“Facile è difficile!”
Scrivere delle lezioni del Maestro Shirai è sempre molto impegnativo, non tanto per i contenuti tecnici, quanto per la ricerca di una comunicazione corretta di quello che è il contenuto spirituale e metafisico dei suoi insegnamenti.
In questo caso, partirei da una delle sue affermazioni ribadite anche venerdì sera nella lezione I.S.I., tenuta a Ferentino (Frosinone): “Facile è difficile!”.
Questa frase, apparentemente banale, racchiude spunti di riflessione che potrebbero bastare per una vita intera di introspezione.
Questa frase, apparentemente banale, racchiude spunti di riflessione che potrebbero bastare per una vita intera di introspezione.
In fondo le Arti Marziali, in particolare il Karate, dovrebbero servire proprio a ottenere una corretta espressione delle proprie doti spirituali, attraverso il linguaggio della gestualità fisica. Ma ricercare e ottenere questa qualità è un lavoro duro e impegnativo, proponibile di certo a tutti, pur non essendo di fatto, praticabile da tutti e non perché occorrano chissà quali doti intellettive o fisiche. Trasformare una pratica fisica in un momento di crescita spirituale richiede una fondamentale dote, sintetizzabile in un concetto: praticare con la forza del proprio cuore, inteso come centrale affettiva.
Nella fattispecie, il Maestro ha usato questa frase per spiegare come, molte volte, nella pratica ci si fermi alla superficie dei problemi, impantanandosi nella melma intellettiva dei preconcetti e dei giudizi.
In quest’ottica, la troppa conoscenza a volte è un ostacolo alla pratica che, nel caso del Goshin Do/Via dell’autodifesa, può risultare fatale.
Nel Goshin Do si esprime al massimo il concetto del dojo ni jyu kun:
Karate ni sente nashi-il Karate non attacca mai per primo.
Il più alto livello di Autodifesa è non permettere che accada, semplicemente. Essere capaci di questo è conoscere perfettamente se stessi, un franco dialogo col proprio Ego che di per sé non è un qualcosa di sbagliato, tutt’altro. Tuttavia, quando il proprio Ego, a causa del dolore e della sofferenza accumulate, tende a espandersi senza il sostegno di un’opportuna struttura animica o spirituale, tende a proiettare nell’altro le proprie paure e tossicità affettive, creando associazioni del tutto fuorvianti e pericolose.
È sempre possibile una ragionevole via d’uscita, ma per intravederla occorre credere che realmente esista, dipendendo in massima parte dalle nostre scelte che, a loro volta, devono essere espressione della forza della nostra principale centrale affettiva, il nostro cuore.
Un concetto: praticare con la forza del proprio cuore, inteso come centrale affettiva.
Questo non vuol dire rinunciare a difendersi, tutt’altro. Scegliere questa Via, vuol dire assumersi la piena responsabilità della propria e altrui vita attraverso comportamenti coerenti che, solo in pochissimi ed estremi casi, riguardano un reale e inevitabile pericolo di morte.
Questa consapevolezza rappresenta la chiave di lettura della pratica che deve tendere sempre alla ricerca della massima fattibilità in rapporto alle proprie capacità, momento per momento, nel momento. Ciò vuol dire avere ben presente la portata del proprio gesto, in senso cronologico e spaziale, annullando ogni incertezza.
Lo stage si è tenuto presso la bellissima e accogliente struttura del M° Bernardino Sossi, sita in Lavinio, Roma. Lo ringrazio a nome di tutti i partecipanti per la squisita ospitalità.