“Il karate negli anni cambia le persone. A me ha insegnato che nulla arriva senza fare fatica.”
NOME
Stefano Zanovello
LUOGO DI NASCITA
Busto Arsizio (VA)
DATA DI NASCITA
01.10.1988
SPECIALITÀ
Kumite
SOCIETÀ
Hagakure
MEDAGLIERE
2006
– Trofeo regioni: 1° ind. sp. / 1° sq.
– Camp. It.: 1° sp. / 1° fukugo sp.
2007
– Trofeo regioni: 1° ind. ju. / 1° sq.
2008
– Trofeo regioni: 2° ind. ju. / 2° sq.
– Camp. It.: 1° ind.
2009
– Trofeo regioni: 2° ind. ju. / 1° sq.
– Camp. It.: 1° ind. Ju.
2010
– Camp. It.: 1° ind. se.
2011
– Camp. It.: 2° ind.
2012
– ESKA: 2° sq.
– Coppa Shotokan: 1° ind. / 1° sq.
2013
– Camp. It.: 2° ind.
– Trof. Masina: 1° sq. / Buddha.
– ETKF: 1° ind.
– WSKA: 3° individuale
2014
– Camp. It.: 1° ind.
– Coppa Shotokan: 1° sq.
– Trof. Masina: Buddha
– Heart Cup: 1° ind.
2015
– Camp. It.: 1° ind.
– Trof. Masina: Buddha
– UWK (ITKF): 1° sq. / 2° kogo kumite
2016
– Camp. It.: 3° kata ind. / 2° fukugo ju.-se. / 2° ind. se.
– Trof. Masina: Buddha
– Heart Cup: 1° ind.
– Coppa Shotokan: 1° ind.
2017
– Camp. It.: 3° kata ind. / 2° fukugo ju.-se. / 1° ind. se.
– WSKA: 3° sq.
2018
– Heart Cup: 1° sq.
– Camp. It.: 3° fukugo ju.-se. / 1° ind. se.
Come hai iniziato a praticare karate?
La pratica di questo sport è iniziata in primis grazie a mio padre e a mio fratello che frequentavano entrambi la scuola del Maestro Giorgio Gazich.
Che cosa ricordi del tuo primo maestro e chi è il tuo maestro attuale?
Il M° Gazich, essendo stato il mio primo maestro, ha contribuito molto alla formazione non solo del mio karate, ma anche del tipo di persona che sono. Dal 2011 circa mi alleno nella società di mio fratello Christian, da allora sento di essermi evoluto sotto l’aspetto marziale e agonistico come mai prima e i risultati ne sono la prova.
Il M° Gazich, essendo stato il mio primo maestro, ha contribuito molto alla formazione non solo del mio karate, ma anche del tipo di persona che sono.
La scelta di praticare karate tradizionale è stata casuale?
È stata del tutto casuale e condizionata dalle scelte intraprese precedentemente da mio padre e da mio fratello.
Quando sei diventato un agonista?
Ricordo bene che all’età di tredici anni il M° Gazich, dopo una lezione, mi prese da parte e mi fece compilare il modulo d’iscrizione a Csak. Da quel momento ho iniziato il percorso agonistico all’interno della FIKTA.
Quanto ti alleni? Oltre agli allenamenti con la Nazionale, fai anche una preparazione fisica?
Mi alleno quattro volte alla settimana, di cui due sono allenamenti solo per gli agonisti. Fuori dal periodo delle gare aggiungiamo la preparazione atletica.
Com’è il rapporto con i tuoi compagni di squadra?
Sono molto orgoglioso dei compagni che si allenano con me in palestra, in primo luogo perché sono persone bravissime e poi perché mi danno sempre qualcosa, se non ci fossero loro non sarei arrivato ai traguardi che ho raggiunto. Nella squadra nazionale ci alleniamo insieme da moltissimi anni e questo non può fare altro che costruire un gruppo in cui siamo andati oltre il semplice rapporto agonistico.
Il tempo che dedichi agli allenamenti, incide sui tuoi rapporti e nella vita privata? Cosa ti ha dato e cosa ti ha tolto praticare agonismo?
Il tempo passato in palestra ad allenarmi con i miei compagni e il mio maestro per me è fondamentale, perché ogni volta non è mai uguale alla precedente e devo tanto a Christian, perché ci insegna a trasmettere ciò che facciamo in palestra anche al di fuori, nella vita privata.
A essere sincero, per chi come noi fa karate per passione, ciò che ci dà non si riesce a esprimere e sono sicuro che queste sensazioni sono presenti in ognuno dei miei compagni di squadra. È questo ciò che ci ha uniti in questi ultimi anni e al Mondiale WSKA a Treviso, ciò si è reso visibile anche all’esterno, agli altri.
Il karate ha “tolto” qualcosa a tutti e anche a me, non posso negarlo, ma quello che mi ha dato mi resterà dentro per sempre.
Lo scoglio personale su cui hai dovuto, o devi ancora, “lavorare”?
Non ne ho solo uno di “scoglio”, ma ne ho molti sui quali lavorare! Uno che non sono ancora riuscito a superare è quello di avere pazienza nel non rischiare quando non serve.
Secondo te, qual è la tua caratteristica come atleta?
Credo sia quella su cui ho lavorato assieme a mio fratello, ossia, negli incontri di kumite quella di diventare io il protagonista tra i due avversari, in modo da creare le situazioni a mio vantaggio. Però, nel tempo e con l’esperienza, ho affinato molto l’osservazione di chi ho di fronte, scegliendo così la strategia più utile.
In quale specialità ti senti più preparato e cosa ti permette di provare e di esprimere?
Mi sento più preparato nel kumite individuale, in quanto è sempre stato il mio obiettivo. Le emozioni che mi dà l’individuale sono personali e, a parer mio, solo chi le vive le può davvero capire, perché a ciascuno lascia cose diverse.
Le sensazioni che però mi ha dato il kumite a squadre sono fortissime e sono indelebili sulla mia pelle! Inizialmente, con la mia primissima squadra, quella del Bu Do Kan, in un periodo che ha creato un legame che, ha distanza di anni, si è rafforzato sempre più. La stessa cosa sta accadendo ora, con i miei compagni di squadra della Nazionale.
Qual è per te l’avversario, psicologico o reale, più temibile?
Ho sempre pensato che più che sugli altri, dovessi essere io quello al quale rivolgere la mia attenzione, tentando di capire ogni volta cosa c’è che va o non va e cercando di migliorare i difetti più costanti.
Che cosa pensi ti abbia insegnato il karate? Ti ha cambiato?
Il karate negli anni cambia le persone, soprattutto se è fatto a un certo livello.
In particolare, mi ha insegnato che nulla arriva senza fare fatica e per fatica non intendo solo quella fisica, ma anche i sacrifici, che forse sono i più incisivi.
Il momento più appagante e quello più spiacevole della tua carriera agonistica?
Sono due i momenti importanti più spiacevoli per me. Il primo accadde a Liverpool quando arrivai in semifinale e, per mancanza di esperienza, persi ingenuamente contro un americano; mi sentivo già troppo appagato e questo ha fatto la differenza. Il secondo momento fu in Grecia, quando persi l’ultimo incontro con la Russia, facendo perdere la squadra contro la favorita del campionato.
I momenti appaganti furono, comunque, a Liverpool, perché è stata una delle gare che mi ha dato di più: salire sul podio individuale al mondiale 2013 è stata la cosa più bella in assoluto e l’ultima volta che l’ho fatto è stato a Treviso. L’atmosfera che io e i miei compagni abbiamo respirato in quella occasione è stata incredibile! Inutile poi descrivere così si provi a battere un russo e l’intera squadra…
C’è un episodio del tuo percorso agonistico che ti piacerebbe condividere?
Riguarda la finale di una Coppa Shotokan contro il Veneto. Silvio Campari, che era l’allenatore, insieme a mio fratello stava decidendo la formazione; Christian si sentì di suggerire di mettermi ultimo, così, in caso di parità sarebbe toccato a me salire sul tatami. Silvio capì e acconsentì. Finimmo proprio in parità e a me toccò l’ultimo incontro con Marco Bacchilega: vinsi 2 a 0, facendo vincere la Lombardia. Quindi, prima del mio merito, c’è quello di mio fratello per avere preso quella decisione e quello di Silvio che si fidò.
Utilizzi il web per informarti su altri atleti e sulle competizioni?
Mi capita di guardare filmati di kumite sia della nostra federazione, sia dello “sportivo”. La cosa positiva della tecnologia è che si può accedere ai più grandi del passato con un click, la nota negativa però è come tanti giudichino proprio con un click e si lascino coinvolgere, paragonando ciò che si è abituati a fare oggi a ciò che si vede.
Il M° Shirai è il primo a dire di prendere il positivo da ogni cosa e di lasciare il negativo.
Per chi come noi fa karate per passione, ciò che ci dà non si riesce a esprimere.
Ti piacerebbe essere un atleta professionista?
Credo che sia il sogno di ogni agonista di un certo livello accedere a un circuito professionistico: ciò che ami diventa il tuo lavoro. Credo che non ci sia cosa più gratificante!
Cosa ne pensi dell’accesso del karate alle prossime Olimpiadi?
Penso che il karate che ci andrà sia molto diverso dal nostro. Credo che a loro [il karate “sportivo” N.d.R.] manchi qualcosa che noi abbiamo e ha noi manchi qualcosa che loro hanno. Sarebbe bello vedere il karate tradizionale alle Olimpiadi, ma mi rendo conto che anche loro se lo meritano: facendolo spesso come professione si allenano il doppio, se non il triplo di noi, e crescono più velocemente di noi che, non facendolo come lavoro e avendo una vita oltre al karate, ci siamo formati di conseguenza.
Però penso che il nostro karate tradizionale sia più “giusto” ed efficace in assoluto. Credo che se loro avessero la nostra base sarebbero ancora più forti e forse si vedrebbe un karate ancora più bello.
Come immagini il tuo futuro?
Sinceramente non so come sarà il mio futuro, ma so di certo com’è il mio karate e come il Tradizionale mi abbia formato come persona.
Vivo il momento che verrà senza troppi pensieri; ho ancora “fame” di risultati, ma ammetto di essermi già preso parecchie soddisfazioni personali, per questo penso al mio futuro con rassicurazione.