Gli adolescenti, così forti e così fragili! Sanno volare… finché non cadono.
L’adolescenza è ricordata, da chi forse se la ricorda solo a metà o da chi l’ha idealizzata (al pari dell’infanzia), come un’età felice e spensierata, a volte anche troppo: l’età della “stupidera” o “l’adolescemenza”.
Senz’altro è una fase importantissima di transizione fra l’infanzia – età di dipendenza totale dagli adulti e di autonomia nulla o molto scarsa – e la conquista identitaria dell’età adulta, con le sue autonomie, i suoi doveri, i suoi diritti e le sue responsabilità.
L’adolescenza è un’età di enormi cambiamenti fisici, con tutto quello che ne consegue: crisi, ansie, curiosità e dubbi rispetto al risultato finale; l’adolescente a volte “non riconosce se stesso” allo specchio e, nonostante un’apparente spavalderia – nell’epoca dei selfie, con qualsiasi abbigliamento e in qualsiasi circostanza, che subito circolano sui social – non è così sicuro della propria avvenenza e della propria adeguatezza.
Nel dojo può diventare improvvisamente scoordinato, perché deve ricollocare nel proprio schema corporeo quei centimetri e quei chili in più, acquisiti così in fretta e talvolta in modo così disordinato… Il livello della precisione tecnica può decrescere notevolmente nel kihon e nel kata; nel kumite si può apprezzare un maggiore kime, spesso, tuttavia, inficiato da una coordinazione approssimativa, quindi da un controllo lacunoso e da una scarsa gestione della distanza.
Il livello della precisione tecnica può decrescere notevolmente nel kihon e nel kata; nel kumite si può apprezzare un maggiore kime.
Lo sviluppo cognitivo gli permette di sviluppare il pensiero astratto “se… allora”, il pensiero del possibile e il periodo ipotetico dell’irrealtà: “Se avessi agito in quel modo diverso…”.
Ora sa coltivare, come una ginnastica mentale, la speculazione e l’idealismo – ci sono ancora adolescenti e giovani che, al di là della materialità, si occupano di questioni politiche, spirituali, filosofiche…
Ma in tutto questo pensiero, nella vita dell’adolescente, manca l’esperienza: Marco, 15 anni, alla prima delusione amorosa, argomenta parafrasando Schopenhauer che: “L’amore non esiste, e se esiste fa solo soffrire!”
Auguri Marco, il meglio deve ancora arrivare…
Nella famiglia dell’adolescente intervengono molti cambiamenti e ridefinizioni di ruoli e di spazi: il giovane vive una maggiore separazione dai genitori e dai fratelli, colmando questa separazione con una maggiore individuazione, ossia con una maggiore – seppur mutevole – idea di una propria identità autonoma dal resto della famiglia.
In teoria, se tutto è andato per il verso giusto nel corso dell’infanzia, il giovane ha completato quel processo di introiezione dell’adulto: senza bisogno che i genitori siano presenti fisicamente a imporre una regola, egli ha fatto propria questa regola e la sa applicare; così, ad esempio, alla faccia di chi parla male dei “giovani d’oggi in generale”, troviamo ancora qualche bravo ragazzo che lascia libero il posto a sedere a una donna in avanzato stato di gravidanza, o aiuta un signore anziano a rialzarsi da terra dopo una rovinosa caduta, o soccorre un animale abbandonato nella stagione delle partenze per il mare.
Molti si danno da fare negli ambienti del volontariato.
Gli adolescenti, se è conservato un buon dialogo in famiglia, cercano il confronto e la discussione; non sono ancora tramontate le diatribe sull’ora del rientro serale e quanto è sgradevole subire il “coprifuoco anticipato”, ossia il rientro prima degli altri, come Cenerentola, ma anche – benché gli adolescenti non lo ammetteranno mai – quanto è disarmante sentirsi dei cani sciolti e senza padrone…
In seduta con la sua psicoterapeuta, Simona, 17 anni, accusa i suoi genitori per il loro stile molto laisseax faire: nessuno la rimprovera se torna dalla discoteca alle 3-4-5-6 di mattina, anzi, le sue amiche (quelle che hanno un’ora di rientro da rispettare rigorosamente) la invidiano per la sua libertà, ma Simona problematizza il fatto che potrebbe non rincasare proprio e nessuno se ne preoccuperebbe, né si accorgerebbe della sua assenza fino a chissà quando.
Per gli adolescenti anche il conflitto in famiglia è importante: meglio discutere e litigare che non avere dialogo ed essere/sentirsi dei co-inquilini, seduti attorno a un tavolo per consumare una cena triste e silenziosa, ipnotizzati dalla televisione.
Sarà anche attraverso l’auto-affermazione oppositiva, che spesso gli adulti trovano così fastidiosa, che il giovane svilupperà la propria nuova e autonoma identità.
La loro privacy non dovrebbe mai essere violata; i genitori hanno il diritto di sapere, di essere certi che il loro figlio non sia coinvolto in “brutti ambienti”, ma non dovrebbero mai frugare nei cassetti e negli effetti personali del figlio… come ci sentiremmo noi, se qualcuno, armato di autorità, frugasse nelle nostre cose per conoscere gli affari nostri?
A volte si parla di “famiglia adolescente”, data questa necessità di rinegoziare i rapporti interpersonali e di trovare un nuovo equilibrio fra spinte espulsive (fuori da casa c’è un mondo da vivere) e fagocitanti (resta in casa al sicuro, che è meglio).
In questa fase della vita tutti i cambiamenti sociali possono generare entusiasmo ed euforia, oppure una percezione molto dolorosa della propria fragilità personale, fino a un senso annichilente di fallimento, rispetto alle varie sfide poste negli ambienti della scuola e del lavoro, ma anche in quelli informali, del gruppo di amici e dell’amico del cuore, dello sport e del tempo libero, per non parlare delle prime relazioni sentimentali, che di solito costituiscono una sorta di tragedia e sono ben lontane dalle vicende che vengono proposte in certi telefilm o in certi libri che pretendono di raccontare l’adolescenza…
Sarà anche attraverso l’auto-affermazione oppositiva, che spesso gli adulti trovano così fastidiosa, che il giovane svilupperà la propria nuova e autonoma identità.
Mentre il giovane conquista le sue autonomie di movimento (il motorino!) e di tempo, sperimenta anche nuovi interessi, così – per quanto riguarda più strettamente il nostro dojo – si può avvicinare ex novo al Karate, o a un’altra arte marziale, spesso con un interesse particolare per quanto concerne l’Auto-Difesa, oppure può scegliere, in modo più o meno impulsivo, di abbandonare la Via della Mano Vuota, magari au n passo dal conseguimento della Cintura Nera, con grande rammarico del Maestro che l’ha seguito per anni: quanto quel giovane è conscio che “Il Karate si pratica per tutta la vita” e quanto porterà degli insegnamenti del Dojokun nella vita che deciderà di condurre d’ora in poi?
L’Autoefficacia percepita è un fattore fondamentale nella vita di ciascuno di noi, ma in particolare nei giovanissimi: a scuola essa comporterà l’espressione di una buona motivazione allo studio e all’impegno; nel gruppo dei pari preserverà dai comportamenti di imitazione pedissequa, senza pensiero critico, anche quelli a rischio e simil-delinquenziali; nella percezione di se stessi modulerà e mitigherà il vissuto di fragilità di cui ci stiamo occupando.
Possiamo distinguere un’Autoefficacia di resistenza, quella che, nonostante le pressioni del gruppo, consente di non entrare in contatto con stupefacenti o alcol – alcune delle grandi paure che a buon diritto opprimono i genitori quando i figli adolescenti sono fuori casa.
L’Autoefficacia della riduzione del danno è la convinzione nella propria capacità di ridurre o non proseguire il comportamento rischioso, in seguito a una prima assunzione “così, per provare l’effetto che fa” che, se resta un fatto isolato, può essere parte della naturale sperimentazione adolescenziale.
Naturalmente, il Dojo e il Karate che vi si pratica costituiscono delle ottime componenti per rafforzare, in un adolescente, l’Autoefficacia percepita e la propria immagine identitaria.
Ma se fino a pochi anni fa i maggiori pericoli che i genitori nominavano, data la fragilità insita nell’età dell’adolescenza, erano le “cattive compagnie” – per i maschi gli spacciatori di droga e per le femmine il rischio di incorrere in una gravidanza indesiderata – oggi i pericoli sono anche altri e viaggiano in quella rete meravigliosa e terribile che è Internet.
Il fenomeno del grooming comporta che l’adolescente venga adescato sulle chat e sui social network da malintenzionati che nascondono la propria vera identità (spesso si fingono adolescenti a loro volta) e non sono certo gli amici che spacciano di essere…
Questa forma di adescamento passa attraverso varie fasi ben codificate dalla Polizia Postale che se ne occupa:
- Fase 1 – L’amicizia: il minore viene contattato e avvicinato per via telematica.
- Fase 2 – L’amicizia, per virtuale che sia, viene solidificata (ad esempio, incontrandosi in rete tutti i giorni per varie ore) e si crea un clima di fiducia fra l’ignara vittima e il suo interlocutore: “A me puoi raccontare tutto… .
- Fase 3 – Attraverso domande mirate, spesso strutturate in modo da sembrare un innocente pour parler, l’adulto adescante valuta il proprio rischio, accertandosi della condizione logistica del minore (“Sei nella tua camera, da solo con il tuo computer?”) e del controllo che i genitori esercitano su di lui (“Sei ancora in casa da solo?”).
- Fase 4 – Il rapporto diventa esclusivo, il minore chatta solo con l’adescatore e quel rapporto virtuale diventa spesso così “risucchiante” e coinvolgente da prevalere sulle relazioni reali: si costruisce un legame affettivo molto intimo e profondo, per quanto consentito dalla virtualità, il che spesso risulta poco comprensibile agli adulti che sono estranei a queste forme di nuova comunicazione.
- Fase 5 – L’adescatore smaschera le proprie mire sessuali, inviando materiale pornografico, richiedendo fotografie “hot” al ragazzo (molto più spesso, ovviamente, alla ragazza…) e spingendosi fino a chiedere un incontro reale in cui tradurre sessualmente tutto quel “legame affettivo molto intimo e profondo” di cui sopra.
In questa fase della vita tutti i cambiamenti sociali possono generare entusiasmo ed euforia, oppure una percezione molto dolorosa della propria fragilità personale, fino a un senso annichilente di fallimento.
L’ultima frontiera dello sfruttamento virtuale della fragilità degli adolescenti sembra essere il fenomeno chiamato Blue Whale, Balena Blu, una sorta di “gioco dell’orrore”, inventato in Russia, dove avrebbe già ucciso 157 adolescenti. Il “gioco” comporta delle prove di coraggio, ossia atti di auto-lesionismo che durano per cinquanta giorni, fino al suicidio, quando il giovane si getta nel vuoto da un edificio molto alto.
Se questo è coraggio, molto meglio sentirsi fragili e vulnerabili!
Vogliamo ancora sperare che tutto il fenomeno Blue Whale sia soltanto una bufala mediatica – potrebbe anche essere, fra varie notizie contrastanti; quel che è certo, è che una delle forme contemporanee di espressione del disagio adolescenziale comporta – anche in Italia – agiti di auto-lesionismo come procurarsi bruciature e tagli, il fenomeno del cutting, soprattutto sulle mani e sulle braccia, come per dare un nome fisico a un dolore psicologico che non trova un proprio titolo.