Alcune considerazioni degli arbitri FIKTA i Maestri Marco Cialli, Roberto Mazzarda, Carlo Rocco, Francesco Dilevrano.
M° MARCO CIALLI
Il regolamento ESKA
Negli anni il regolamento dell’ESKA per le gare di karate si è avvicinato a quello dell’ITKF che, a giudizio della commissione arbitrale ESKA, aveva dei buoni parametri, anche se, al tempo stesso riteneva che andasse a “ingessare” le prestazioni degli atleti.
In questi anni resta un regolamento universalmente riconosciuto, oltre a quello della WKF, pur essendo un regolamento tradizionale che arriva dagli anni 70.
All’ESKA hanno comunque guardato criticamente ai cambiamenti fatti dal M° Hidetaka Nishiyama e nel 2007 hanno steso una nuova versione del regolamento, mantenendo ciò che era ritenuto buono delle idee del Maestro, ma apportando delle novità. Per fare un esempio: nel kumite, dal punto di vista del giudizio sulle tecniche da ippon e wazari, quella di togliere la dicitura che “la tecnica di wazari è un ippon a cui manca qualcosa”, cosa che portava a molti fraintendimenti, impedendo all’arbitro di vedere l’ippon.
È abbastanza diffuso che sia wazari qualunque colpo uno porta e l’ippon non è mai dato; è assegnato nel calcio jodan o nel mawashi-geri jodan, pure se non sempre è un ippon effettivo. (Tutto questo anche se il karate tradizionale nel combattimento dovrebbe ricercare l’ippon, poi però è un problema se l’arbitro non lo dà mai…).
Per saper vedere questi aspetti, per valutare la dinamica, occorrono arbitri che abbiano molto più di una buona competenza.
Il giudizio arbitrale per il kumite
È quindi cambiato il parametro col quale si aggiudica l’ippon, ma principalmente quello con cui si dà il wazari, basato sul “c’è o non c’è la tecnica”, per cui l’arbitro, attraverso la propria esperienza (e all’ESKA gli arbitri devono essere molto competenti), deve saper valutare che effetto avrebbe causato se la tecnica fosse stata portata senza controllo. Per esempio, quando la tecnica arriva a bersaglio senza alcuna reazione da parte di chi la subisce, per esperienza noi sappiamo che quella tecnica, se fosse senza controllo, avrebbe più effetto di un colpo portato mentre l’altro fa un movimento di difesa o arretra leggermente e accompagna il colpo. Per cui, se l’avversario viene sorpreso (non è cioè attivo) dal colpo che arriva – nel karate tradizionale si chiama “momento di Kyo” –, questo ha più efficacia e viene valutato come un ippon. Cioè, non si guarda più solo com’è la tecnica portata, ma il contesto: se “c’è la tecnica”, ossia si valuta cosa sta facendo l’avversario che subisce la tecnica. È questo che dà la misura per capire se il colpo potrebbe essere definitivo o apportare solamente un vantaggio.
Il giudizio arbitrale per il kata
Per quanto riguarda il kata, all’ESKA si sono avvicinati al tipo di giudizio introdotto dal M° Nishiyama basandosi su dei parametri fondamentali: per prima cosa il kata viene inserito in un certo livello e, dal 2007, è giudicato nella sua globalità, dopodiché da qui si valutano degli aspetti avanzati che entrano nel particolare.
Devo dire che gli atleti italiani, ma non solo, hanno dato una notevole spinta al cambiamento, imponendo un certo modo di eseguire il kata. Nazioni come l’Austria, la Germania, ma anche la Polonia, che facevano kata di “scuola” WKF, adesso hanno cambiato.
L’Italia per un certo periodo (dal 1996 al 2002 circa) ha “sofferto” per questa modalità d’esecuzione, per la quale una parte degli arbitri era più orientata alla valutazione WKF. Poi, piano piano, grazie anche agli atleti che si sono succeduti – tra gli ultimi ricordo Fabio Cattaneo e, soprattutto, Patrizia Bello per la certezza del podio – si è imposta la maniera odierna.
Il “problema” è che oggi tante altre nazioni si sono adeguate – come la Russia, che fino a cinque, sei, anni fa nemmeno presentava degli atleti nel kata e che a quest’ultimo Europeo ha vinto l’oro –, con dei kata fatti secondo il “gusto italiano”. In sintesi, l’Italia per prima ha imposto una scuola e ora gli altri l’hanno copiata, a volte, meglio.
Gli Azzurri all’ESKA
Qualche volta si sentono critiche agli atleti italiani rispetto a un certo rallentamento nell’esecuzione di un kata ed è anche vero che se si guarda allo stesso kata eseguito dal M° Carlo Fugazza e da Cattaneo, suo allievo diretto, c’è una differenza di circa 40 secondi in più per quest’ultimo, nonostante fosse uno degli atleti con la transizione migliore.
Qui bisogna fare attenzione, perché quello che può andare a discapito della velocità è la dinamica, utilizzando degli escamotage che però “accorciano” il gesto. Succede come nell’Enpi, che in certi passaggi deve denotare capacità atletica, mentre alcuni gesti, che per esempio implicano il ginocchio, vengono “abbozzati” sul posto solo per sembrare più veloci, ma in realtà è il movimento a essere più corto.
Per saper vedere questi aspetti, per valutare la dinamica, occorrono arbitri che abbiano molto più di una buona competenza. L’ESKA sta lavorando per creare arbitri a questa altezza, con dei grandi sforzi anche a livello metodologico. L’Associazione non vuole solo l’esperienza personale degli arbitri, ma vuole che ai corsi imparino a essere giudici di gara sempre migliori.
Per quanto poi concerne la preparazione degli atleti FIKTA, rispetto al passato c’è un miglioramento nel kumite: anni fa avevano un problema di resistenza che ad oggi è stato superato.
Nel comparto femminile del kumite azzurro, all’Europeo abbiamo notato che c’era la tendenza ad avere troppa fiducia nel proprio tentativo di arrivare prima con l’attacco rispetto all’avversario, ma quando ci si muove sotto i 200 millesimi di secondo l’occhio dell’arbitro non può umanamente cogliere chi arriva prima, per cui guarderà all’azione nel suo complesso.
In FIKTA arbitri più giovani
Riguardo alla classe arbitrale in Italia io sarei molto favorevole all’entrata di atleti giovani, meglio se agonisti, e ancora meglio se di alto livello; questo mio parere è noto da tempo a molti maestri e atleti in Federazione, il guaio è che non trovo giovani che vengano a farlo, pure se ne ho interpellati alcuni anche personalmente.
Devo confessare che io stesso, da agonista, se a suo tempo non fossi stato “costretto” dal M° Shirai, non avrei fatto l’arbitro. Però è anche vero che ce n’è bisogno ed è auspicabile, quindi, che siano giovani atleti d’esperienza a farlo.
Il percorso per fare l’arbitro prevede un primo step in regione e uno successivo in nazionale, per cui, in due anni si può diventare arbitro nazionale.
Fino ad ora c’era però un blocco: era richiesto il 3°dan e l’esame da maestro (istruttore per arbitro di classe C). Sembra però che l’ultima commissione tecnica FIKTA abbia tolto tali requisiti e questo mi fa sperare di vedere in futuro arbitri più giovani.
Io continuo comunque nella mia “opera di proselitismo” con gli ex atleti, che tenderebbero invece a continuare nell’agonismo in qualità di coach, ma devono capire che una cosa non esclude l’altra e il coach a bordo tatami in gara non è strettamente necessario per l’atleta. Nella mia carriera solo una volta ho visto determinante la presenza del coach per cambiare l’esito della gara.
Infine, per quanto concerne il regolamento di gara, stiamo aspettando impazienti quello nuovo della FIKTA. Siamo in un momento di passaggio, per cui stiamo facendo delle gare con un regolamento di “difficile reperimento”.
M° ROBERTO MAZZARDA
L’esperienza all’ESKA
L’esperienza in Serbia è stata incredibile! È sempre molto bello vedere una macchina organizzativa così importante, che si muove con precisione, tempismo e perfetta coordinazione. In ESKA nulla è trascurato, fino nei minimi particolari.
Il livello degli atleti è molto alto e molto buono, sono forti e così le tecniche. A differenza nostra sono meno vincolati in alcune tecniche, ma, tutto sommato, potenza, forza, kime, sono comunque parametri addottati nel kumite.
Nel kata credo che noi abbiamo ancora un “qualcosa” in più. A livello regolamentare dobbiamo forse adattarci un po’, ma a livello tecnico, a oggi, siamo superiori, nonostante i risultati di questo Europeo non l’abbiano ampiamente confermato. Credo però che, nell’espressione del kata, sia solo questione di adeguarsi un po’ di più alle richieste del regolamento di gara.
In ESKA nulla è trascurato, fino nei minimi particolari.
L’esame
Per quanto riguarda la mia esperienza in qualità di arbitro, ho sostenuto l’esame nella categoria più alta, la A. È un esame tutt’altro che scontato e non è proprio una passeggiata.
Innanzitutto, bisogna avere una buona padronanza della lingua, dato che per quattro giorni si parla solo in inglese. Poi, le regole (a differenza di ciò che si può pensare) sono inerenti al karate tradizionale. Se si apre il manuale di regolamentazione ESKA, si capisce come cerchino di mantenere un karate molto tradizionale, sia nella visione, sia nell’arbitraggio.
La selezione dell’esame è molto esigente: ci sono tanti videoclip da visionare, tanti test con prove pratiche e scritte, 50 le domande finali (di cui 6 “aperte”).
Personalmente sono contento di avere raggiunto questo ambito risultato, ma anche per la FIKTA che può vantare degli arbitri internazionali ESKA di livello alto. Tra l’altro anche Marco Cialli, il nostro capo delegazione, è diventato area manager con la mansione di coordinare e gestire il tatami e la pool arbitrale anche sotto l’aspetto organizzativo, “manageriale”, dei tabelloni di gara. È un lavoro impegnativo e importante, per il quale bisogna essere molto preparati.
La gara
In gara, gli incidenti, nonostante il contatto controllato sia ammesso (a quel livello è comunque un contatto abbastanza “importante”), non ci sono stati incidenti gravi.
In ESKA c’è un forte richiamo rispetto agli atteggiamenti impropri degli atleti, non consoni all’etica del karate, i quali, eventualmente, vengono fortemente penalizzati e senza richiami. Anche i coach e gli allenatori a bordo tatami erano molto composti, indipendentemente dal risultato di gara, anche dove lo stesso fosse controverso, il loro atteggiamento è rimasto “marziale”, senza discussioni improprie.
Infine, ringrazio la Federazione che ha creduto in me e mi ha dato questa possibilità, proponendomi a livello internazionale come arbitro nazionale di buon livello e sono contento di avere restituito loro il favore portando a casa questa promozione.
M° CARLO ROCCO
L’esame
A mio parere il livello medio dell’arbitraggio ESKA è elevato ed essendo un regolamento molto più snello del nostro, dà modo di curare meglio i particolari.
Ci sono arbitri di provata esperienza e tutti quelli che hanno un livello B o A hanno potuto sostenere delle prove d’esame molto impegnative.
All’esame penso che noi italiani ci siamo fatti onore, perché quando ti fanno fare un esame pratico, dove puoi dimostrare le cose che devi andare ad arbitrare, come il kata, e ti chiedono un kata di prima fascia Heian, Tekki Shodan, più uno dei quattro Sentei e poi il Tokui kata, che appartiene al terzo/quarto gruppo dei kata molto superiori, noi della squadra del M° Shirai, abbiamo dimostrato che siamo molto forti e questo si vede anche nelle gare degli atleti.
… noi della squadra del M° Shirai, abbiamo dimostrato che siamo molto forti e questo si vede anche nelle gare degli atleti.
Io, in qualità di responsabile degli arbitri della Lombardia, sto già usando parte di questo sistema: una parte della modulistica l’ho già sistemata e snellita adattandola al nostro regolamento FIKTA.
Entrando più nello specifico dell’esame, nella mattinata abbiamo avuto una parte con due videoclip sul kata: nel primo, abbiamo visionato quattro competizioni di kata a coppie dove, con le bandierine, dovevamo stabilire il vincitore; nel secondo, si dava il punteggio facendo una classifica dal primo al quarto posto, quindi, molto specifico.
Riguardo al kumite, la commissione ci ha fatto vedere sei spezzoni di sei diversi combattimenti dove dovevamo capire cos’era avvenuto, fermando i video e facendoceli visionare nuovamente, anche per due, tre volte, per poi chiederci che cosa avevamo notato: punti, infrazioni, wazari ecc. Il problema è che nei video non si ha la profondità di campo, la tridimensionalità, la ripresa video dà solo due punti d’osservazione e questo rendeva complessa la cosa, soprattutto rispetto al kumite.
Nella parte pratica abbiamo dovuto dimostrare con i kata, per esempio, dove sono i kiai o il numero totale delle tecniche di ognuno, secondo i volumi del The best Karate. Questo sistema, da una parte può essere discutibile per il fatto che i nostri riferimenti siano dei libri, ma dall’altra ha il vantaggio di essere chiaro, essendo un unico e uguale punto di vista, il più possibile oggettivo per tutti, limitando il margine d’errore.
Le regole sul tatami dovrebbero aiutare anche noi italiani a migliorare qualcosa: lì nessuno degli arbitri si permetteva di discutere o contestare il punteggio dato da un altro. Gli stessi capi tatami, l’area manager, erano molto corretti, si avvicinavano con delicatezza chiedendo se era giusto o sbagliato qualcosa e spiegando il motivo, senza “riprendere” l’arbitro in modo rude, ma con molto rispetto ed etica comportamentale. Detto questo, se sbagli tre volte di seguito vieni allontanato, in Italia non c’è questo “coraggio”, ma, personalmente, sto cercando di portare queste modalità anche da noi.
Dopo questo (ed esserci tolti il karategi per indossare la giacca per l’ennesima volta…), abbiamo fatto la pratica delle bandierine del kata dal vivo: su come si gestisce il tatami dal centro oppure in qualità di giudice ecc., nonché sullo standard del kata. Stesse prove per il kumite, sapendo tutto il regolamento inerente.
Al terzo giorno, il venerdì prima dell’inizio della gara, abbiamo avuto il test scritto in inglese, con le domande sul regolamento. A grandi linee questa è la struttura.
Il regolamento del kumite
È un po’ diverso dal nostro e non ha gli stessi parametri – cercando di semplificare un discorso che sarebbe un po’ lungo –, bisogna valutare bene al momento dell’impatto se c’è un contatto, se chi ha portato un pugno stava avanzando o indietreggiando o era fermo e, contemporaneamente, valutare le stesse cose anche per l’avversario. Quindi, i parametri da considerare sono tanti, ma è poi compito del dottore valutare se c’è stato un contatto e se era lieve, medio, pesante.
Nel kumite il contatto resta un eterno disquisire. Nella gara di quest’anno c’è stato chi ha portato un contatto, diciamo, un po’ più “sostanzioso” di quello a cui siamo abituati noi. Però ho anche visto che quando il pugno arrivato era pericoloso, portato con noncuranza, senza rispetto per l’altro competitor, ci sono l’ammonizione e la sanzione, mentre da noi fatichiamo di più a sanzionare.
Il fatto è che, se si applica il regolamento, si può anche “rieducare” l’atleta. Quando un contatto può anche sembrare pesante, nessuno degli arbitri tocca l’atleta colpito e caduto, il quale, se si alza da solo è ok, altrimenti sul tatami entra il dottore che deciderà se potrà proseguire il kumite. Nel momento in cui l’atleta si alza da solo e se il danno, dovuto a un contatto da medio a pesante, è stato provocato dall’attaccante, per quest’ultimo c’è la sanzione e possono “togliergli” la tecnica, ma comunque il kumite prosegue.
La gara
In riferimento alla gara, noi italiani siamo emersi con i seniores. Se guardiamo cadetti, speranze, junior delle altre squadre, che già iniziano un tipo di karate con delle tecniche diverse, soprattutto nel kumite, portano a casa più risultati, ma quando si parla di senior per il kata e il kumite, anche a squadre, noi siamo arrivati con il kumite solo dietro all’Inghilterra e ciò significa che noi veniamo fuori dopo, perché curiamo molto i principi del karate. I “guantini”, per così dire, noi li mettiamo tardi! – Tra l’altro, in tema di guantini veri e propri, all’ESKA sono stati molto fiscali anche su questo controllo, dove hanno richiesto uno spessore di 2,5 centimetri –.
Il juippon kumite si faceva fino all’“altroieri”, era una delle specialità che avevamo anche nel Campionato italiano (al prossimo non ci sarà più), quindi, il nostro è proprio un approccio diverso e i risultati li raggiungiamo quando siamo più maturi.
Nel complesso poi, non ci sono stati proprio tanti incidenti (a parte un braccio rotto e dei punti al viso), però, sempre in tema di regolamento, nel kumite viene sanzionato molto di più chi “scappa”, o chi ha un comportamento improprio o simula. Ad alcuni atleti fuori norma è stato messo l’adesivo sul karategi o addirittura hanno fatto girare loro la giacca, fino a non fargli fare la gara. Quindi, il regolamento potrebbe anche essere discutibile, ma tutti sanno che viene applicato rigidamente e questo limita sia i comportamenti impropri, sia le “simulazioni” nel kumite: se un medico dice che il colpo subito è leggero, ma l’atleta simula un contatto più forte, gli arbitri assegnano un ippon all’avversario.
M° FRANCESCO DILEVRANO
L’esame
La mia è stata un’esperienza bellissima, che mi ha dato modo di conoscere anche il “sistema” ESKA, cioè un modo di fare sia l’arbitraggio sia gli esami.
Per me è il primo anno che, in qualità di arbitro internazionale, esco dall’Italia e ho vissuto questa cosa con grande entusiasmo ed emozione, perché quando per esempio abbiamo fatto gli esami pratici ho dovuto fare anch’io gli esami di kata: un Heian, richiesto dalla commissione internazionale, un Sentei e un kata a scelta. Devo dire che l’adrenalina è salita – nonostante i miei 40/41 anni di pratica e, in parte, d’insegnamento –, ma è stato bellissimo, perché mi sono rimesso nuovamente in gioco dopo tanti anni, almeno per quanto riguarda la parte pratica.
… è stato bellissimo, perché mi sono rimesso nuovamente in gioco dopo tanti anni.
Il nostro gruppo FIKTA ha messo in pratica gli insegnamenti nel kata del Maestro Shirai, col quale studiamo fattivamente, e questo ha fatto la differenza dal punto di vista tecnico, per cui abbiamo raggiunto un bel traguardo.
Poi, anche per l’esame scritto e orale tutto in inglese sono molto soddisfatto, dato che non lo parlo perfettamente e l’ho dovuto studiare per mesi, ma alla fine ce l’ho fatta. L’anno prossimo intendo ripropormi per i prossimi campionati internazionali per poter diventare di livello A.
Per quanto riguarda i testi di studio, si utilizza la collana di volumi sul kata The best Karate, imparando dov’è ogni specifica tecnica, che diventa il nostro punto di riferimento. Per fare un esempio del rigore, ma anche dell’etica all’ESKA, durante la gara i capo tatami si annotano ogni punteggio dato da ciascuno degli arbitri e, a fine competizione, spiegano perché andava bene o meno. Questo permette di imparare dai propri errori e tutto viene fatto con molto fairplay, modalità che dovrebbe essere adottata anche da noi.
La gara
Racconto un episodio, per me significativo, accaduto sul mio tatami durante la gara: è successo che un atleta, colpito da una tecnica piuttosto forte, sia andato a tappeto; si è fatta una riunione con tutti gli arbitri, aspettato il responso medico e, quando il dottore ha dato l’ok per proseguire, il combattimento ha continuato. Per gli arbitri poteva essere addirittura una tecnica da ippon, anche se c’era il contatto, e comunque gli è stato dato un bellissimo punto.
In un altro episodio, per un mawashi che ha toccato il viso è stato dato l’ippon, cosa che da noi non avviene, perché abbiamo parametri diversi.