebbe profondamente riformata. Gli insegnanti, come gli allenatori, sono educatori e dovrebbero seguire corsi di aggiornamento in tal senso, non possono limitarsi all’insegnamento di una materia. Anche gli argomenti trattati nelle scuole dell’obbligo dovrebbero essere profondamente rivisti. Superare il nozionismo dando competenze per affrontare le problematiche della vita e il mondo del lavoro fornendo una capacità critica individuale. Questi dovrebbero essere gli obiettivi primari della scuola al giorno d’oggi.
Il senso libro che stai scrivendo: perché adesso e cosa significa, autobiografia a parte.
Il libro che abbiamo quasi finito di scrivere – con il giornalista Alessandro Ruta – non sarà un’autobiografia. Sarà la storia e lo sviluppo di quello che è stato il progetto sportivo più riuscito e lungimirante che lo sport italiano abbia conosciuto, visto attraverso l’esperienza e gli occhi di un ragazzino che ha dato tutta la vita allo sport e che dallo sport tutto ha avuto…