20.09.2017 Breve resoconto del bellissimo dibattito con Fausto Taiten Guareschi, Ofelio Michielan, Marcello Ghilardi.
A cura di Susanna Rubatto
Il 20 settembre 2017 a Treviso, nel pregevole sito museale di Santa Caterina, si è svolto l’ultimo appuntamento organizzato in concomitanza con i Campionati mondiali WSKA in partneship con il “Festival della filosofia – Pensare il presente”.
Illustri relatori l’abate del tempio buddhista zen di Fudenji, nonché campione di judo, Fausto Taiten Guareschi; il professore e ricercatore di Estetica e studioso del pensiero giapponese dell’Università di Padova Marcello Ghilardi; il maestro di karate e assessore allo sport di Treviso Ofelio Michielan.
Nella zona dell’ex imponente cattedrale si sono riunite circa un migliaio di persone per un dibattito sul tema “Zen e Arti marziali. Corpo, spirito, lotta ed energia”.
Di seguito riportiamo una sintesi di alcuni passaggi degli interventi, scusandoci per l’inevitabile impoverimento di argomentazioni tanto ricche suggestioni.
La tecnica nemmeno è pensata, viene decisa da “qualcosa” che abbiamo dentro.
M° Ofelio Michielan
Alla base c’è che il karate inizia e finisce con il saluto e mi rattrista vedere oggi atleti che si salutano distrattamente, solo per rispettare un regolamento, perché ciò che conta è aver vinto. Il karate sembra andare in quella direzione, con poca sostanza, poco spirito.
In realtà, per quanto diceva Funakoshi, che lo spirito precede l’azione, bisogna saper preparare il cuore. Questo è il primo punto: avere un atteggiamento senza inganni, per mettere in gioco ciò che si è nel momento dell’azione.
Il secondo punto è l’analisi della distanza. Questo un allievo lo impara già da quando si mette in fila con i compagni per il saluto, da come si pone rispetto agli altri.
Il terzo punto è il tempo, il timing, che non è altro che il qui e ora.
Questi tre punti non hanno tecnica e vengono prima di qualunque tecnica. La tecnica nemmeno è pensata, viene decisa da “qualcosa” che abbiamo dentro.
Il karate ha 150-200 tecniche… in realtà io, in questo stesso momento, sento che sto facendo karate, ma non uso le tecniche! Per cui il karate, secondo me, è senza tecnica.
Kumite, ossia “braccia che si incontrano… in realtà, ci si danno botte pazzesche! Però, se non ci fosse quel “pericolo” come potrei migliorare?
Se tutto fosse calcolato, predestinato, come potrei ringraziare colui che mi sta aiutando a tirare fuori, combattendo, ciò che nemmeno io so di possedere?
In vent’anni di agonismo ho vinto cinque titoli italiani e ne ho persi quindici, però credo di dovere la mia crescita, in parte, a queste sconfitte che mi hanno costretto a molta analisi. Quando si vince si è “ubriachi” per l’euforia e ci si sente invincibili, quando si perde è un momento di ricerca interiore, sui propri sbagli ecc. Ciò che sono oggi lo devo a queste quindici persone che, nelle semifinali o finali, quella volta mi hanno battuto.
L’altra parte la devo a tutte le ore dedicate all’allenamento, perché, in ultima analisi, non sono la vittoria o la sconfitta che ti fanno migliorare, ma sono le ore che si dedicano a “far cambiare qualcosa”.
Il miglioramento che ti dà il combattimento, è quello di avere la capacità al mattino di guardarsi allo specchio e, pulendo lo specchio, dire a se stessi: “Oggi ti voglio nuovo, diverso”.
Nella vera lotta ciascuno dei contendenti porta l’atro al di sopra di ciò che era prima dell’incontro, non lo avvilisce o lo distrugge.
Prof. Marcello Ghilardi
Corpo e spirito, nelle lingue occidentali queste due parole spesso hanno bisogno di un’unione, di un trattino, di una barra, per cercare di tenere insieme qualcosa che appare distinto. Nella lingua giapponese o cinese, invece, si può parlare di una dimensione che è corpo-mente, corpo-spirito, i due termini non sono disgiunti, non sono separati. Come quando nella lotta, ma anche in un bacio, due esseri non sono più separati, non c’è alterità assoluta, ma c’è relazione che mostra l’intreccio tra corpo e spirito. È una dimensione fluida, dinamica che, vista da un lato è corpo, vista dall’altro è spirito, come lo Yin e lo Yang, dove l’uno non è senza l’altro.
Una pratica psicofisica o psicosomatica, come il karate o lo zazen (la meditazione seduta) non si esprimono concettualmente, ma fanno provare esperienzialmente questa unità. È un’intuizione che pian piano si fa strada, un’esperienza che, letteralmente, prende corpo nella vita. Infatti, queste pratiche danno la possibilità di fare esperienza dell’unità profonda di corpo-spirito.
Nel simbolo del Tao c’è l’immagine delle polarità estreme, ma non sono contrapposte, bensì sono complementari: c’è sempre un seme dell’uno nell’altro (un piccolo punto nero nel bianco e viceversa).
Nella vera lotta ciascuno dei contendenti porta l’atro al di sopra di ciò che era prima dell’incontro, non lo avvilisce o lo distrugge, ma lo innalza. La lotta ci fa diventare noi stessi, perché ci fa intrecciare delle energie.
Abate Fausto Taiten Guareschi
Io sono stato allievo del Maestro (anche se si fece passare per tale, ma era la fine degli anni 60…) Taisen Deshimaru e divenne un grande Maestro vivendo con noi e “consumando” la sua vita rapidissimamente, solo quindici anni. Lo zen e le arti marziali è stato censurato [nella parte che riguarda la successione di Guareschi a Deshimaru ndr] nell’edizione italiana, perché acquistato dagli amici francesi. I testimoni della storia di allora hanno conosciuto difficoltà che oggi fatichiamo a immaginare, ma sono parte costituente del nostro cuore. Io, allora diciottenne, ebbi questo contatto con un maestro che già mi aveva portato sulla strada di questo “debito” perenne e per la quale non c’è un grazie che tenga.
Cito un testo “segreto” riportato nel libro di Deshimaru “… La vera tecnica del corpo deve essere la sostanza dello spirito. La sostanza è lo spirito. Non bisogna guardare il corpo del nostro avversario, ma bisogna dirigere lo spirito, non bisogna essere distratti, non lo si deve vedere, meglio essere ubriachi.” A distanza di tempo la mia stessa traduzione andrebbe rivista…
Cos’è l’energia oggi? Come in una pubblicità odierna, ci dicono che è una “porta che apre nuovi percorsi e mette in comunicazione passato e futuro col presente, che ci fa accedere a connessioni più veloci ecc.”. È uno spot bello e intelligente, ma manca una cosa: la soglia. Ciò che fa la porta, è soprattutto la soglia. Entrare nel dojo è un problema di soglia: noi occidentali facciamo molta fatica a lasciare per entrare. Richiede quasi una tecnica: fare un passo indietro per andare avanti.
Entrare nel dojo è un problema di soglia: noi occidentali facciamo molta fatica a lasciare per entrare.
Se nello spot ci fosse stata la soglia, i protagonisti avrebbero incespicato, perché erano “dall’altra parte”, ma anche “da questa parte”. È il problema dell’esporsi “sull’altra parte”, di cui non abbiamo il dominio e qui il problema, lo si voglia o no, diviene religioso. Mi dispiace anche che ci sia chi oggi pensa che le arti marziali possano sostituire la religione, ma ciò è impossibile, perché il Budo è nato su una forte coscienza religiosa e gli insegnanti, spesso orientali, lo sanno bene, ma il problema è che non hanno i mezzi o l’occasione per comunicarlo, sono in difficoltà. Perché tanto noi ci illudiamo nei loro confronti, tanto fanno loro nei nostri ed è un fraintendimento. Io credo però che sarà nello spazio di questo fraintendimento che avverrà il vero intendimento.
Perciò bisogna lavorare in questi spazi di fraintendimento… che è ancora il tema della soglia.