Nel ciclo di vita che sta dietro un bambino che sceglie di praticare karate c’è una famiglia che, in punta di piedi, entra nel Dojo.
“Non vi è casa che non custodisca nella propria cantina o negli scatoloni della soffitta i miti della famiglia che la abita, ovvero quelle chiavi di lettura della realtà (e di se stessa) ricevute in eredità dai propri antenati.”
Nella storia, nel ciclo di vita che sta dietro un bambino che sceglie di praticare karate c’è una famiglia che, in punta di piedi, entra nel Dojo priva di qualsiasi conoscenza sia del contesto, sia del maestro al quale affida il proprio figlio per iniziare questa disciplina.
La “cura” del bambino perciò non può prescindere dalla cura del sistema famiglia, il quale porta con sé il proprio modo di saper essere e di saper fare, un modo che non può essere trascurato da colui al quale implicitamente viene richiesto, oltre al funzionamento di questa attività, anche affetto, accudimento e gestione di limiti e risorse presenti nel piccolo praticante: il maestro.
La cura rimanda a un’idea di protezione che diventa il principale strumento di lavoro.
Appare evidente, quindi, come anche la scelta dojo/maestro non coinvolga solo due persone, bensì la complessa trama di rapporti affettivi (genitore-figli, coppia genitoriale, relazione tra i compagni di allenamento…) che diventano il motore portante e il frutto di tutte le variabili intra ed extra individuali.
La cura rimanda a un’idea di protezione che diventa il principale strumento di lavoro che s’instaura nella relazione creatasi con il tempo, a piccoli sorsi, in un clima di reciproca fiducia che conduce, attraverso il lavoro assieme, al raggiungimento degli obiettivi condivisi.
L’ingresso risulta essere sempre complesso in quanto, in base alle caratteristiche presenti nella persona, s’inizia a delineare un gioco di forza in cui allievo e maestro si sfidano a “colpi di karate”. Per entrare nel suo mondo e nel suo modo di essere, il bambino spesso attiva una pseudo provocazione, dapprima non rispettando le regole, successivamente evadendole quando lo ritenga necessario alla propria “sopravvivenza” in un contesto inizialmente a lui sconosciuto.
Diversi sono i modi per attivare questa modalità: o attraverso un silenzio prolungato per cui, anche se sollecitato con domande, il bambino non risponde (oppositività e/o messa alla prova), oppure attraverso dei movimenti corporei eccessivi (iperattività), situazioni che, in entrambi i casi, attivano il maestro ad avviare nuovamente lo script dell’inquadramento delle regole che, in questa fase iniziale, risulta essere di fondamentale importanza (a volte risultare ripetitivi e ridondanti rientra in un modo di interiorizzazione delle regole). Ovviamente, tale intervento deve avvenire sempre nel rispetto del modo d’essere del bambino.
L’endurance dei rapporti che s’instaurano con i singoli allievi pongono, quale fulcro centrale, la famiglia come risorsa.
In questa fase anche il maestro ha necessità di esplorare il mondo interno del piccolo praticante e le motivazioni che sottendono all’attivazione di un comportamento poco incline alla specifica dell’attività. Nell’iniziale conoscenza quindi, la dinamica “Io posso tu non puoi”, “Lo faccio anche se tu mi dici di no”, diventa il principale motore della co-costruzione di un legame/rapporto che, se ben coltivato, diventerà duraturo nel tempo.
L’endurance dei rapporti che s’instaurano con i singoli allievi pongono, quale fulcro centrale, la famiglia come risorsa: accoglierla significa riuscire a vedere il mondo interno del bambino e a comprendere che determinati tipi di atteggiamenti non sono sempre legati a un disagio sociale, ma a un meccanismo acquisito e interiorizzato di vivere le relazioni; in effetti la disciplina del karate richiede di reinterpretare il dato reale in base al contesto e/o alle modalità di allenamento.
La reinterpretazione, avviene in seguito alla continua ridefinizione del rapporto/legame: un modo reciproco di entrare sia nel mondo interno del maestro – che il bambino prima di amare deve “attaccare” –, sia in quello del praticante, che il maestro deve imparare a contenere e a comprendere nel suo vissuto. Questo lavoro, coadiuvato da quello dei genitori, diventa dinamico e collaborativo nel momento in cui il sistema triadico (genitori-figli-maestro) si trova in sinergia con funzioni e modalità simili, ma anche diverse, nel prendersi in carico necessità, bisogni e curiosità di un karateka in erba.
Tale sinergia è possibile solo se, oltre al rispetto delle competenze, vige un tacito consenso sottoscritto dall’affidamento e dalla fiducia bidirezionale, che entra in atto già dal primo incontro tra maestro e genitori: quest’ultimi chiedono informazioni e funzionamento (orari, giorni, età di iscrizione etc.) e il maestro, eventualmente, può dare la possibilità di un periodo di prova, in cui il bambino possa comprendere il piacere d’iniziare questa disciplina e il genitore supervisiona la sua serenità con l’esplorazione dell’ambiente, dandosi il tempo di rispondere all’esigenza di uno spazio dedicato al proprio benessere e a quello dei figli.
Il concetto di rete può essere considerato un modo per definire la realtà di una persona.
Il maestro diventa un genitore sociale con funzioni genitoriali sia normative sia regolative, consistenti nella capacità di dare dei limiti, una struttura di riferimento e una cornice.
Parlando di rete, in ambito sociale intendiamo l’insieme di relazioni esistenti tra persone, anche se queste non necessariamente s’incontrano nello stesso momento e nello stesso luogo. I NODI rappresentano gli individui, i gruppi, le organizzazioni, mentre le LINEE identificano l’insieme delle relazioni. Il concetto di rete può essere considerato un modo per definire la realtà di una persona, cioè il significato che questa attribuisce alle relazioni, al contesto in cui vive e, viceversa, il significato che gli altri, le relazioni e il contesto attribuiscono alla persona stessa e all’adulto di un domani.
Nota bibliografica
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Salvinia A., Analisi delle reti sociali. Teorie, metodi, applicazioni, Franco Angeli Editori, 2017.
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Bowlby J., traduzione di Viviani S. e Tozzi C., Costruzione e rottura dei legami affettivi, Collana Psicologia n.1, Milano, Raffaello Cortina, 1982.