Come dare al giovane calciatore una visione più completa del suo sviluppo fisico-motorio nell’età della crescita.
Di Andrea Volpin – Istruttore CONI figc di giovani calciatori di Pavia
Il progetto di integrare l’allenamento calcistico con alcuni incontri sul karate è nato con lo scopo di dare una visione più completa al giovane calciatore del suo sviluppo fisico-motorio nell’età della crescita, utilizzando metodologie e pratiche diverse da quelle del gioco del calcio. Questo, dando molto risalto alla multi sportività, cioè cercando di rispolverare quella voglia di scoprire che esisteva un tempo.
Ho suddiviso all’interno di 4 mesocicli, ognuno composto da 4 unità didattiche di apprendimento, quattro ‘allenamenti’ di altra disciplina con l’obiettivo di sviluppare le capacità coordinative generali (obiettivo primario), le capacità coordinative speciali (obiettivo secondario) e il consolidamento delle capacità motorie di base già ampiamente sviluppate nell’anno sportivo precedente.
La rosa di ragazzi è di 13 maschi e 1 femmina dell’età compresa tra gli 11 e 12 anni, che vivono una sportività molto ridotta e una quasi totale assenza di interessi ‘sportivi’ che vadano oltre le tre ore di allenamento settimanale e la competizione del sabato pomeriggio.
Con l’obiettivo di sviluppare le capacità coordinative generali (obiettivo primario), le capacità coordinative speciali (obiettivo secondario).
La scelta degli sport non è stata semplice e, dopo alcune riflessioni, ho optato per basket, pallavolo, baseball e karate.
Nello specifico parlerò dell’esperienza vissuta con un’insegnante di karate, II dan di Shotokan, che ha collaborato con questa ‘strana idea’ e che ha smesso il karategi per scendere in campo con me – premessa d’obbligo è quella che si è scelto di fare questo esperimento sul campo di gioco e non sul tatami per non variare la base di lavoro standard su cui si forma un giovane calciatore – e proporre 4 sedute con l’obiettivo di sviluppare la coordinazione oculomotoria, la combinazione e variazione motoria, la percezione e conoscenza del proprio corpo e lo sviluppo della rapidità nell’esecuzione di un gesto.
Nella prima seduta si è dato molto spazio alle attività di base partendo da un circuito motorio a tempo in cui si dovevano compiere diversi gesti, con l’obiettivo di raggiungere l’ultimo paletto dove si interrompeva il tempo del cronometro. Gara a staffetta con “gioco rigori” come premio.
Dopo il recupero attivo siamo entrati più nello specifico con l’introduzione di alcune tecniche di base del karate (calci, pugni e parate), eseguiti in dimostrazione e spiegazione dall’insegnante e poi rieseguiti dai ragazzi a gruppi di quattro alla volta. Nella seconda parte invece è stato chiesto, dopo spiegazione e dimostrazione, di eseguire una combinazione di movimenti che unissero questi tre fondamentali della disciplina.
Nella seconda seduta di allenamento, sempre in gruppi da quattro, è stato chiesto ai ragazzi di eseguire le tecniche (o combinazioni di tecniche) con l’obiettivo di colpire un qualcosa che era posto di fronte a loro (nello specifico un pallone). Fondamentale era la valutazione della postura del corpo, degli arti interessati alla tecnica, di quelli passivi e della testa per cercare di raggiungere l’equilibrio dinamico di tutto il sistema. La cosa ha riscosso molto interesse, soprattutto nella percezione da parte del ragazzo di essere responsabile di azione e risultato in maniera diretta.
Dopo il recupero si è chiesto ai ragazzi di eseguire la stessa esercitazione introducendo anche una tecnica di parata (prima alta e poi bassa), per poi concludere, nell’ultima variante, con la richiesta di tornare nella posizione di partenza senza mai perdere il controllo della posizione.
Difficilmente un calciatore eseguirà mai un mawashi geri per far un tiro in porta…
Nella terza e nella quarta seduta l’istruttrice ha introdotto alcune esercitazioni ritmate per comprendere i tempi e i modi per gestire un kumite a cui mano a mano inseriva una tecnica nuova, o già precedentemente studiata, per ‘caricare’ il bagaglio tecnico del ragazzo nell’apprendimento del gesto e del suo scopo. In questa fase, molto interessante è stato il “gioco-kumite” che prevedeva una sorta di incontro tra due contendenti che avevano come obiettivo quello di toccare una parte del corpo dell’avversario. Questo potrebbe sembrare inadatto al calcio, in realtà non è così perché, sviluppando questo tipo di movimento, si sviluppa tutta quella situazione tattica che ti permette di gestire sia il possesso della palla (posizionamento del corpo, uso del corpo, resistenza fisico-motoria), sia l’attacco alla palla mediante l’uso di movimenti rapidi a sfuggire o a bloccare l’avversario.
Le conclusioni che posso trarre da questa breve, ma intensa, esperienza sono sicuramente positive. Soprattutto hanno aperto un orizzonte ai ragazzi e un mondo a me, che mai e poi mai, nonostante la mia passione per il karate (sebbene non l’abbia mai praticato), avrei potuto immaginare che una tale disciplina potesse avere tante cose in comune con il mondo del calcio: non tanto dal punto di vista tecnico – difficilmente un calciatore eseguirà mai un mawashi geri per far un tiro in porta –, ma dal punto di vista di crescita tattica e motoria.
Provare a legare due sfere apparentemente lontane per ottenere un risultato divertente, formativo e diverso dallo standard.
Risposte positive sono arrivate dai ragazzi che si sono cimentati, in prima persona, con una realtà che, fino a quel momento, avevano vissuto solo da spettatori (televisione ecc.) e spesso malamente, per discorsi che ben conosciamo. La cosa è stata molto positiva perché ha dato una dimensione diversa da quella che si aspettavano, proprio per il diverso contenuto che la disciplina insegna. Dal punto di vista del divertimento, passato il disorientamento iniziale, i riscontri sono stati molto positivi.
Tecnicamente, la maturazione motoria, seppur sviluppata solo superficialmente per ovvi motivi di tempo, è stata tangibile fino a giungere a una più completa lettura del gesto tecnico.
Un esempio pratico è la concretizzazione di un più preciso approccio al gesto del tiro in porta dove, facendo riferimento all’esercitazione del secondo incontro e cercando di far rielaborare lo schema motorio che ha condotto a eseguire quell’esercitazione, si è giunti a una maggior cura della postura e della meccanica per arrivare a compiere il gesto del tiro in porta. Proprio a questo riguardo ho spesso sottolineato, nelle sedute successive, l’esempio dell’insegnante che ha molto calcato la mano su come tutta la tecnica, o combinazioni di tecniche, non sia un movimento fine a se stesso, ma un insieme di variabili da gestire, capire e sviluppare per impedire che qualche condizione avversa possa intaccarla o variarla.
Dal punto di vista tattico il “gioco kumite” ha sviluppato un sensibile miglioramento della condizione di studio della posizione per la gestione del possesso della palla o del suo attacco, come già accennato in precedenza.
Ovviamente, la cosa avrebbe dovuto avere un seguito, ma purtroppo non è stato così, quindi, altri risultati tangibili oltre a quelli già elencati in precedenza, possono non essere del tutto chiari, ma va detto e sottolineato che lo scopo non era certo quello di insegnare karate, ma di provare a legare due sfere apparentemente lontane per ottenere un risultato divertente, formativo e diverso dallo standard.