Lo stupido è colui che non sa usare la mente, il saggio è colui che può fare a meno della mente.
Di Susanna Rubatto
Discendente dalla famiglia dell’ultimo imperatore vietnamita Bao Dai, il M° Bao Lan nasce a Quang Tri (Vietnam), il 5 marzo 1954.
Fin da giovane pratica arti marziali dedicandosi a varie discipline, tra le quali Judo e Tae Kwon Do, ma le vere passioni sono Viet Vo Dao e Vo Co Truyen, dove consegue il grado di Istruttore.
Da quando nel 1972, giunse in Italia, grazie al suo costante lavoro, il Viet Vo Dao si è largamente diffuso in Veneto e Lombardia, con palestre seguite da qualificati istruttori ai quali il Maestro ha sempre trasmesso non solo la vera tradizione delle Arti Marziali, ma anche la filosofia e la cultura del popolo Vietnamita.
Se l’energia nel nostro corpo circola bene avremo del benessere, se invece è bloccata … prima o poi comparirà una malattia…
Ogni anno il M° Bao Lan torna in patria per continuare lo studio delle Arti Marziali Tradizionali, del combattimento e della medicina tradizionale.
Amico di tutti i praticanti delle Arti Marziali, tiene spesso seminari e stage aperti a tutti gli stili. La sua impostazione tradizionale si lega a una mentalità moderna consentendogli di unire spirito orientale e metodi di lavoro scientifico.
Attualmente il Maestro è Esperto Internazionale 7° dang; Membro della Federazione Internazionale e del Consiglio dei Maestri del Viet Vo Dao;
Direttore Tecnico delle regioni Veneto e Lombardia; Presidente della Federazione Viet-Boxing Italia; Presidente e Direttore Tecnico della Federazione Viet Tai Chi Italia.
KarateDo Magazine ha intervistato il Maestro a Treviso, in occasione del ciclo di Seminari di Tecnica e Cultura “Praticando insieme Karate Do“ organizzati dal Comitato Veneto FIKTA.
Maetro Bao Lan, ci racconta come mai si trova in Italia e che cos’è il Chi kung?
Nel ‘72, a 18 anni vinsi una borsa di studio e venni in Italia per studiare ingegneria, l’obiettivo era di finire gli studi e tornare a casa, invece, nel frattempo, in Vietnam arrivò la guerra e il paese cambiò. Per cui, per motivi politici, sono rimasto qui e ho portato avanti il mio impegno con il viet vo dao, l’arte marziale vietnamita che già praticavo.
Trent’anni fa iniziai anche a studiare agopuntura e medicina orientale, abbinando lo studio del chi kung, o qi gong, che riguarda la tecnica di respirazione che mira a smuovere l’energia interna: nei kung [o nei gong n.d.a.], ossia la “forza interna”, ciò che regola la forza circolante nel nostro corpo. Si può arrivare a controllare tale forza sia con la mente, attraverso la meditazione, sia con il corpo, attraverso la respirazione.
Ci sono varie scuole o stili: la scuola di meditazione, il taoismo, il buddhismo ecc., comunque originarie dalla Cina che ha la scuola di Chi kung più antica, anche se adesso nel mondo ci sono varie scuole di diversa origine.
Lei dove insegna e com’è cambiato, nel tempo, l’approccio al Chi kung?
Io insegno a Padova e tengo diversi corsi in molte città italiane.
Quando iniziai, negli anni 70, il Chi kung o il Tai chi erano considerate cose per anziani o per donne, mentre adesso c’è una maggiore sensibilità riguardo alla salute, alla prevenzione e a un minore uso dei medicinali, per cui queste discipline sono più ricercate, in quanto non necessitano di una particolare preparazione fisica, una certa età o abbigliamento, ma sono tecniche utili per la salute.
Non esprimere, ma “tenere dentro”, un’insofferenza, una tristezza ecc. causa malattie, sarebbe meglio verbalizzare ciò che proviamo.
Quali sono i benefici per chi pratica Chi kung?
I benefici sono su due piani: fisico e mentale. Se l’energia nel nostro corpo circola bene avremo del benessere, se invece è bloccata in qualche meridiano, il cosiddetto blocco energetico, prima o poi comparirà una malattia, un malessere.
Solitamente le origini dei blocchi sono le contratture, causate da strutture sbagliate, e lo stress. Lo stress causa malattie psicosomatiche, per esempio, se si hanno delle preoccupazioni si irrigidiscono i muscoli delle spalle e i “cervicali”, se si ha paura ne risentono i reni e la schiena ecc. Lo stress è il primo nemico del giorno d’oggi, seguono poi le posture errate, perché ci si muove sempre meno e in modo sbagliato, con conseguenze a livello fisico. Il Tai chi è in grado di “sciogliere” le contratture in profondità che spesso nemmeno sappiamo d’avere.
Tendiamo, genericamente, a imputare allo stress molti sintomi, ma le loro origini possono essere sia fisiche sia psicologiche, Lei cosa ne pensa?
Diciamo, per fare un esempio, che se noi sapessimo manifestare subito un nostro malcontento o una nostra rabbia, ci ammaleremmo di meno. Non esprimere, ma “tenere dentro”, un’insofferenza, una tristezza ecc. causa malattie, sarebbe meglio verbalizzare ciò che proviamo.
Nella medicina orientale ogni sentimento è coniugato a un organo: la collera è collegata al fegato, chi la prova e non sa esternarla adeguatamente, ne risentirà su quell’organo; le preoccupazioni incidono sui polmoni; chi è sempre rabbioso danneggia il cuore… Ma ci sono tecniche che, attraverso la respirazione, possono agire beneficamente sui meridiani degli organi implicati.
Rispetto alla cultura orientale, in occidente la relazione con il proprio corpo è quasi sempre legata ad aspetti di natura sportiva, estetica o di “prestazione”… Nel suo insegnamento, Lei quali difficoltà incontra con questa visione?
Molti si avvicinano casualmente e per motivi diversi alla mia disciplina, però, per quelli che rimangono più a lungo, è compito dell’insegnante saperli trasformare in veri praticanti.
L’occidentale, l’italiano, vuole che gli si spieghi bene quello che sta facendo e che cosa otterrà, mentre l’orientale fa quello che gli dice il Maestro. Culturalmente in oriente funziona di più l’insegnamento “velato”: il praticante inizia facendo, la comprensione di ciò che fa sarà successiva. Qui, invece, si rifiutano di fare la tecnica se prima non capiscono, se non viene data loro una spiegazione più razionale, che passi prima che dal corpo, dalla mente.
Io stesso, quando iniziai con il mio Maestro, che non dava spiegazioni, pensavo che le cose che facevo fossero una “magia”, eppure funzionavano. Ora io dico a cosa serve un determinato movimento, ma a volte non funziona, proprio perché, a forza di pensare, non si pratica!
Culturalmente in oriente funziona di più l’insegnamento “velato”: il praticante inizia facendo, la comprensione di ciò che fa sarà successiva.
Anche nel karate e nelle arti marziali in genere ci dovrebbe essere questo rapporto tra maestro e allievo, però, perché secondo Lei fatichiamo a comprenderlo?
Le persone qui hanno paura di fidarsi, hanno paura di venire “fregati”, oltre che del giudizio esterno di chi non capisce questo rapporto maestro-allievo e taccia i praticanti di fanatismo.
Compare un tema di fondo che, un po’ per tutti, riguarda la fatica di “lasciarsi andare”, sia a livello psicologico, sia a livello corporeo…
Per esempio, i praticanti, ai quali ho tenuto lezione allo stage di stamattina, fanno meno fatica a eseguire delle combinazioni complesse di karate che a chiudere gli occhi e lasciarsi andare come avevo loro richiesto durante il nostro incontro. Questo perché nel primo caso devono affrontare un “altro”, mentre nel secondo caso devono affrontare, trovare, se stessi e, secondo me, molti hanno paura di “trovare” se stessi…
Allora, crediamo sia meglio che sia una persona esterna a dirci chi siamo, perché è difficile accettare, quelle che pensiamo essere, le nostre fragilità.
Il Chi kung lavora molto profondamente sul piano psicologico, tante persone, durante gli esercizi, si ritrovano a piangere, quando riscoprono la loro energia non riescono a trattenere il pianto.
Mentre molti, che per tanti anni hanno praticato una disciplina “esterna”, non sono in grado di rilassarsi, rimangono contratti, duri.
Il Chi kung non cerca tanto l’equilibrio rispetto al suolo, ma ricerca di più l’armonia con la natura che ci circonda. Ognuno di noi è fatto in modo differente, per cui deve ricercare il proprio punto d’equilibrio.
Anche quando una persona crede di avere una postura diritta, spesso non è così, perché tende a compensare le parti contratte, ma quando poi impara a rilassarsi, tutto cambia.
Anche l’alimentazione viene presa in considerazione?
Certo, dobbiamo studiare anche l’alimentazione, che comprende i colori, le stagioni e i prodotti stagionali, aspetti che sono molto tenuti d’acconto nella medicina orientale. Sia il cibo, sia le tecniche, si distinguono in yin e yang.
Per esempio, la pentola deve essere “neutra”, cioè in terracotta, non può essere di metallo, altrimenti sarebbe yang!
Mi rendo conto che oggi, cucinare con questi criteri è difficile, però basterebbe un po’ di attenzione in più per noi stessi. Stamattina dicevo che, se non abbiamo il tempo per fare cento passi dopo avere mangiato o di fare un auto-massaggio prima di dormire, almeno ricordiamoci di stare diritti e di respirare profondamente! E, quando siamo arrabbiati, cerchiamo di “scaricare” buttando fuori l’aria, tenendo le mani aperte, piuttosto che serrate… Poche attenzioni che, però, attivano l’energia.
Il Chi kung non cerca tanto l’equilibrio rispetto al suolo, ma ricerca di più l’armonia con la natura che ci circonda
Nel Qi kung quali sono i passaggi per arrivare a un corretto ascolto di se stessi?
Dapprima c’è la conoscenza della tecnica, la sua fisionomia, poi sapere qual è il percorso dei meridiani che il maestro chiama durante gli esercizi (per esempio quello del cuore, che seguo con l’immaginazione, partendo appunto dal cuore, per salire lungo il braccio, arrivando al palmo della mano).
Quindi, conoscenza della tecnica, poi la concentrazione e infine l’attenzione a ciò che si sta facendo, questo allena all’ascolto del proprio corpo (soprattutto delle parti contratte).
Normalmente questo ascolto non c’è, perché usiamo principalmente la vista. I non vedenti, a cui spesso insegno, sanno ascoltare veramente i movimenti. Noi ci muoviamo usando la correzione visiva, ma le persone anziane cadono con facilità, proprio perché diminuiscono la vista, a cui abitualmente si sono affidati, perdendo il senso del loro corpo nello spazio.
Il Tai Chi previene questo tipo di infortuni, proprio perché si è sempre consci di ogni esercizio e dentro di noi sappiamo già il “percorso”. È come quando si visualizza prima un esercizio per poi realizzarlo più facilmente.
Quanta parte ha l’immaginazione nella sua disciplina?
Io penso che nelle arti marziali la parte più viva sia quella dell’immaginazione e della fantasia. Non si può fare un kata se non si ha un buon margine d’immaginazione, per cui stai affrontando un combattimento. La usi anche quando cerchi d’immaginarti che cosa voleva, il fondatore della disciplina, dalle tecniche che ha creato nel suo periodo storico.
Per poi chiedersi cosa c’è oltre a questo… e lì sono i sogni che vengono in aiuto. Quando si chiede ai grandi maestri da dove hanno tratto una certa forma, ti rispondono “L’ho sognata” o “Me l’ha insegnato Buddha”, che è la stessa cosa! Si sogna ciò che si sta ricercando, perché c’è già un percorso interiore, ma bisogna, anche qui, “fidarsi” di questo piano che non controlliamo, più “sottile”.
Io penso che nelle arti marziali la parte più viva sia quella dell’immaginazione e della fantasia.
Riuscire ad andare in profondità e al significato che c’è oltre il gesto, è un aspetto della mia disciplina che si scopre a un livello più avanzato, prima c’è la tecnica.
Sono pochi gli allievi che vi arrivano, più che altro per un fattore pratico: nel percorso non c’è un visibile avanzamento di grado, come può essere il cambio di cintura nel karate, c’è un avanzamento del benessere. Per cui, nulla segnala il punto accademico o agonistico in cui ci si trova, o sei saggio o sei niente o sei entrambi! Ma si sa che l’inizio e la fine, in un percorso di questo tipo, sono uguali: lo stupido è colui che non sa usare la mente, il saggio è colui che può fare a meno della mente. All’apparenza sembrano uguali… ridono entrambi!
Ricordi che i grandi maestri non si vantano mai, perché sanno di non sapere. [E, a sua volta, il Maestro Lan Bao ci congeda ridendo n.d.a]