Sento il dovere di commentare il notevole risvolto di natura “storica” dei IX Campionati Assoluti FIKTA.
Sento il dovere di commentare il notevole risvolto di natura oserei dire “storica”, nel panorama del complesso e frazionato mondo del karate italiano, di questo evento, ovvero, dell’organizzazione in casa FIJLKAM dei IX Campionati italiani Assoluti di karate tradizionale della FIKTA.
L’evento si è svolto nel fine settimana del 9 e 10 giugno scorso al Pala Pellicone, nel centro di preparazione olimpica del CONI, sito nel X Municipio di Roma, quello di Ostia Lido.
Il karate in Italia, almeno agli inizi, era solo di un tipo, indipendentemente dalle scuole di stile e filosofie interpretative rappresentate.
Il karate, per come è arrivato in Italia può essere considerato un fenomeno sociale molto rilevante. Se tralasciamo alcune esperienze di tipo del tutto pioneristico, per le quali in ogni caso occorre mantenere il dovuto rispetto e gratitudine, il karate in Italia, almeno agli inizi, era solo di un tipo, indipendentemente dalle scuole di stile e filosofie interpretative rappresentate.
Era il karate che oggi dobbiamo forzatamente definire “tradizionale”, ossia il karate espressione del bu dō giapponese, la “via del guerriero”.
Questo è un karate che, per come è arrivato in occidente e per come viene proposto oggi, col karate originale di Okinawa, sua patria natale, che definiremo pertanto arcaico o archetipico, non aveva e non ha molto da spartire, se non le origini.
Dal momento in cui il Maestro Gichin Funakoshi esportò la disciplina in Giappone, denominandola karate do, questa venne inglobata prevalentemente in ambiente militare e universitario, subendo delle modifiche che la allontanarono vieppiù considerevolmente dallo stereotipo iniziale, anche e soprattutto per l’opera di Yoshitaka, suo figlio, subentratogli nel ruolo di caposcuola.
Fra queste, la rielaborazione in senso agonistico e, nel caso dello stile Shotokan, la modifica di alcuni dettagli tecnici di non poco conto, onde renderla più affine alla didattica e pratica del kendo, la via della spada, diffusissimo negli ambienti militari e di polizia nipponici e all’epoca già ampiamente sviluppato in senso sportivo.
Per cui, potremmo dire che il karate do giunto in Italia, sul finire degli anni 50, inizio dei 60, pur mantenendo il carattere di arte marziale, intesa come disciplina educativa e di sviluppo fisico e spirituale, conteneva già in se stesso la caratteristica di disciplina, almeno in parte, sportiva.
Da quel momento in poi, nel nostro paese il karate seguì due strade di sviluppo parallele, ma separate, quella che portò alla nascita ed esistenza della FIK, da sempre più vicina, anche se non inserita ufficialmente almeno all’inizio, nell’ambito CONI e quella che portò alla nascita ed esistenza della FESIKA (nata come AIK).
La prima aveva sede a Roma, sebbene traesse origine dalla FIK fondata a Firenze da uno dei pionieri del karate italiano, Wladimiro Malatesti. Una volta arrivata a Roma, per merito dell’avvocato Ceracchini, in essa confluì un’altra organizzazione romana, creata dal maestro Augusto Basile.
Grazie alla qualifica di vicepresidente della FIAP, Ceracchini ottenne per la FIK il primo riconoscimento ufficiale da parte del CONI e fruttò a essa un grande sviluppo, soprattutto nel centro-sud Italia. Questo organismo aderiva a livello internazionale alla WUKO.
La seconda aveva sede a Milano e prese origine dalla prima organizzazione ivi creata da Roberto Fassi, cresciuta in maniera vorticosa al punto di richiedere direttamente in Giappone, alla JKA, l’invio di un Maestro di spessore che venne indicato nella persona del Maestro Hiroshi Shirai.
Il Maestro Shirai giunse in Italia nel 1963 e fondò l’AIK che in pochissimo tempo, grazie alle sue indubbie capacità morali e tecniche e l’indubbio carisma, si espanse in maniera impressionante, prevalentemente nel nord del paese.
Nel 1970, dalle ceneri della AIK, nacque la FESIKA, presieduta da Giacomo Zoia. Questa sigla aderiva, a livello internazionale alla IAKF, della quale l’organizzazione del Maestro Shirai, in pochissimo tempo, divenne una delle colonne portanti.
Un primo tentativo di unificazione della FIK e della FESIKA, in vista di un riconoscimento definitivo del CONI, poi ottenuto nel 1979, avvenne con la fusione delle due organizzazioni, sotto la sigla comune della FIKDA nello stesso anno. Anche in questo caso, il karate praticato nella casa comune era di fatto uno e uno soltanto, non si sentiva ancora l’esigenza di definirlo sportivo o tradizionale, pur essendo tanto la specialità del combattimento quanto quella del kata praticate nelle due organizzazioni di partenza alquanto diverse.
…l’agonismo è uno degli aspetti possibili della pratica, nella quale, l’attenzione è rivolta al raggiungimento del todome.
La FIKDA venne poi trasformata in FIKTEDA, quando venne decisa l’incorporazione in essa del taekwondo, disciplina emergente, in un nuovo organismo unico.
I delicati equilibri politici vennero destabilizzati da questa scelta e presto, il taekwondo formò la sua federazione autonoma, la FITA, che in poco tempo introdusse il suo settore karate, divenendo la FITAK. Questo fatto, insieme ad altri dissapori, determinò il definitivo distacco del nutritissimo gruppo facente capo al Maestro Shirai dall’ambito CONI e la conseguente fondazione della FIKTA, oltre alla parcellizzazione di un altro significativo gruppo di praticanti scontenti in ulteriori organizzazioni minori.
Nel frattempo, la FITAK divenne il quarto settore della FILPJ, che da quel momento si chiamò FILPJK. Infine, nell’anno 2000, il settore Pesi, venne scorporato dalla FILPJK e questa diventò definitivamente la FIJLKAM.
Dal 1990 le strade delle due più rappresentative organizzazioni di Karate italiano sono procedute rigidamente separate, anche in senso tecnico.
La FIJLKAM ha perseguito e sviluppato un nuovo tipo di karate, definito sportivo, presumibilmente più utilizzabile in ambito olimpico.
La FIKTA, inserita nella ITKF, ha mantenuto la pratica centrata su valori e insegnamenti del Karate Tradizionale, quello di stretta derivazione dal Karate-Bu Dō. In questo, l’agonismo è uno degli aspetti possibili della pratica, nella quale l’attenzione è rivolta al raggiungimento del todome, inteso come tecnica definitiva, pertanto, in questa accezione, il combattimento può terminare anche in pochissimi secondi.
Nel primo la pratica è sostanzialmente finalizzata alla dimensione agonistico-competitiva e, in questa, all’ottenimento di un gran numero di punti, onde rendere il combattimento più comprensibile ai non “addetti ai lavori” e, almeno teoricamente, più spettacolare.
Negli ultimi anni, dopo la morte dell’artefice della nascita della FIJLKAM il dottor Matteo Pellicone, pazientemente e sagacemente alcuni dirigenti da ambo le parti hanno proseguito il percorso atto a portare le due anime ufficiali e più rappresentative del karate italiano a una pacifica convivenza, consapevole dei rispettivi ambiti. La FIKTA è stata riconosciuta quale unica organizzazione rappresentativa del karate tradizionale da parte della FIJLKAM, prima ancora lo fu l’Istituto Shotokan Italia – Ente Morale, riconoscimento voluto dall’allora presidente Pellicone, su proposta del consiglio federale della Fijlkam, nel 2007. Sono poi stati siglati protocolli d’intesa e convenzioni. [L’ultimo il 19.04.18 ndr]
Infine, quale ultimo e più recente riconoscimento del grande e buon lavoro svolto dalla FIKTA, la FIJLKAM ha concesso in uso per il 9 e 10 giugno 2018, evento del tutto unico e di valenza epocale, il bellissimo Pala Pellicone nel proprio centro di preparazione olimpica al Lido di Ostia.
Da questa iniziativa è partito il grandissimo lavoro svolto dal Comitato Organizzatore dei IX Campionati Assoluti FIKTA, coordinato dal Maestro Angelo Torre, in una piazza, quella romana, praticamente da sempre digiuna di eventi riguardanti il karate tradizionale.
Credo fermamente che un rapporto consapevole e soprattutto paritetico fra le due anime principali del Karate italiano possa solo fare bene alla causa comune, consentendo al karate sportivo di mantenere saldo il valore della sua matrice culturale.
D’altra parte, poter usufruire del patrimonio conoscitivo, delle risorse strutturali e organizzative di una grande e articolata Federazione, quale la FIJLKAM di certo potrà solo incrementare il già notevole patrimonio culturale della FIKTA.
Penso che questo concetto sia stato la reale motivazione di tale riavvicinamento di natura epocale: la ricerca del reciproco miglioramento in un’ottica di rispetto e considerazione, che consentirà un’indipendenza e una differenziazione tecnica fra le due scuole di pensiero, anche a livello competitivo, permettendo ai praticanti la libera frequentazione di gare ed eventi di vario tipo.
In questo ambito, io penso che si possa veramente cominciare a parlare di un karate italiano almeno unito, se non unificato, un karate che sappia attrarre le tante realtà non trascurabili e attualmente disperse in un panorama estremamente frammentato, offrendo la possibilità di pratica più completa possibile.
In questo senso, credo davvero che i IX Campionati Assoluti FIKTA abbiano fissato una data storica e penso che il lento salire e scendere delle bandiere italiana e giapponese, all’inizio e alla conclusione dell’evento, nel parterre gremitissimo, abbiano provocato realmente la pelle d’oca un po’ a tutti.
La mia impressione personale è che questi campionati assoluti siano stati molto ben organizzati dal gruppo di persone coordinate da Angelo Torre, soprattutto tenendo conto dello scarso tempo a disposizione.
Io penso che si possa veramente cominciare a parlare di un karate italiano almeno unito, se non unificato.
Scrivo questo articolo in qualità di vice presidente della asd Taikyoku Karate Kai di Roma, l’associazione che ha preso in carico l’onere amministrativo dell’organizzazione di questa bellissima manifestazione, esprimendo, quindi, le mie opinioni del tutto personali, pur essendo membro del Comitato Organizzatore e soprattutto di quello Esecutivo dello stesso evento.