“Ho capito che il Karate Tradizionale è l’unico in grado di conciliare crescita fisica e sviluppo culturale/intellettuale, senza preferenze per l’uno o per l’altro aspetto.”
NOME
Francesco Federico
LUOGO DI NASCITA
Milano
DATA DI NASCITA
2 febbraio 1997
SPECIALITÀ
Kata
CLUB DOJO
Accademia del Karate
MEDAGLIERE
2013
– Camp. It.: 2° kata ind. / 2° kata sq.
2014
– Camp. It.: 1° kata ind. / 3° kata sq.
2016
– Camp. It.: 2° kata ind.
2017
– Camp. It.: 2° kata ind.
– Coppa Shotokan: 2° kata ind. Memorial
2018
– Heart Cup: 1° kata ind.
– Camp. It.: 1° kata ind.
– ESKA: 2° kata ind. / 3° kata sq.
– Coppa Shotokan: 2° kata ind. Master
2019
– Coppa Shotokan: 1° kata ind.
– ESKA: 1° kata squ.
2021
– Coppa Shotokan: 1° kata ind. / 1° kata squ.
Quando hai iniziato a praticare karate?
Ho iniziato a praticare Karate a sette anni, per caso. La maggior parte dei bambini durante le scuole elementari inizia a praticare qualche attività e per caso la mamma del mio migliore amico di infanzia portò me e lui in un Dōjō di Karate della periferia di Milano. Da lì fu subito amore.
Penso che l’agonismo sia una fase fondamentale del percorso di crescita del Karateka, ma che non debba assolutamente essere il capolinea.
C’è un motivo per cui hai scelto il Karate Tradizionale?
Inizialmente, come già accennato prima, la scelta è stata del tutto casuale. Col tempo però, confrontandomi con altre realtà, ho capito che il Karate Tradizionale è l’unico in grado di conciliare crescita fisica e sviluppo culturale/intellettuale, senza preferenze per l’uno o per l’altro aspetto.
Quando sei diventato un agonista?
Ho partecipato a varie competizioni fin da quando ero bambino. L’insegnamento che mi è stato trasmesso da subito è quello di non vivere la gara come obiettivo ultimo del mio Karate, ma di vederla come uno strumento di crescita, dal punto di vista tecnico e personale. Ogni volta che devo affrontare una competizione, per una dimostrazione di pochi minuti (il tempo di un Kata), c’è dietro una preparazione di mesi e mesi, sia fisica sia mentale. Penso che l’agonismo sia una fase fondamentale del percorso di crescita del Karateka, ma che non debba assolutamente essere il capolinea. C’è molto di più oltre alle gare!
Quanto ti alleni?
Generalmente mi alleno tutti i giorni almeno un’ora durante la settimana ed è raro trovare qualche weekend libero, a seconda dei vari corsi, raduni e competizioni.
I ragazzi della Nazionale, invece, pur essendo io l’ultimo arrivato, sono stati davvero accoglienti e inclusivi.
Com’è il rapporto con i tuoi compagni di squadra?
Il rapporto con i miei compagni di Dōjō è assimilabile a un rapporto di fratellanza: li vedo tutti i giorni, condividiamo gioie e momenti di sconforto, passiamo il tempo insieme anche al di fuori delle ore di allenamento. Una vera e propria famiglia.
I ragazzi della Nazionale, invece, pur essendo io l’ultimo arrivato, sono stati davvero accoglienti e inclusivi. Mi hanno subito spiegato come funziona l’ambiente e hanno condiviso con me le loro esperienze vissute negli anni precedenti. È stato un ingresso piacevole in un nuovo ambiente.
Come ha influito il Karate nei tuoi rapporti e nella vita privata?
Ovviamente le ore che dedico agli allenamenti (e che di conseguenza passo nel Dōjō) sono molte. Col tempo penso di essere diventato bravo (o almeno ci sto provando) a incastrare tutti i miei impegni e a gestire le mie relazioni con gli altri in funzione del Karate… con qualche dovuta eccezione.
Penso anche che sia naturale instaurare rapporti stretti con le persone che vedo di più dentro al Dōjō. Sto plasmando pian piano la mia vita attorno al Karate. Non è facile incastrare università (studio Ingegneria Biomedica al Politecnico di Milano), Karate e rapporti al di fuori del Dōjō, ma dove c’è volontà c’è anche il modo per farcela, senza mai dimenticarsi di fare le cose perché si è felici di farle. Nel momento in cui la vita che conduciamo diventa un peso, forse è meglio rivedere le proprie priorità.
Lo scoglio personale su cui hai dovuto “lavorare” maggiormente?
Il controllo emotivo. Riuscire a controllare le emozioni senza lasciare che prendano il sopravvento è sempre una sfida. Che sia una gara, una dimostrazione o un esame cambia poco: ogni volta che mi alleno, oltre ad allenare le tecniche, alleno l’idea e la sensazione del trovarmi in quella situazione, in modo da non trovarmi impreparato.
Secondo te, qual è l’aspetto che ti contraddistingue come Karateka?
Quando pratico Karate è come se diventassi un ricercatore. Ogni volta, se non riesco a fare esattamente nel modo in cui mi ero prefissato, mi sento insoddisfatto. Penso che sia proprio quest’insoddisfazione a spingermi a ricercare ripetizione dopo ripetizione il miglioramento, a trovare quel qualcosa in più che prima mi mancava. La difficoltà maggiore sta poi nel riuscire a replicare e mantenere quel modo di fare che mi ha portato a dire “ce l’ho fatta, è così che volevo fare”. È questo l’aspetto che mi è più caro del Karate Tradizionale: la ricerca continua del miglioramento.
… dove c’è volontà c’è anche il modo per farcela, senza mai dimenticarsi di fare le cose perché si è felici di farle.
In quale specialità ti senti più preparato?
Dividere il Karate in Kata o Kumite penso sia riduttivo. È un’Arte con molte sfaccettature (Kihon, Kata, Kumite, Bunkai…) e praticarne solo una (o alcune) a scapito delle altre ne farebbe perdere tutta la bellezza e la preziosità che la contraddistingue. Sarebbe come guardare pochi tasselli di un intero puzzle. Ovviamente, durante i periodi di gara il mio allenamento è maggiormente improntato al Kata, ma nel resto del tempo pratico il Karate in tutte le sue sfumature.
L’avversario psicologico più temibile che ritrovi in gara?
Durante una gara, la cosa più difficile per me è “rompere il ghiaccio”. Riuscire a entrare sul tatami dimostrando da subito il mio miglior Karate è qualcosa su cui devo ancora lavorare. Per questo motivo durante il riscaldamento cerco di trovare subito la giusta sensazione, in maniera tale da non dover “carburare” una volta entrato sul tatami.
Cosa ti ha insegnato il karate?
La pazienza e la perseveranza sono i due aspetti che hanno influenzato maggiormente la mia vita di tutti i giorni. Ho imparato a non darmi per vinto alla prima difficoltà e a lavorare continuamente per raggiungere i miei obiettivi, che siano in ambito scolastico, personale, sportivo…
Il momento più appagante della tua carriera agonistica?
Il momento che mi è più caro è la semifinale del mio primo Campionato Europeo, quello in Serbia nel 2018.
Dopo aver passato le eliminatorie (affrontando Austria e Portogallo, due nazioni ben viste dagli arbitri ESKA), sono entrato sul tatami portando il mio Tokui Kata Sentei: Enpi. Dopo che tutti e sette gli atleti avversari hanno concluso il loro Kata, vedere il mio nome primo in classifica sul monitor e capire di essere entrato in finale è stata un’emozione indescrivibile. Non solo perché era il mio primo Campionato Europeo, ma anche perché era il primo nella categoria Seniores e mai mi sarei aspettato di arrivare fino a lì.
… vedere il mio nome primo in classifica sul monitor e capire di essere entrato in finale è stata un’emozione indescrivibile.
Come immagini il tuo futuro?
Non so cosa mi riserverà il futuro, ma spero di riuscire a vivere un’esperienza di Karate autentica, da poter trasmettere ai miei allievi.
Mi immagino insieme a Serena (mia migliore amica e collega nell’insegnamento) a insegnare ai nostri allievi attuali, ormai cinture nere, e a tutti quelli nuovi che si aggiungeranno, nello stesso modo in cui è stato insegnato a noi, in modo che la tradizione possa continuare.
La cosa più importante, per cui lotterò, è trovare il mio equilibrio senza dovermi dividere tra Karate, Università, Benedetta (la mia ragazza) e i miei amici, ma facendo in modo che tutti assieme siano i colori che, combinati fra di loro, diano alla luce il quadro della mia vita.