Curiosità, voglia di fare, concentrazione, non devono mai mancare dopo tanti anni di studio e pratica nella Scuola del M° Shirai.
Ieri, dopo una settimana di riposo forzato per una brutta influenza, mi sono allenato a un stage di Goshindo aperto anche ad amici provenienti da altre nazioni.
All’inizio ho dovuto capire come non farmi male, capire quindi come muovermi, come trovare stabilità nelle posizioni, fino a capire come sincronizzare i miei gesti. Ovviamente, finché fai da solo riesci a barcamenarti, ma quando devi applicare con un altro praticante i problemi si moltiplicano e, per completare il tutto, non è da trascurare il fattore emotivo che interviene inevitabilmente nella dinamica a due. E aumenta soprattutto se ti stai allenando con persone che non conosci.
…determinante lo zanshin della persona, non perdere mai la connessione con quello che si sta facendo, senza perdere mai la “direzione”.
Quindi, è stata un’ora e mezza di super impegno. Sotto tutti i punti di vista, fisico e mentale, toccando aspetti anche ascrivibili, per me, a una dimensione spirituale: entrando in uno spazio “sacro” (Mu) che per certi versi ti porta ad una sorta di illuminazione. Il “non fare tanto per fare”, senza perdere un attimo di concentrazione su quello che spiega il docente, su quello che devi fare, ma soprattutto (e questo spesso si trascura) su quello che ti sta capitando e cioè i cambiamenti che si stanno verificando un minuto dopo l’altro, durante la lezione, in tutto il tuo organismo. Però, senza chiederti perché, lasciando scorrere le cose, senza pregiudizio, accettando tutto quello che accade con curiosità e voglia di mettersi in discussione.
Durante le spiegazioni nessuno parlava, tutti eravamo molto attenti, quando si applicavano le tecniche nessuno correggeva l’altro con arroganza come spesso avviene. Ognuno faceva quello che aveva capito, ma soprattutto lo faceva al 100%.
Cosa vuol dire fare al 100%? Di getto mi viene da dire Shin-Gi-Tai.
- Shin= cuore, inteso come forza d’animo.
- Gi= la tecnica.
- Tai= il fisico, il corpo.
Vuol dire unire insieme tutti e tre questi aspetti a tal punto che non riesci più a capire dove inizia e dove finisce ognuno dei tre.
Quando si esegue lentamente cercare di fare “forte”, ma “non veloce”, e quando si fa veloce di lasciar andare la tecnica. Per fare questo è determinante lo zanshin della persona, non perdere mai la connessione con quello che si sta facendo, senza perdere mai la “direzione”. Allora, si può dire che quello che si sta facendo non è solo sport, ma qualcosa di più e, come ho avuto modo di dire in un altro articolo, diventa un’arte.
Si realizza questa condizione quando:
- non stacco mai lo sguardo dagli occhi del mio partner,
- assumo la giusta postura (posizione),
- utilizzo in modo appropriato l’anca (rotazione, vibrazione),
- uso la giusta respirazione,
- addotto la giusta distanza.
Diventa poi ancora più importante se riesco a portare nella vita di tutti i giorni questi principi: se in una situazione di disagio nel sociale riesco a modificare il mio respiro, a rimanere con la mente lucida e a trovare la soluzione adeguata alla circostanza, forse ho raggiunto un livello di altissimo valore.
Questo è il punto, in ogni lezione di Karate devo riuscire a provare questa sensazione di “completezza”. Se ciò non capita qualcosa non ha funzionato. Soprattutto, dovrebbe far riflettere se, dopo tanti anni di pratica, ci si allena solo per abitudine o se si riesce appunto a far scattare quel giusto stato d’animo. È qui che si deve poter distinguere, osservando una lezione, chi è di altissimo livello, chi è di alto livello, chi di medio livello e via dicendo. E i dan più elevati questo devono manifestare: non è la tecnica in sé, ma la PERSONALITÀ (un proprio modo di essere) e la CAPACITÀ DI TRASMETTERE DEI VALORI.
La tecnica è lo strumento non il fine, è il mezzo per migliorare se stessi.
La tecnica è lo strumento non il fine, è il mezzo per migliorare se stessi.
A un certo punto della lezione l’insegnante ha sottolineato che ancora non si riusciva a prendere il giusto distacco dalla tecnica e, quindi, dalla sequenza da eseguire. Infatti, molto probabilmente in modo inconsapevole, si toglieva qualcosa a quella “sensazione di pienezza” di tutto il gesto, considerando tutti e tre gli aspetti sopra citati.
L’affermazione più interessante e che personalmente mi ha aperto un mondo è stata: “Tanto la tecnica cambia…”. Ci ha fatto capire che la prossima volta le tecniche saranno diverse, ma l’atteggiamento non deve cambiare.
Quante volte per stimolarci come studio il Maestro Shirai cambia “le carte in tavola”, cambia il bunkai (l’applicazione) di un kata? Anzi, per meglio dire, ci fa vedere tanti aspetti che molto spesso noi non cogliamo. Ma questo è il giusto atteggiamento di un ricercatore, continuare a trovare nuove interpretazioni spezzando l’abitudine che molte volte paralizza il processo di crescita e di evoluzione umana.
Quindi, la tecnica cambia, il Maestro cambia la tecnica, ma l’atteggiamento non deve cambiare. L’approccio impregnato di curiosità, di voglia di fare e di concentrazione, è questo che deve essere importante e, soprattutto, non deve mai mancare dopo tanti anni di studio e pratica del Karate do nella Scuola del Maestro Shirai.
Ieri sera ho sentito il bisogno una volta rientrato a casa, l’esigenza, di ringraziare la persona che aveva tenuto lo stage, il Maestro Ceruti che mi ha portato a fare queste riflessioni.