A Palazzo Albergati (Bologna) la mostra “Giappone. Storie d’amore e di guerra”
“Pericolo giallo”?… Una recente “invasione” giapponese c’è stata, non sul nostro territorio, turisti a parte, ma nelle tendenze culturali.
Il Giappone piace nella moda, nel cibo, nella letteratura e nelle arti visive. Infatti, l’arte classica del Paese del Sol Levante è approdata quest’anno in diverse città italiane. Fra queste Bologna, dove la mostra Giappone. Storie d’amore e di guerra, ospitata a Palazzo Albergati dal 24 marzo, s’è chiusa il 9 settembre 2018. Certo, la sua eco continuerà, generando il desiderio di conoscere meglio il favoloso mondo che l’esposizione ci ha presentato.
Geishe, samurai, attori, mostri e fantasmi sono stati fra i protagonisti della rassegna, che includeva circa 200 opere.
Geishe, samurai, attori, mostri e fantasmi sono stati fra i protagonisti della rassegna, che includeva circa 200 opere classificate in 11 sezioni, ciascuna accompagnata da versi tratti da poeti giapponesi.
Gli artisti proposti erano i più adatti a svelarci il fascino del Giappone del periodo Edo (1603-1868), quello dell’unità territoriale sotto il governo militare (shogunato). Il nome dell’epoca deriva da quello antico dell’odierna Tokyo.
Un fascino che ha incantato i maestri dell’Impressionismo francese, alcuni dei quali probabilmente avevano conosciuto i giapponesi attraverso l’incarto, riproducente stampe famose, di confezioni regalo spedite in Europa. Per esempio, Vincent Van Gogh scrisse di quanto invidiasse ai colleghi giapponesi la limpidezza dei segni, la sintesi creativa, ai quali bastavano pochi tratti per dare vita a una figura.
Tra i grandi nomi in mostra spiccava su tutti Katsushika Hokusai, il celebre autore delle 36 vedute del monte Fuji, considerato – vedi la ben nota Grande Onda – il progenitore del manga moderno, genere fumettistico di enorme popolarità.
Grande il risalto nel percorso espositivo offerto agli ukiyo-e, i capolavori della xilografia, compresa la spiegazione del laborioso procedimento per realizzarli.
La parola ukiyo-e si contrapponeva al significato che il termine ukiyo aveva in passato soprattutto per i buddisti: caducità, inconsistenza dell’esistenza e, quindi, dolore. La e finale fa la differenza: sta a indicare la ricerca di uno stile di vita il più piacevole possibile, collegabile al carpe diem del poeta latino Orazio, ossia “cogli l’attimo”.
Gli ukyo-e erano uno strumento di comunicazione di massa – solitamente di puro intrattenimento, a volte con intenti didattici – e oggetti d’arte pensati per chi non poteva permettersi quadri di valore, portatori di un preciso linguaggio artistico.
Dimostrazione ne erano i meravigliosi ritratti femminili, assieme alle shunga, le pitture della primavera. Questa produzione aveva almeno quattro caratteristiche fondamentali: era basata su scene erotiche; non esibiva la nudità totale, perché non era sensuale, ma era la normalità, dato che uomini e donne facevano il bagno assieme; riportava esplicite raffigurazioni di organi sessuali, talvolta in forma esagerata e caricaturale; le posizione rappresentate erano degne di contorsionisti.
Gli ukyo-e erano uno strumento di comunicazione di massa – solitamente di puro intrattenimento, a volte con intenti didattici.
Oltre a questi erano presenti dipinti che ritraevano gli attori del teatro No e Kabuki. Per la gioia delle fashion victims nostrane erano esposti kimono, ventagli, gioielli, piccoli accessori, maschere, cartoline e biglietti d’invito – i surimono – spesso celebrativi di ricorrenze e beneauguranti, recanti le testimonianze della vita e degli ambienti frequentati dalle geishe e dalle oiran, le cortigiane d’alto rango.
Meritevoli di menzione anche le rare scene di quotidianità, il raccolto delle erbe, il mercato del pesce, le vie affollate di città, atte a ricordare chi stava ai margini della beata società che ruotava attorno alla corte.
Notevole la sezione paesaggistica centrata sulla sacralità della natura, esplorata in ogni sua forma, che scandisce il ritmo del tempo con l’avvicendamento delle stagioni. Secondo il curatore Pietro Gobbi: “La natura … assume una dimensione simbolica e complementare all’umanità, personificandone e riflettendone virtù e sentimenti, siano essi positivi o negativi. Così la gru è simbolo di lunga vita … come fra le piante il pino; la carpa, rappresenta forza, coraggio e perseveranza; il gallo, invece, rimanda a un’alta stima.”
Di sicura attrattiva la sezione dedicata ai samurai, miti della tradizione militare in cui storia e leggenda si mescolano. Particolarmente ammirate le uniformi da parata e le preziose armi blu fornite di custodia, antenate della katana.
“Archetipo dell’eroe solitario, condottiero sui campi di battaglia ed esteta in tempo di pace – citiamo ancora Gobbi – assassino nella notte e vendicatore del suo signore, custode della pace e aristocratico amministratore.” Erano trascorsi circa due secoli dalla fine dei conflitti per la riunificazione del Giappone, eppure, nell’Ottocento i samurai ispirarono romanzi e incisioni, le mushae, come quelle di Hokusai, raccolte in una collezione di piccoli volumi illustrati.
L’avvento della modernità è stato ben rappresentato dalle prime fotografie che hanno ripreso il modello dell’ukiyo-e per i soggetti, le inquadrature e la coloritura a stampa avvenuta. Con esiti sorprendentemente attuali, come si avverte anche nei disegni dei tessuti.
Dobbiamo però considerare che il prezzo pagato per tanta bellezza – soprattutto quella delle splendide donne, modelli di perfezione estetica – è stato davvero salato. Gli shogun imponevano la censura, la chiusura a ogni influenza straniera, l’obbligo di seguire determinati comportamenti, altrimenti si rischiava di finire male, come capitò alle ribelli che contestarono la propria condizione di cortigiane. Privilegiate per certi versi, ma prigioniere in gabbie dorate e trattate alla stregua di oggetti.
“Archetipo dell’eroe solitario, condottiero sui campi di battaglia ed esteta in tempo di pace…” [cit Pietro Gobbi]
Per Umberto Vattani, Presidente della Fondazione Italia-Giappone: “L’universo del Mondo Fluttuante, fatto di piaceri e di godimento della vita [si lascia] andare lungo la corrente del fiume, senza voler minimamente cambiare il corso naturale degli eventi”.
Lasciar andare è una forma di saggezza che potrebbe aiutare anche noi, uomini e donne d’oggi sottoposti a continui stress, pur così distanti dallo spirito del periodo Edo.